Nostalgico Feudalesimo

di Rosario Amico Roxas

Accusiamo i popolo del terzo e quarto mondo e anche le nazioni in via di sviluppo di essere in debito con la Storia, alla luce di un progresso tecnologico che avvantaggia l’Occidente, ma non guardiamo la trave che ci acceca.
Se possiamo vantare il primato tecnologico, peraltro adesso a rischio a causa delle nazioni emergenti, dobbiamo anche constatare un regresso sul piano dello sviluppo umano e culturale.
Malgrado le imposizioni dei media, o forse proprio per la loro imposizione, riemerge, dal profondo Medio Evo, il Feudalesimo con le sue norme, le sue regole e le consuetudini affermate con le buone o con le cattive.
Riemerge quella che veniva chiamata aristocrazia, che oggi possiamo identificare con la media e alta borghesia, così come si ripresentano i “servi della gleba” rinchiusi nel loro stato di disagio, che viene trasmesso ai figli e così per generazioni.
Anche le problematiche annesse e connesse si ripetono pedissequamente, con leggere variazioni sul tema, ma prevalentemente dialettiche e non di contenuto.
Ne sono coinvolte tutte le istituzioni, sia quelle legali che quelle illegali, le istituzioni e le associazioni a delinquere (spesso assimilate fra di loro).

La mafia
Con mafia intendiamo identificare tutte le associazioni a delinquere che cambiano nome a seconda della regione di provenienza, ma mantengono medesimi sistemi di acquisizione e mantenimento di potere. Il potere viene ereditato e trasmesso da padre in figlio; c’è un sistema di vassallaggio con i vari vassalli che controllano il valvassori, i quali a loro volta controllano i valvassini; tutti insieme controllano il territorio. Sono rimasti tra i pochi che mantengono l’indissolubilità della “famiglia”, infatti il primo nucleo dell’organizzazione è proprio la famiglia; un gruppo di famiglie dipende dal capo-bastone locale, il quale a sua volta è controllato dal capo-mandamento, che fa riferimento al vassallo che ha ricevuto l’investitura. Una gerarchia analoga a quella feudale, con un diritto alla ereditarietà, sancito dai fatti, senza bisogno di una nuova “constitutio de feudis”.
Abbiamo visto il caso di Riina; arrestato il patriarca ricevette l’unzione il primogenito, ma non seppe destreggiarsi, perché ancora privo della esperienza necessaria; così ai primi due soli omicidi venne beccato e condannato a due ergastoli, uno per ogni omicidio; allora venne sostituito dal secondo-genito, ma fu anch’egli arrestato. Un bel giorno, però, mentre le TV trasmettevano un melenso Festival di San remo, il secondo-genito informò chi di dovere che gli era venuta voglia di cantare.
Così nell’isolamento del 416/bis, con la noia quotidiana, una chitarra e una bella cantata lo avrebbe risollevato. La musica è sempre la stessa, ma sarebbero cambiate le parole; fu così che di fretta e furia gli fu riconosciuta una permanenza eccessiva in carcere, tanto eccessiva da avergli stimolato l’esigenza di esibirsi canoramente e rimesso in libertà.
Ma i ritmi feudali non sono cambiati; il potere mantiene la sua linea gerarchico/familiare, così come mantiene la forza di richiamare valvassori e valvassini, i quali, in assenza del vassallo si erano dati da fare in proprio.

La politica
Anche la politica mantiene il ritmo feudale, privilegiando anch’essa l’ereditarietà del feudo.
Il significato intrinseco di feudo cambia con i tempi, ma mantiene la sua originale forma di rendita; una volta erano vaste estensioni di terreno, oggi è feudo un posto di parlamentare alla Camera dei deputati; oppure la direzione di una azienda sorta e cresciuta con i soldi pubblici, ma dove i posti di prestigio transitano di padre in figlio, come se le ipotetiche capacità imprenditoriali e manageriali si trasmettessero insieme al DNA, mentre altri, potenzialmente più capaci (ma non lo sapremo mai), si ciondolano nella piazza del paese in attesa di un ingaggio giornaliero o, quando va bene, semestrale.
Questi ultimi appartengono alla mai scomparsa servitù della gleba; sono poveri, ma essendo adusi da generazioni alla povertà, ci sono abituati; pochissimi riescono ad affrancarsi, ma per farlo devono stabilire un patto satanico con il vassallo/politico, attraverso il quale gli cedono l’anima, la coscienza, mettono il cervello all’ammasso e sostituiscono le idee con gli slogan del momento.
Impropriamente viene chiamata “la Casta”; dico impropriamente perché con tale termine si identifica soltanto la classe visibile della politica, ma tale identificazione andrebbe dilatata a tutti i detentori di poteri istituzionali, anche quelli che preferiscono la frescura dell’ombra alla visibilità del sole. I secondi, dall’ombra del potere, esercitano maggiori influenze degli stessi politici, anche perché sono esenti da colpe e responsabilità; ricevono lauti appannaggi, prendono autonomamente quanto ritengono doveroso prendere, e scaricano sulla società, sulla mutazione del mercato, sul petrolio, sul terrorismo, sui servizi segreti deviati, l’andamento disastroso delle loro gestioni.

