Riflessione
Il disagio violento delle citta’

di Giancarla Codrignani

[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri@libero.it) per questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia’ parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta’ e per la pace, e’ tra le figure piu’ rappresentative della cultura e dell’impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L’odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; L’amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005]


Bisogna che ci guardiamo dentro, perche’, se stiamo male nelle citta’, e’ anche perche’ non ce ne chiariamo le ragioni.

Si e’ fatto un gran rumore mediatico su iniziative del governo come se davvero i ministri non sapessero quel che si dicono. E’ ovvio che ci sono leggi e leggi e che nessuno pensa che il colluso di mafia o l’evasore siano analoghi a lavavetri e graffitari, magari con l’aggravante che i primi non andrebbero in galera e gli altri si’. Forse bisognerebbe riflettere sugli anni impiegati per cacciare Previti dal Parlamento o sulle difficolta’ di abrogare la legge Cirielli, per dare le responsabilita’ del sostegno alla corruzione a chi effettivamente se ne fa responsabile...

Faccio questa premessa perche’ sono preoccupata, da nonviolenta che ha sempre fatto politica con il senso del limite di vivere solo nel 2007 d. C., del livello di violenza che sta crescendo - e non solo in Italia - all’interno delle nostre citta’ e, perfino, delle nostre famiglie. Con qualche competenza delle conseguenze che trae con se’ ogni fenomenologia bellica, potrei far ricadere tutte le responsabilita’ sulla guerra che, anche come forma di competitivita’, di ambizione, di rabbia, di intolleranza, ci assedia da ogni parte. Ma non mi va.

Non c’e’ continuita’ o almeno contiguita’ tra privato e pubblico, come si diceva in anni lontani? Possiamo prevenire la crescita dell’odio e della violenza? a Bologna il domenicano p. Paolo Garuti ha abbandonato l’assemblea del Quartiere in cui il Comune intende concedere il permesso di costruire una moschea perche’ gli interventi del pubblico "sono stati davvero di tipo razzistico... come discutere con qualcuno che giustifica il matricidio...
C’erano gli estremi per la diffamazione". Che "difesa" e’ quella di chiedere l’esclusiva della propria identita’ "contro" quella - di per se’ non colpevole - di altri? Si sta gia’ chiamando la guerra...

Quindi, siamo davvero buoni quando ce la caviamo con un euro dato al lavavetri (pur sapendo dell’esistenza dei racket)? Siamo giusti quando chiediamo la legittimazione della prostituzione? Andrebbe forse bene la "professione" di lavavetri per nostro figlio o l’"esercizio" della prostituzione per nostra figlia? In nome della pari dignita’, i piu’ poveri hanno diritto ad un lavoro dignitoso e ad un domicilio sicuro: lavare i vetri e’ accattonaggio. Allo stesso modo i gentiluomini che raccattano corpi sui viali non rimediano, schiavizzando per un po’ una donna, alla propria mancanza di dignita’.

Per dare lavoro e case bisogna essere generosi e disposti a quella condivisione che puo’ assumere lo sgradevole nome di "tasse". Altrimenti non e’ questione di "tolleranza zero", ma di incapacita’ a farsi responsabili della convivenza civile. Per troppi, anche giovani e di sinistra, la legalita’ e’ una brutta parola (e Genova ne avrebbe rappresentato la dimostrazione, mentre fu violazione della norma istituzionale).

Le nostre citta’ sono piene di malessere perche’ stiamo perdendo il senso del vivere da umani. In molti non ce ne accorgiamo: usiamo la macchina senza calcolarne, anche rispetto la quantita’ dei gas di scarico, l’effettiva necessita’; andiamo in bicicletta sotto i portici; non raccogliamo la cacca del nostro cane e abbandoniamo gli animali quando ci danno fastidio; lamentiamo disagi relativamente modesti dei servizi pubblici e per converso, se ci lavoriamo, non siamo cosi’ attenti nell’osservare i doveri del lavoro; abbiamo dimenticato che quarant’anni fa eravamo migranti e subivamo le esclusioni delle vecchie mutue; sono aumentati i delitti in famiglia e donne e minori sono sempre piu’ le vittime... Ci siamo corrotti, anche senza volere, ad opera del maggior benessere, del consumismo, della politica populista.

Ma il mondo giovanile preoccupa di piu’. Ovviamente non si tratta di generalizzare; ma sono troppe le tendenze piu’ o meno potenzialmente violente: ogni citta’ conosce il fenomeno delle bande, i bulli sono sempre piu’ numerosi anche nelle scuole, gli atti di vandalismo e i piccoli furti non si contano, gli stadi sono luoghi pericolosi e non di svago, il sabato sera registra vittime dell’incoscienza; cresce il consumo di droghe piu’ da sniffare che da buchi, meno controllabili; l’"isola dei famosi" suggerisce violenze non solo verbali...

Allora e’ sull’educazione che bisogna impegnarsi, prima che il disagio devasti anche le famiglie. Le quali famiglie nutrono i loro pargoli a merendine e play station violente, telefonini e orrende scarpe firmate; e alla scuola chiedono buonismo e promozioni. Sembra che in molte case non esistano regole e che un eccesso di protezione renda i giovani incapaci di sostenere fatica e dolore. E irrimediabilmente diseducati alla realizzazione di se’ e alla convivenza.

Il problema torna alla scuola, l’istituzione che la Costituzione privilegia come diritto fondamentale alla formazione della comune cittadinanza. Se non si fa prevenzione da mali sociali maggiori a livello educativo - che si tratti di ragazzi europei o stranieri -, non restera’ che reagire con le misure di legge davanti ai reati, sia pur minori, commessi da ragazzi, italiani o stranieri. Nessuno ha detto di mettere in carcere senza reati; e, anche se a Treviso un tale, pur investito di responsabilita’ istituzionale, pensa alla pena di morte, non siamo forcaioli. Per chi fosse nonviolento tutti i luoghi educativi, a partire dalla scuola, sono luoghi formativi di pace, parola spesso sprecata se non perseguita come progetto di vita comune, individuale e sociale. I violenti sono quasi sempre ignoranti. E oggi nessuno puo’ piu’ permettersi di essere ignorante. Le "materie" scolastiche non bastano ancora a strutturare la mente affinche’ sia all’altezza di "leggere" la complessita’ dei sistemi moderni. Le nuove tecnologie hanno cambiato il rapporto con la vita, le persone, le cose. Gli inglesi sperimentano le chimere: e’ il livello di responsabilita’ a cui la scienza attende i giovani. Invece, non siamo all’altezza e non servono le deprecazioni.

Secondo don Milani i ricchi fregavano i poveri perche’ sapevano piu’ paroledi loro. Oggi anche i ricchi che non vanno al Mit rischiano: i giovani che hanno trascorso piu’ ore davanti alla Tv che a scuola, si inchiodano davanti a parole comuni loro sconosciute cosi’ come ai problemi matematici complessi; e desiderano partecipare al "grande fratello" o diventare veline. Per giunta le espressioni piu’ comuni sono non trasgressive, ma violente. Attrezzare la mente a "capire" significa recuperare senso di se’, di capacita’ di convivenza, e, anche, felicita’. Antidoto a quella violenza che nasce dalla disperazione di cui certi muri sono inquietante segno.

Tratto da
Notizie minime de
La nonviolenza è in cammino


proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

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Numero 209 dell’11 settembre 2007



Marted́, 11 settembre 2007