Sul caso Grillo
La necessità di un progetto di crescita democratica

di Fulvio Turtulici

Non serve trattare con sufficienza il fenomeno Grillo. Può essere che ecceda verbalmente e talora, in qualche frangente, trasmodi nel populismo, ma coi tempi che corrono è il minimo. Più importante è capire il disagio di quanti lo seguono, la loro sfiducia nella classe dirigente, non solo politica, ma nel suo complesso inadeguata ad affrontare i problemi gravi delle nostre società.
Il nostro sistema occidentale è in crisi d’identità e valori, si dimostra ormai inadatto, non funziona più, da l’impressione di una locomotiva che fa fumo e rischia ogni momento il disastro. Si veda la vicenda dei mutui americani: non si tratta di un fulmine a ciel sereno, è l’ultimo di una serie inquietante di perturbazioni.
Ma in Italia tale affanno incide su di un Paese che non ha il senso dello Stato, formazioni politiche che vanno da un polo affaristico con marcate venature fasciste e l’unico cemento ideologico del razzismo, ad una costellazione di gruppi e gruppetti eterogenei ma che in buona parte hanno perso ogni connotazione ideale, hanno rinnegata storia e memoria sostituendole con il niente, senza progetti e una sorta di ammaliamento per la disinvoltura degli avversari, dunque una burocrazia inefficiente e corrotta, una oligarchia imprenditoriale provinciale e accattona, un’informazione comprata.
Quindi l’illegalità deflagra; non sono solo le organizzazioni criminali del sud, ma tutto il Paese ha acquisito l’arte di arrangiarsi, sobbolle e si inclina ad avventure di tipo fascista, di nuovo mascheramento ma sempre vecchie.
Riesumano ceffi che inquietantemente somigliano agli altri del tempo dei delitti di Stato: i servizi deviati, i Pollari fedeli ai mandanti e non alle istituzioni, loschi figuri come Scaramella, parlamentari tragicomici come Guzzanti e nelle aule parlamentari e nelle commissioni antimafia vengono fatti accomodare i pregiudicati, votati, senza alcuna distinzione, a Palermo come a Milano.
Guardiamo appunto al nord, dove dominano incontrastate le urla degli autonomi e degli artigiani, renitenti al pagamento delle tasse.
Qui hanno fatto fango di quello che pure, senza senso del ridicolo, chiamano dio Po, hanno ucciso la vita nelle campagne e la ricchezza che dava, hanno affogato il territorio con una miriade di brutte fabbrichette, finendo per saturare il mercato che nonostante l’ansia consumistica non ne potrà più assorbire l’intero prodotto, anche a causa della concorrenza, hanno cementificato le montagne che franano e tutto ciò per comprarsi le Mercedes e i Suv, la seconda casa, magari a Parigi, pur sentendo di provincialismo quanto un pastore di stallatico.
Hanno disperso la cultura dello stare insieme ben prima che arrivassero gli extracomunitari a fare i lavori che loro da tempo rifiutano, adesso stanno isolati davanti la televisione e l’intossicazione che tracima da essa, per cui la celebrità sostituisce la fama e la notorietà oscura la stima. Non hanno più rispetto della madre terra, la ricchezza che è solida, non l’effimera delle azioni, e che connotava le loro comunità, adesso la terra è soltanto un possesso da sfruttare e abusare.
Perchè questo Paese è dominato dall’ansia degli sghei, i contadini che hanno visto il miraggio degli opimi consumi crescenti e hanno persa la saggezza che li contraddistingueva.
E lo schieramento parlamentare, da destra a sinistra, con la sola eccezione qui dei cosiddetti radicali, peraltro ormai alquanto timidi, difende gli interessi dei privilegiati, grandi e piccoli, di chi ha avuto agio di evasioni e rendite; gli stipendi fissi, i precari, i pensionati, i disoccupati, i lavoratori al nero e sfruttati, quelli che rischiano giornalmente di morire nei cantieri per una paga da fame, i giovani senza prospettive, coloro che temono minacciata la loro esistenza per uno sviluppo non sostenibile, quanti hanno studiato e adesso i loro studi sono inutili pezzi di carta, i ricercatori disincentivati, chi si è visto superare da impuniti e furbetti non li rappresenta nessuno: è la democrazia rappresentativa che in verità serve le oligarchie dei lobbisti e dei furbastri e dei vicini e dei serventi, non già tutti i cittadini.
E’ questo disagio che Grillo ha fatto emergere con la rabbia sulla lingua. Ci vorrebbe chi sapesse convogliare simile sofferenza verso un progetto di crescita democratica; ma non c’è.



Domenica, 30 settembre 2007