Politica - Dibattito
Obbedienza, infallibilità e Fede

di Rosario Amico Roxas

Alle numerose richieste di chiarimenti pervenutemi per e-mail devo rispondere con un’unica nota; premetto che si tratta solo di una interpretazione personale, con tutti i crismi della discutibilità, della critica.

L’argomento è l’elevazione del presidente francese Nicolas Paul Stéphane Sarkozy de Nagy-Bocsa (in quanto capo di stato francese è anche, d’ufficio, uno dei due co-principi di Andorra) a Canonico della cattedrale di Roma, cioè della medesima basilica della quale è vescovo lo stesso pontefice.
Apriamo così un possibile dibattito che coinvolge prerogative papali, diritti papali, doveri del pontefice, unitamente ai doveri dei credenti che non possono essere disgiunti dai diritti.
Iniziamo con il principio dell’obbedienza che il popolo dei credenti deve al pontefice; tale principio va analizzato nei "pro" e nei "contro" che esso contiene, perchè rappresenta una delega in bianco, insieme alla rinuncia alle proprie convinzioni.
L’obbedienza autentica non è mai una pretesa, una imposizione da parte di chi impartisce un ordine: è piuttosto una concessione da parte di chi liberamente si determina per essa. E’ quella che concediamo non in ragione della autorità dell’altro (ricadremmo nella sottomissione), ma in ragione della sua autorevolezza.
Decidiamo di obbedire, di sospendere il nostro giudizio per il tempo necessario a compiere quell’atto contrario al nostro immediato volere, perché riconosciamo nell’altro la capacità di comprendere di più e meglio di quanto sappiamo fare noi.

L’elevazione di Sakozy a Canonico della cattedrale di Roma rientra in questa dimensione dell’obbedienza ?

Ho l’impressione che tale atteggiamento ci riporta indietro di parecchi secoli, quando Galileo Galilei si salvò dal rogo rinnegando i suoi studi e le sue osservazioni, "osando" affermare l’immobilità del sole, si pentì, rinnegò, accettò le imposizioni, si fece qualche anno di carcere, ma salvò la pelle; mi pare proprio che non si sia stata quella concessione all’autorevolezza pontificia, quanto, piuttosto, una legittima difesa dal "terrorismo del peccato" che prevedeva il purificatore fuocherello del rogo; cosa che non riuscì a Giordano Bruno nè al Savanarola né alle decine di migliaia di streghe, alchimisti, ebrei, dissidenti, liberi pensatori, e ricchi proprietari terrieri i cui beni facevano gola a qualche potente in abito talare.
A proposito dell’obbedienza, corre obbligo rivelare un intervento di Giulio Andreotti a proposito di obbedienza, nel caso di votazioni di "coscienza" nel noto referendum che vide la Chiesa schierarsi apertamente, pretendendo obbedienza dai fedeli; è fin troppo evidente che nel caso-Andreotti non ci troviamo di fronte ad un atto di obbedienza, ma ad un atto di sottomissione.
(v.http://www.antoniotombolini.com/obbedienza.html)
"
Non solo: ci troviamo di fronte ad un atto di sottomissione ma anche (e di questo va reso onore ad Andreotti) ad un vero e proprio atto di denuncia del sopruso perpetrato dall’autorità ecclesiastica nei suoi confronti.
Riconosciamo tutti al senatore Andreotti grande attenzione e raffinata precisione nell’uso del linguaggio: non possiamo perciò non onorare il suo gesto prestando grande attenzione alle sue parole. A cominciare da quelle che non pronuncia: la parola obbedienza, nella dichiarazione andreottiana, non c’è. Non c’è neanche la sospensione del proprio libero arbitrio, laddove Andreotti riafferma positivamente di non aver affatto cambiato idea, e di ritenere ancora addirittura un dovere quello della partecipazione al voto: l’adeguamento al comando di Ruini non conduce dunque affatto a una diversa e superiore comprensione, tutt’altro.
Andreotti dice semplicemente (ma quanto eloquentemente!) "Mi inchino a Ruini".
Non dice mi inchino al volere di Dio,
non si inchina al Papa,
non si inchina al Magistero della Chiesa, non si inchina neanche al Presidente della CEI.
non si inchina neanche all’Arcivescovo Vicario di Roma, pastore della sua diocesi, non si inchina a monsignor Ruini.

Si inchina a Ruini.
Punto e basta.
Tout court.

Ecco l’atto di denuncia del sopruso e della sottomissione necessitata:
Mi inchino a Ruini vale qui:
Mi inchino al Potere ecclesiastico (che paradosso, per chi del potere temporale in Italia è stato a lungo simbolo ed emblema!), incarnato in questa occasione, e dunque occasionalmente, come da un signor Ruini qualsiasi, che proprio per questo suo agire basato su una pura logica di potere, viene da Andreotti, spogliato da ogni carica e da ogni segno del suo ministero sacro.

Ecco perché i cattolici che - ribellandosi a un sopruso - voteranno ai referendum, compresi quelli (come me) che voteranno quattro sì, non sono affatto disobbedienti: semplicemente qui non c’è nulla e nessuno cui obbedire. C’è solo un ordine autoritario di sottomissione, a cui è semmai doveroso - da obbedienti in altro che non al potere, e proprio in quanto credenti liberi e consapevoli - rifiutarsi, e così scegliere di obbedire alla parola autorevole del vangelo: "Il vostro parlare sia sì sì, no no: il di più, viene dal Maligno" (Mt 5:37)."
L’elevazione di Sarkozy a Canonico della cattedrale di Roma, rientra in questa consierazione dell’obbedienza alle decisioni "unilaterali" del pontefice ?

