Fino a quando applicar tacendo

di Adriano Sansa

Una lettera dal Corriere della Sera del 21-06-2008. L’autore è Presidente del Tribunale per i minorenni di Genova


Se domani una legge dicesse che prima dell’udienza l’imputato va tenuto in ginocchio sul sale, non la applicheremmo.
Chiederemmo alla Corte Costituzionale di dichiararne l’illegittimità, ma intanto non obbediremmo. Si sta avvicinando il
momento, che mai avremmo immaginato, di questa drammatica frattura delle coscienze, dei cittadini e degli stessi giudici.
Fino a che punto si deve prestare obbedienza alla legge? Antico quesito, peraltro sorprendentemente attuale. La norma che
sospende i processi per i reati puniti fino a dieci anni è stata introdotta surrettiziamente nel testo del decreto sulla
sicurezza, dopo l’autorizzazione del Presidente della Repubblica. Essa viola il principio della separazione dei poteri,
quello della ragionevole durata del processo e quello dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. È escluso che sia
rivolta a disciplinare con indicazioni di massima la «precedenza» tra processi al fine di migliorare il rendimento della
giustizia, perché sospende la maggior parte dei procedimenti pendenti e quasi tutti quelli per gli episodi di criminalità
quotidiana che allarmano i cittadini. Non solo, ma la lettera del premier al presidente del Senato nella quale egli
insolentisce e dileggia i magistrati di fronte ai quali è imputato, contestuale alla presentazione del decreto in Senato,
conferma inequivocabilmente il nesso tra la sospensione generalizzata e la posizione personale del Berlusconi. Nel
complesso ci si trova di fronte a una lesione ripetuta e grave delle regole fondamentali della Repubblica. Una sorta di
padrone tiene il posto del primo ministro, piega il Parlamento al proprio volere e si libera della giustizia nello stesso
momento in cui si propone di imbavagliare la stampa impedendole di riportare notizie sulle inchieste pur dopo la cessazione
del segreto sulle intercettazioni. Per educazione, consuetudine civile, diritto e dovere personale e, nel mio caso, per
lealtà al giuramento di fedeltà alla Costituzione, non possiamo obbedire a leggi fatte per elevare al rango di padrone dei
concittadini un solo cittadino e la sua corte di servitori. Dunque sta avvicinandosi il tempo in cui dovremo chiederci se
obbedire o no alla legge, nel mio stesso tribunale come in tutti gli altri del Paese. Solo pronunciando queste parole, ne
tremo, e capisco a quale punto difficile e ormai drammatico siamo arrivati. Non so se darò istruzioni di sospendere i
processi piegando la testa all’abuso, non so se potrò obbedire.



Giovedì, 10 luglio 2008