Politica- Capitalismo
da Marx a Schumpeter

di Rosario Amico Roxas

Nel 1883 moriva Marx e nasceva Schumpeter, l’economista teorico massimo del capitalismo; questi rispose in anticipo alle accuse che sarebbero state rivolte, periodicamente, al capitalismo e cioè di essere in crisi. Le previsioni di Marx, circa la morte del capitalismo, che sarebbe inevitabilmente avvenuta, furono contraddette dalla storia; fu il sistema economico socialista a morire quando, superati gli schemi della contrapposizione ideologica democrazia/comunismo, si passò alla contrapposizione economica capitalismo/sistema socialista. Schumpeter non solo non negò che periodicamente il capitalismo sarebbe caduto in crisi, ma identificò lo stesso capitalismo con la crisi: il capitalismo è la crisi, se periodicamente non si verificasse tale situazione si fermerebbe il mprogresso. I processi di concorrenza, di innovazione continua distruggono e creano allo stesso tempo, sconvolgono ciò che c’era e promuovono il cambiamento; il sistema capitalistico stimola il momento di crisi per modificare l’assetto precedente in una spirale di continua evoluzione. La crisi del capitalismo genera un rinnovo funzionale, così come accade negli organismi viventi che sostituiscono le cellule vecchie con cellule nuove, con la differenza che le cellule del capitalismo, nel loro rinnovarsi, mutano forma, dando origine ad un altro capitalismo differente dal precedente, sempre più aggressivo, sempre più avido, sempre più individualista. In questo processo evolutivo è estremamente importante essere alla testa di tale evoluzione, cioè essere i piloti del circuito crisi-rinnovamento-crisi, in tal modo tutto il sistema capitalistico deve adeguarsi o soccombere; non c’è spazio per i Paesi in via di sviluppo che non possono seguire tale genere di modificazioni con i ritmi imposti da chi tali modificazioni programma e promuove, né tanto meno può esserci spazio per i Paesi sottosviluppati. Il detentore della tecnologia avanzata che promuove le modificazioni diventa il regista unico di riferimento.
In questi ultimi anni, cronologicamente dagli anni ’80 ad oggi, il capitalismo sta compiendo un’altra delle sue rivoluzioni tecnologiche, ma questa volta le implicazioni sono principalmente di natura sociologica e antropologica.
Lentamente, ma inesorabilmente sta scomparendo, nel mondo occidentale/capitalistico, la figura dell’operaio che viene sostituita con quella dell’impiegato; la maggioranza degli uomini, in Occidente, molto presto, non si avvierà più verso le officine, ma si indirizzerà verso gli uffici; a ciò si aggiunge che la creazione di un posto di lavoro come operaio ha implicato un investimento minimo di 25.000 dollari, mentre la creazione di un posto di lavoro impiegatizio si limita ad un investimento di soli 2.000 dollari. Queste due cifre dagli anni ’90 in poi tenderanno ad eguagliarsi verso il basso, con una dilatazione del terziario a discapito dell’attività operaia; in Italia ne abbiamo avuto la prova tangibile con la strutturazione del lavoro precario come metodo e sistema. Il dilatarsi dell’uso dei computer e della robotica nelle officine ha determinato una espansione produttiva senza precedenti che ha necessitato di sempre nuovi mercati ai quali imporre i propri prodotti: è la globalizzazione dei mercati.
Tutto ciò ha generato anche la delocalizzazione produttiva verso quei paesi che, per mancanza di tecnologie avanzate sono rimaste indietro con la evoluzione che è stata imposta ai tempi tecnici dal capitalismo; la delocalizzazione produttiva è l’aspetto più disumanizzante, perché coincide con un nuovo e più aspro sfruttamento della manodopera a basso costo e del lavoro minorile, senza che venga lasciato nulla come valore aggiunto ai prodotti realizzati. Si tratta solamente di sfruttamento, quello imposto dalla globalizzazione in alternativa all’integrazione fra i popoli.
I Paesi del terzo mondo, sottosviluppati e alle soglie dell’indigenza assoluta, cos’altro possono offrire all’opulento mondo occidentale se non manodopera a basso costo ?
La forbice economica tra la minoranza delle nazioni ricche e la maggioranza delle nazioni povere è destinata a dilatarsi sempre più. Il panorama che ci viene offerto è quello di un mondo di Paesi attenti alle innovazioni tecnologiche e Paesi impossibilitati a seguire il passo, destinati, quindi, a regredire sempre più e a subire quello sfruttamento che, almeno, consente loro di poter disporre dell’indispensabile per sopravvivere.
La storia, così, divide il mondo in popolo dei vinti e popolo dei vincitori, sfruttati e sfruttatori, debitori e creditori, produttori e consumatori.
La tecnologia è diventata il motore della storia e l’uomo si ritrova al servizio di tale tecnologia. Ai primi dell’800 furono le nazioni attaccate alle vecchia civiltà contadina che si fecero superare dalle nazioni più pronte a recepire il processo di industrializzazione; oggi sono le nazioni legate alla vecchia civiltà industriale che si faranno superare dalle nazioni che hanno prodotto la nuova civiltà della robotica; è l’errore di valutazione commesso dagli USA, quando hanno programmato la globalizzazione dei mercati: non si resero conto di forgiare un programma che li avrebbe distrutti, perchè non hanno saputo prevedere il decollo industriale della Cina che compendia due elementi economici come la tecnologia avanzata e il lavoro a basso costo.
All’Occidente-Europa si presentano due sole ipotesi di lavoro o due possibili panorami:

