Forme e verità

di Concetta Centonze

E’ oramai universalmente conosciuto lo schema di Jakobson che rappresenta e analizza le componenti dell’atto comunicativo.

Ad esso sono collegate altre parti della linguistica che classificano i registri linguistici: formale, medio, informale che, a loro volta, dipendono da fattori extralinguistici quali: la situazione e i ruoli.

Proprio su quest’ultimo aspetto mi vorrei soffermare.

Il ruolo della persona a cui ci rivolgiamo ci condiziona severamente tanto che vengono usati termini desueti come eccellenza, eminenza, santità, onorevole etc.

Jakobson non aveva previsto che la società di massa e l’incultura dei media avrebbe portato ad un livellamento dei registri linguistici in cui la parola deve essere il più possibile vaga, sfumata, imprecisa; di fatto, oggi, la situazione è spesso in aperto contrasto con il ruolo o, sarebbe meglio dire, il ruolo è in aperto contrasto con la situazione, per cui le suddette eccellenze, eminenze, santità, onorevoli, suonano errate nell’ambito linguistico, stonate di fronte al principio di realtà, addirittura un laido sfottò.

Esemplifico: se do del ladro a chi è colto in flagranza di furto, la linguistica, il buon senso, il buon gusto mi impongono di chiamarlo ladro.

La mia premessa vuole essere di sostegno per chi indica gli uomini di potere- sia questo civile o religioso, collusi, portatori di ideologie aberranti, fornicatori etc. con le parole che linguistica e principio di realtà impongono cioè: ladri, mafiosi, corrotti e corruttori, nazileghisti, magnaccia, eretici, simoniaci e via discorrendo.

Mi scandalizza la prudenza ipocrita di chi lecca le malefatte di costoro abbellendole con termini piatti e destitutiti della connotazione che é loro propria. Così facendo salvano una forma- o registro linguistico- a scapito della verità e fanno incancrenire la soft-delinquenza con grave danno per la società intera

Concetta Centonze



Lunedì, 30 giugno 2008