Appena conosciuta la disgrazia nella sua enorme dimensione, si è sparso il panico tra la gente. Nei piccoli centri
dellentroterra siciliana ci si conosce tutti; si tratta della parte più sana della popolazione e più solidale.
E gente lontana dalle esigenze dellapparenza, vive di lavoro, vive per la famiglia, vive per il rispetto della propria
dignità.
Un segnale è emerso, al di là delle parole di circostanza; un segnale che ha mostrato ai telespettatori increduli il volto
triste di questa Sicilia e delle sue donne.
In attesa del penoso cerimoniale del riconoscimento e del calvario delle dolenti note dei funerali, le donne sono apparse
in abito nero, come se lo avessero già pronto, come se il lutto fosse sempre in attesa di entrare. La disperazione,
superiore a qualsiasi dolore, non toglie nulla alla sacralità del lutto, crea, anzi, unatmosfera che ci riporta alle
tragedie greche.
La Sicilia di Pirandello con le sue quotidiane assurde contraddizioni, la Sicilia di Verga immersa nel duro lavoro, la
Sicilia di Sciascia con lombra oscura della mafia, la Sicilia di Cammilleri con le istantanee colorate della quotidianità,
lascia il passo a quella Sicilia mai scomparsa che si riconosce nella tragedia greca, perpetuando langoscia che segna un
labile confine tra la vita e la morte.
Quella fascia di popolazione "lontana dalle esigenze dellapparenza, che vive di lavoro, che vive per la famiglia, che
vive per il rispetto della propria dignità", ancora una volta deve prendere atto che di lavoro si può anche morire. Rosario Amico Roxas
Giovedì, 12 giugno 2008
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