Ma c’è un altro principio che supporta la decisione pontificia: il principio della infallibilità del Papa. Vero è che sarebbe vincolante solo per le pronunciazioni ex cathedra, ma ne è stato fatto un uso anche molto "laico" per far valere ragioni temporali, estranei alla vita spirituale della Chiesa.
Il dogma dell’infallibilità papale fu definito con la costituzione dogmatica Pastor Aeternus.
Secondo tale dottrina il Papa deve quindi essere considerato infallibile quando egli parla ex cathedra, cioè quando esercita il «suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani» e «definisce una dottrina circa la fede e i costumi»; quanto da lui stabilito sotto queste condizioni «vincola tutta la Chiesa».

(v. http://it.wikipedia.org/wiki/Infallibilit%C3%A0_papale):

Pio
IX nel 1854 aveva proclamato ex cathedra il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Esso stabilisce che la madre di Gesù, fin dal suo concepimento, non fu macchiata dal "peccato originale". Questa proclamazione dilacerò le coscienze dei cattolici perché fin dai tempi della chiesa primitiva la materia di fede era tipicamente definita dai Concili e non dal papa. Si ricordi ad esempio il Concilio di Nicea, in cui la divinità di Cristo viene definita in assenza del vescovo di Roma, ed anzi con una scarsa partecipazione da parte dell’Occidente. Le polemiche riguardano in alcuni casi l’oggetto della proclamazione (L’Immacolata Concezione) ma soprattutto la liceità da parte del papa di proclamare dogmi di fede senza il Concilio dei vescovi Per affermare questo diritto Pio IX convocò un concilio che doveva sanzionare questa sua scelta.
Il meccanismo era chiaro: se si dubitava del fatto che un papa potesse decretare anche senza un Concilio, questa potestà poteva essere sancita (agli occhi dei dubbiosi) proprio da un Concilio che confermasse il dogma dell’infallibilità del papa ed anzi la sua assoluta supremazia in materia di fede. In passato ci furono invece concili che destituirono addirittura dei papi, ma occorre ricordare che si era nel periodo storico della restaurazione dell’assolutismo, e il papa guardava a Napoleone III. Questo dogma fu definito nel 1870, nel momento in cui la Chiesa di Roma stava perdendo il proprio potere temporale, cosa che sarebbe avvenuta circa tre mesi dopo. Per proclamarlo fu convocato un Concilio, il Vaticano I, il 18 luglio 1870, poi sospeso il 20 ottobre in seguito alla presa di Roma che segnò la fine del potere temporale dei papi, e non venne più concluso: ma il decreto sull’infallibilità del papa era ormai approvato.Il dogma, voluto fortemente da Papa Pio IX su prevalente ispirazione dei Gesuiti, suscitò le proteste degli ambienti laici del tempo e anche di una parte di quelli religiosi. Benché fortemente avversato dalla curia romana esisteva infatti un cattolicesimo liberale, tanto che una significativa minoranza dei padri del Concilio (prevalentemente francesi e tedeschi) preferì abbandonare Roma per non dare voto contrario al momento dell’approvazione, pur non sottraendosi all’accettazione del medesimo una volta approvato. Invece una piccola parte di vescovi dell’Europa centrale fuoriuscì dalla chiesa di Roma dando vita allo scisma vetero-cattolico, basato sul rifiuto del dogma dell’infallibilità. La proclamazione del dogma costituì il fondamento teologico della scomunica già impartita a Vittorio Emanuele II e ai liberali italiani nel 1855, che si trasformò in attiva opposizione politica dei cattolici al Regno d’Italia con il "Non expedit" del 1874, attraverso la scomunica comminata per la partecipazione al voto e all’attività politica."

Inizia così l’utilizzo "laico" della infallibilità papale, anch’essa supportata dal terrorismo della scomunica, per cui ogni decisione pontificia non potrebbe essere oggetto di riflessioni, di dibattiti o anche di critiche. Principio di obbedienza e principio di infallibilità che stanno rientrando nella consuetudine vaticana di imporre la propria visione, anche quando contrasta con l’evidenza.
Le scelte e le decisioni pontificie si poggiano sull’autorità autoreferente di norme scritte per cancellare ogni possibile ipotesi di critica.
Ma si tratta di autorità, perchè l’autorevolezza il mondo dei fedeli continua ad attribuirla esclusivamente all’insegnamento di Cristo.
La nomina di Sakozy non rientra in nessuna delle imposizioni vaticane e vanno considerate come esigenze politico-diplomatiche dello Stato Città del Vaticano e del suo sovrano, non certo come una spirituale convergenza tra Fede e laicità.
Ha lo stesso valore che, a suo tempo, ebbe la medaglietta che il Congresso americano consegnò a Berlusconi (in piena campagna elettorale), riconoscendolo come "campione della democrazia".
Quella funzione pseudo democratica fu una farsa di regime che aveva bisogno di autoreferenziarsi; una farsa che fece sbellicare di ilarità tutti gli analisti politici seri del pianeta; questa che coinvolge e assimila il pontefice e il presidente francese è un atto che il mondo dei fedeli giudica blasfemo, per cui si sente esonerato dal riconoscere a Sarkozy i titoli che spettano ad un "vero" Canonico della Cattedrale di Roma.


Rosario Amico Roxas(raroxas@tele2.it)



Giovedì, 27 dicembre 2007