I SOLITI QUATTRO IMBECILLI

di Vincenzo Andraous

Per tenere ben deste le coscienze


Negli anni 70 iniziò con qualche scaramuccia, con qualche innocente sprangata tra tifosi di opposte fazioni, tra effettivi di diverse casate ideologiche, cominciò così senza tanti complimenti e con molta volontà a costruire percorsi di guerra.
Anche allora ci fu una accettabile preoccupazione, nulla di più e nulla di meno di un fastidioso eccesso di apprendimento politico.
Assemblee, slogan e cortei erano pane quotidiano dei giovani dal libretto rosso, anche di quelli dal braccio teso, tutti quanti presi dentro al laccio dell’apnea rivoluzionaria-emancipante, un cambiamento che non si scompose per il prezzo da pagare, anzi ne richiese altro, peraltro senza batter ciglio.
Anche allora ci furono emblematiche cerimonie colme di sdegno, esequie in pompa magna, ognuno con le proprie lacrime, ciascuno con le proprie promesse di rivalsa.
Il risultato fu un massacro che non consentì prigionieri, neppure quelli rimasti vivi sono riusciti a stare in piedi con dignità, neanche quelli sepolti nelle patrie galere seppero mantenere un ricordo vivido di quella catastrofe.
Una generazione intera dispersa, annientata, dimenticata, anche i morti, quelli innocenti e quegli altri colpevoli, nel tritacarne delle dimenticanze che non permettono prevenzioni né azioni di rimando alla memoria, affinché non si ripetano gli stessi errori di noncuranza.
Iniziò così ai miei tempi, dentro e fuori di una galera, ci fu chi architettò un giudizio della storia più recente, chi ne costruì una nuova fiammante, chi addirittura ne recitò più parti simultaneamente, dapprima per non cadere in tentazione, poi invece finì per ammalarsi di delirio di onnipotenza.
La storia fece capolino attraverso grida e denti rotti, sangue e qualche incidente di percorso, fu teatro della strada, appiccicati ai gomiti della gente, di quella gente che fu a un passo della catastrofe.
Oggi si pesta a morte uno di sinistra, domani uno di destra, si spaccano le teste in università, si brucia un campo nomadi, si devastano negozi e carne di altra nazionalità, lo si fa non per un progetto studiato a tavolino, né per comunicati provenienti da riesumate colonne terroristiche clandestine.
E’ evidente che gli anni di piombo non potranno più ritornare, le condizioni non sono più le stesse, gli uomini sono cambiati, la politica ha fortunatamente bruciato le tappe, spedendo in discarica le utopie storpiate dal sangue, gli utopisti mascherati da figuranti di se stessi.
Odio politico, s’è detto erroneamente, razzismo, s’è raccontato sbadatamente, guerra dei poveri, s’è vociferato con rumore, forse in tanto miscuglio di verità svendute al miglior offerente, c’è qualcosa da cui ripartire per rendere la vita meno difficile a chi non intende restare inerme, né diventare complice di un domani di drammi e accadimenti sconvolgenti, per non dover dire ancora una volta: io però lo avevo detto.
E’ un momento di crisi e di trapasso, il vecchio tira calci, ma rimane indietro, eppure in questi strappi esistenziali istituzionali, c’è un grande ricorso per quegli strumenti efficaci contro la paura e l’insicurezza, spesso il farmaco è la violenza neppure tanto sottotraccia, l’aggressività, la superiorità etnica e l’intolleranza sociale verso quanto non si è più in grado di interiorizzare.
Qualcuno si ostina a perimetrare lo sfacelo incombente con frasi a effetto, con sbiadite alchimie sociologiche, come a dire che queste deformazioni mentali, questo disagio esistenziale compatto, questi team formattati dalle sempre più nuove tecnologie, nulla altro sono che l’isteria di poche unità di mentecatti, di sparuti gruppetti di fuori di testa.
Sarà senz’altro così, ma qualche brivido continua a correre su e giù per la schiena.
Anche allora cominciò così, con qualche capellone invasato dalla lotta armata, con qualche altro iracondo al punto giusto da anticipare le mosse dell’altro, e via così, fino all’espletamento della follia più lucida, resa ingiustizia per l’intero paese, per ogni persona affacciata alla finestra a guardare, a aspettare, perché convinta di essere a debita distanza dalle bombe e dagli spari.
Oggi è quanto mai sospetta la replicanza, con qualche tafferuglio finito male, qualche altro miracolosamente evitato, come ieri ci si divincola dall’urto, circoscrivendo banalmente e pericolosamente l’episodio: quattro imbecilli non fanno storia né riesumanze indesiderate.
Eppure questi imbecilli consentono la formazione di tante piccole squadre d’assalto, armate di tutto punto della nostra superficialità, della nostra recidiva smemoratezza, della nostra crudele disattenzione.




Mercoledì, 11 giugno 2008