1) associarsi allo sviluppo industriale e inseguire l’evoluzione della tecnologia,
2) creare uno sviluppo autonomo dissociato dalla forsennata evoluzione dell’Occidente-America e realizzare in politica estera/interna una equivicinanza alternativa al capitalismo monopolistico sia con la nazione capofila della tecnologia avanzata che con tutti gli altri Paesi in via di sviluppo e/o sottosviluppati, con particolare attenzione ai Paesi mediterranei dell’Africa del Nord e dell’Africa sub-sahariana, nonché ai Paesi del Medio Oriente non ancora totalmente sottomessi allo strapotere tecnologico e militare americano.

Nel primo caso l’Europa sarebbe destinata a diventare succube degli USA e della sua corsa al tecnologicamente avanzato; finirebbe con il pagare il conto del susseguirsi delle crisi che lo sviluppo tecnologico crea per avanzare di livello.
Nel secondo caso si tratterebbe di realizzare una nuova politica di dissociazione e effettuare una scelta di equivicinanza ai nuovi poli che sono stati creati, Occidente e mondo arabo-islamico, differenziando alla base, nella discontinuità della politica estera, l’Occidente-Europa dall’Occidente-America.
In questo secondo caso lo sviluppo dell’economia avrebbe un carattere molto più a misura di uomo, in grado di rispondere alle domande che emergono spontaneamente senza dovere forzare le domande creando falsi bisogni per eliminare la sovrapproduzione.
L’integrazione fra i popoli può rendere più responsabili le nazioni più avanzate nei confronti delle nazioni sottosviluppate o in via di sviluppo, secondo l’itinerario del ’crescere insieme’; è il concetto dell’umanesimo delle responsabilità descritto dalla Gaudium et Spes con una attualità che si rinnova costantemente; è la globalizzazione delle responsabilità, la globalizzazione dell’economia, la globalizzazione dello sviluppo equilibrato, che contrasta la globalizzazione dei mercati che mira ad assoggettare intere popolazioni e intere culture alla logica dell’interesse materiale del più forte.
Lo sviluppo dell’uomo non è più il problema prioritario della società civile che ha modificato anche la sua sociologia e la sua antropologia, perché ha favorito l’affermazione della nuova sociologia della tecnica, contro la sociologia del Nuovo Umanesimo.
Tornando alle lungimiranti deduzioni di Schumpeter vale la pena evidenziare

’… il rendimento attuale potenziale del sistema capitalistico è tale da smentire le ipotesi di un crollo sotto il peso di un fallimento economico, ma il sistema odierno crea inevitabilmente le condizioni in cui il capitalismo non potrà più vivere, tornando ad assimilarsi al socialismo’ (J.A. Schumpeter, Capitasism, Socialism, and Democracy, 1942; trad. italiana del 1955)

Così, pur rimanendo in una posizione contraria alle tesi del socialismo Schumpeter riuscì a delineare una analisi minuziosa del crescente decomporsi della civiltà capitalistica nella quale per tre secoli si era identificata la borghesia, arrivando ad una conclusione analoga a quella dei più attenti studiosi del marxismo:

’La prognosi non implica di per sé la desiderabilità del corso storico prognosticato. Si può anche odiare il socialismo, o, quanto meno, vederlo con spirito freddamente critico, e tuttavia pronosticarne l’avvento’ ( Testo citato)

Il capitalismo, mantenendo la sua vocazione a privilegiare la tecnologia sull’uomo, contiene in sé i germi del materialismo marxista pilotando il mondo verso un nuovo materialismo: il materialismo edonistico, che privilegia i consumi mortificando il risparmio, che privilegia l’apparenze contro la
sostanza, l’avere sull’essere.



Martedì, 23 ottobre 2007