La Chiesa
Qui l’argomento si fa più delicato, più controverso, perché mancano talune ragioni di contendere.
Mancano, per esempio, i figli (quelli ufficiali) che ereditano il “feudo” amorevolmente curato.
Nel “Primo Feudalesimo” il sovrano si era posto il problema della ereditarietà che gli faceva venir meno larghe fette di territorio e, quindi; di potere. Così alzò l’ingegno e nominò conti i vescovi, oppure costringeva, in nome del Sacro Romano Impero, il pontefice felicemente (e allegramente) regnate, a elevare a dignità vescovile il conte investito del vassallaggio. Ma non per donargli ulteriore lustro, ma solo perché, ufficialmente, e solo ufficialmente, i vescovi non potevano esibire come eredi figli, per cui, alla loro morte, spesso agevolata, il feudo tornava nelle mani del sovrano per una nuova investitura di documentata fedeltà.
Ma la Chiesa reagì, rendendosi conto di essere usata come mezzo per mantenere un maggior controllo del territorio, non stette più al gioco e si avvalse delle sue prerogative e delle potentissime armi a sua disposizione per pianificare la propria supremazia. L’atomica di allora, come arma di distruzione di massa era la scomunica, che veniva comminata all’imperatore recalcitrante. Attraverso la scomunica sia i vassalli che tutte le gerarchie successive e sottomesse, ivi compresi i servi della gleba, venivano esonerati dal dovere di ubbidienza al sovrano, il quale, così, veniva a trovarsi in braghe di tela (letteralmente in braghe di tela) come accadde a Enrico IV nell’inverno del 1077 quando l’imperatore attese per tre giorni e tre notti, scalzo e vestito solo di un saio, prima di essere ricevuto e perdonato dal papa Gregorio VII , che gli aveva comminato la scomunica, nel corso di quella che ci viene tramandata come “Lotta per le investiture”.
Oggi le cose appaiono diversamente, ma non troppo; attraverso fenomeni involutivi, la Chiesa ripesca dal profondo passato usi e metodi e ne rivendica il diritto.
Il feudo odierno è rappresentato dalla possibilità di intromettersi negli affari di Stato, per determinarne l’andazzo, senza tenere conto del dovere di una Stato democratico e laico, di provvedere alle esigenze di tutta la popolazione, senza discriminazione di razza, cultura, religione.
Riprende dal Medio Evo il diritto all’ubbidienza che corrisponde al dovere di ubbidire, per imporre le sue scelte attraverso i parlamentari di una repubblica che ha il suo centro di potere nel Parlamento democraticamente eletto; così i parlamentari cattolici, confessionali, bigotti, vengono posti nel dilemma dell’ubbidienza.
A chi devono ubbidienza al pontefice in quanto cattolici e cristiani ?
Oppure al dovere costituzionale di considerare tutti i cittadini uguali di fronte alla legge, e, quindi, alla Costituzione, per sostenerne i diritti di tutti i cittadini , qualunque sia la loro fede, la loro cultura, la loro razza, o i loro convincimenti etici (purchè non in contrasto con le leggi della convivenza civile) ?

Conclusione
I due soli di dantesca memoria sono diventati tre, perché ai primi due, Stato e Chiesa; si è autorevolmente inserito il terzo sole della criminalità organizzata, che dialoga con gli altri due, palesemente oppure segretamente; combina affari che rendono per tutti, si serve di uno dei tanti “ponti dei frati neri”, che sono sempre disponibili tipo medievali scomuniche, ma con esiti irreversibili. Ciò che rimane immutabile nei tempi è la condizione dei servi della gleba, e se qualcuno si alza di buon mattino e cerca di sostenerne le ragioni, viene tacitato come incapace, perché “non ha la laurea”.


Rosario Amico Roxas



Mercoledì, 05 marzo 2008