Reportage dall’Italia che era e da quella che sarà
Le repubbliche italiane

Una riflessione sullo scenario politico del dopo elezioni dal punto di vista islamico


di Hamza Roberto P iccardo

La prima quella “nata dalla Resistenza”, la seconda dal giustizialismo, la terza comprenderà un narcostato?


Quando finì la prima Repubblica fu una pioggia di monetine che il 30 aprile del 1993 investì l’allora premier Bettino Craxi. La seconda Repubblica, se ancora la si può chiamare tale ricordandone l’etimo, è finita probabilmente la sera del 14 aprile del corrente anno, pochi giorni orsono, quando i tardi epigoni delle forze politiche che avevano stilato la Costituzione di questo paese, sono usciti dal Parlamento.
Niente più comunisti, socialisti, liberali, repubblicani, democristiani. Certamente molti ex sono presenti qui è là nei partiti (pochi) che si dividono gli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama ma è giusto un passaggio nel loro curriculum vitae e di cui non si sentono particolarmente fieri e che, soprattutto non rivendicano ideologicamente in alcun modo.

Requiescant in pace.

Domani gli storici scriveranno di tutto ciò e ne avremo maggior contezza e chiarezza, ma già le dimissioni di Bertinotti, Boselli e Prodi evidenziano che i leaders hanno capito che il loro tempo è finito e che se ancora ce ne sarà per quei modi di pensare lo Stato e la politica, non potranno essere loro a guidare.
Quel che qui ci interessa di più è invece misurarci in un’attività visionaria che da tempo un certo distacco dall’agone politica ci propizia e ci permette.

L’ex protetto di Craxi torna a palazzo Chigi per la terza volta e con numeri che, sulla carta, gli permetteranno di guidare un governo di legislatura capace di attuare i suoi piani di egemonia sull’economia e sulla cultura politica di questo Paese e trasformarlo a sua immagine e somiglianza.
Ci sono tuttavia alcuni elementi che fanno pensare che la navigazione non sarà tranquilla e l’approdo incerto.
In primis il rapporto con la Lega che, movimento post ideologico, lascia intendere che la sua adesione al progetto del PDL non è cieca, pronta e assoluta. Per bocca di diversi suoi esponenti, in ultimo Matteo Salvini, capogruppo del Carroccio al Comune di Milano, la Lega manda a dire che l’alleanza con Berlusconi non è strategica, che il suo solo radicamento è territoriale e il centro destra le sta bene solo in quanto le permetterà di fare le riforme che auspica e per le quali una parte così importante del popolo del Nord le ha dato mandato chiaro e innegabile.
Di queste riforme la principale è certamente quella che riteniamo l’apoteosi politica dell’egoismo di massa: il federalismo fiscale.
I tributi raccolti al nord, al nord dovranno essere spesi e nessuno vada più a raccontare la favola della solidarietà, dello Stato come una grande famiglia dove i più forti (e ricchi) hanno il dovere di prendersi in carico i più deboli (e poveri). Signori e signore il libro Cuore è roba di due secoli orsono, la crisi avanza e chi ha qualcosa per durare un po’di più degl’altri non si lascia più incantare. Soldi veneti ai veneti, soldi lombardi ai lombardi e via così anche con i piemontesi e i liguri che, invero, palanche agli altri non gliene hanno mai date tante, schersému?
Quindi più niente, o quasi, trasferimenti di risorse per sostenere il Mezzogiorno, i suoi progetti, i suoi servizi, combattere la disoccupazione e lo sfascio del territorio.
Questa misura che la Lega mette, e non da oggi, al centro del suo discorso programmatico, sembra che questa volta possa essere attuata, con buona pace di AN che esce ridimensionata e schiacciata dai due alleati pur avendo in qualche modo controllato la frana a destra che la coppia Storace-Santanchè aveva annunciato a gran voce.
Insomma, l’unico partito della coalizione vincente che manteneva un certo senso dello Stato è anche il più debole dei tre e dovrà sudare per mantenere un’identità politicamente visibile oltre a quella di prestigio che avrebbe con Fini giubilato alla presidenza della Camera.
Conseguenza immediata di questa riforma della distribuzione delle risorse, l’aumento della disoccupazione al Sud e, per reazione, dell’economia mafiosa, vista sempre di più come scelta semi obbligata. L’arrivo di nuove energie e il progressivo ritiro dello Stato unitario da un territorio che la maggior parte degli uomini al potere non amano, anzi disprezzano, anzi aborriscono, non potrà non tonificare le mentalità e le forme della criminalità organizzata rendendo vano il sacrifico di uomini come Falcone e Borsellino di quelli che come loro, magistrati, poliziotti, militari dell’Arma sono caduti nello sforzo di consentire a tutti gli italiani di vivere nella legalità .
La vittoria degli autonomisti in Sicilia, apparentati con il PDL è un altro segno, se ce fosse bisogno di una delega pre-elettorale in bianco con la quale si sarebbe perfezionato lo scambio “gli eletti in parlamento a noi, il potere a palazzo dei Normanni a voi”.
Come farà poi Lombardo a governare la Sicilia se lo Stato non gli darà più i soldi è tutto da scoprire, a meno che il maxi business del ponte sullo stretto che, scommettiamo, l’uomo di Arcore sarà tentato di autodedicarsi, non si trasformi in una miniera per le cosche e le ’ndrine delle due sponde sempre più intimamente colluse e funzionali al potere, anzi loro stesse sempre più soggetti di potere senza neanche l’ipocrisia criminale dei prestanome.
Senza indulgere al catastrofismo istituzionale non ci sembra peregrina l’ipotesi che in queste condizioni tre regioni meridionali possano diventare territorio di pieno controllo mafioso e si strutturino sempre più come effettivo narcostato al centro del Mediterraneo.
Inevitabilmente questo scenario creerà al Paese un serio problema con le istituzioni comunitarie che non potranno tollerare che da ventre molle il Meridione si trasformi in centro di produzione e smistamento di sostanze stupefacenti e di un pontile d’approdo per i trafficanti di esseri umani che spadroneggiano nel Mare Nostrum.
Ma forse è proprio quello che qualcuno, al Nord, auspica in modo tale da poter vieppiù separare le responsabilità nazionali dai comportamenti meridionali fino ad un oggettivo e, poi in qualche modo formalizzato abbandono del Sud al suo destino.
E Allah ne sa di più
(1-continua)

Dal sito www.islam-online.it



Venerdě, 18 aprile 2008