Politica - riflessione
Le invasioni barbariche

di Giulio Vittorangeli

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli@wooow.it) per questo intervento]


I libri di storia narrano che quando l’Impero romano, nella sua espansione in Africa e Asia, entrava in contatti con altri popoli come Egizi e Persiani (rappresentanti di antichi imperi e grandi civilta’), questi venivano definiti come "barbari". I Romani riprendevano cosi’, per indicare i popoli con abitudini, costumi, lingue e culture distanti dalle proprie, l’espressione coniata dai Greci per designare coloro di cui non comprendevano la lingua. Il rapporto di Roma con i "barbari" era spesso caratterizzato dall’approccio tipico del dominatore con il sottomesso, come ricorda gran parte dell’iconografia imperiale romana.

Con la successiva apparizione dei popoli provenienti dall’Europa del Nord (Germani, Celti delle Isole) e dall’Europa dell’Est (Sarmati, Alani e Goti) o ancora dai confini con l’Asia (Unni, Avari) si iniziava a parlare di "invasioni barbariche".

Sono passati tanti secoli, ma non sembra sia cambiato proprio nulla.

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Ieri come oggi siamo alle "invasioni barbariche"; alla logica del dominatore e del sottomesso.

I "nuovi barbari" sono gli immigrati ed i clandestini; parole "magiche" dietro le quali non ci sono piu’ esseri umani, donne, uomini e bambini, ma solo strane entita’ aliene e pericolosissime. Conseguentemente, qualsiasi problema e’ attribuito alla mancanza di sicurezza, dovuta alla presenza eccessiva di "extracomunitari", sinonimo di scansafatiche, fuorilegge, violenti, ubriaconi, che arrivano qui non per reali necessita’. Si riaffaccia l’istinto persecutorio verso minoranze etniche indiziate, come tali, di pericolosita’ sociale.

Percio’, il sindaco leghista di Treviso ha istituito le "ronde" per la sicurezza privata; mentre quello di Torino (del Partito Democratico) in una recente intervista ha sostituito i termini di solidarieta’ e uguaglianza con il termine sicurezza. Insomma, c’e’ una pericolosa tendenza bipartisan a confondere marginalita’ e criminalita’ e a militarizzare la societa’ contro la cosiddetta devianza. Non e’ un fenomeno nuovo, basta guardare gli Stati Uniti d’America, dove la poderosa militarizzazione non ha certo fatto diminuire, ma semmai ha moltiplicato criminalita’, insicurezza ed esclusione, che hanno altrove le proprie origini e le proprie radici. Intanto la sconfitta elettorale viene (non casualmente) spiegata con "la parola sicurezza che si e’ usata troppo poco". Eppure non dovrebbe essere difficile comprendere che se si fa (o si subisce) una campagna elettorale sui temi cari alla destra, e’ inevitabile che a vincere sia la destra. E’ una scelta suicida quella di inseguire la destra sul piano della repressione: loro stanno sempre un po’ piu’ in la’, un po’ oltre. Piu’ parliamo il loro linguaggio, piu’ facciamo propaganda alle loro idee, piu’ gli prepariamo la rivincita. Non a caso, violenza, degrado, rapporto con i rom e con i rumeni sono stati gli argomenti forti della campagna del sindaco Alemanno.

In questa societa’, che va facendosi ogni giorno piu’ oppressiva ed escludente, ci dicono che il problema e’ la presenza disturbante di graffitari, lavavetri, venditori e parcheggiatori abusivi, mendicanti e, subito dopo in un inquietante crescendo qualitativo, di migranti, di rumeni, con particolare accanimento se rom. Allo stesso tempo non rientrano nella contabilita’ del crimine: la corruzione, il falso in bilancio, la frode fiscale, i fondi neri, il riciclaggio di denaro sporco, la devastazione ambientale, gli attentati alla salute, le adulterazioni alimentari, l’inquinamento, la riduzione in schiavitu’, il lavoro servile, lo sfruttamento di manodopera clandestina, gli infortuni sul lavoro, ecc. Proviamo a fare nostre le sagge e preoccupate parole di Stefano Rodota’: "Serve davvero con ’necessita’ e urgenza’, un’altra forma di tolleranza zero. Quella contro chi parla di ’bestie’ o invoca metodi nazisti. Non e’ questione di norme. Bisogna chiudere la ’fabbrica della paura’. E’ il compito di una politica degna di questo nome, di una cultura civile di cui e’ sempre piu’ arduo ritrovare le tracce".

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In conclusione, ritornando alla storia di Roma e ai "barbari", vale la pena ricordare come dalla fusione (non facile, ma allo stesso tempo affascinante e complessa) tra tradizione romana e culture dei popoli esterni avrebbe preso avvio la nascita di un nuovo mondo, le radici dell’Europa odierna.

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Numero 446 del 5 maggio 2008



Luned́, 05 maggio 2008