Cos’è il lavoro ?

di Rosario Amico Roxas

Avendo doppiato quasi due volte “il mezzo del cammin di nostra vita” sono rimasto arretrato, ai tempi quando il lavoro era sacrificio, fatica, tanto sudore e poca soddisfazione materiale; ma era il centro dell’organizzazione sociale. Il lavoro era inteso come strumento dell’uomo, con il quale realizzare la propria dignità, il proprio essere, a volte la propria vocazione, altre volte solo per conciliare le esigenze proprie e della famiglia non necessariamente in questo ordine.

Cosa è diventato il lavoro nella considerazione dei muscolosi esponenti del governo appena insediato, ce lo ha chiarito il ministro Brunetta con una serie di interventi che basta solo metterli insieme per afferrare d’un sol colpo le limitazioni culturali, le inconsistenti approssimazioni che affliggono il “brontolo” del governo. Cominciamo con i fannulloni, quelli che esagerano con le malattie, i permessi, i ponti, le vacanze e la cagionevole salute alla fine delle ferie; ma, come dicevano gli antichi saggi “Il pesce puzza dalla testa”, così proprio mentre il ministro identifica i fannulloni altrove, ecco che il governo con maggioranza bulgara viene bocciato proprio a causa dei fannulloni che sono stati eletti e chiamati a rappresentare il popolo e fornire l’esempio del “buongoverno, come recitano i circoli giovanili di Dell’Utri, più noti e meglio identificati come “picciots club”,Ma la dichiarazione più grave e più destabilizzante sta nell’assimilazione del lavoro come “merce”, che rappresenta la più plateale distorsione della mentalità liberista, figlia legittima del peggior capitalismo d’assalto. Come merce il lavoro deve confrontarsi con le regole del mercato, dove ad una maggiore domanda di lavoro corrisponde una contrazione dei compensi o salari o stipendi; per questo, specie nel razzista Nord-Est d’Italia vengono avanzate richieste di immigrati, in modo da stimolare la concorrenza tra poveri sulla quale lucrare l’entità del costo.

Lavoro = merce, come persona = macchina; l’uomo non è più produttore del proprio lavoro, ma solo dispensatore di un modo di produrre, dentro il quale avviene lo sfruttamento grazie al ricatto determinato dalla grande varietà di offerta. E’ un ritorno al materialismo della peggiore specie, il materialismo del possesso, del denaro e, nei casi più eclatanti, anche materialismo del potere.

Il solo “capitale” che conta è il denaro, e non importa se denaro proprio o denaro prestato, in modo da esercitare diritti senza correre veri rischi.

La dilatazione del mondo dei “capitalisti-senza-capitali” ne rappresenta la prova che sfocia in due mondi paralleli: da una parte chi possiede ed aumenta il suo possesso e chi non possiede e vede dilatarsi il suo stato che scivola dalla mancanza del necessario alla mancanza dell’indispensabile.

Che il capitalista abbia nel denaro il suo “capitale” potrebbe, ancora, essere un metodo promozionale della crescita economica, purchè non venga utilizzato solo per promuovere quel consumismo che divide le popolazioni in produttori e consumatori.

Ma è indispensabile che anche il lavoro venga inteso come un “capitale”, ma un capitale umano che deve consentire una qualità della vita proporzionale a quella dell’ambiente in cui si sviluppa; ridotto a merce di scambio con l’alterazione del suo valore a causa della concorrenza che viene promossa e stimolata, si riduce ad essere elemento di scambio sottomesso alle bizze dei proprietari dei mezzi di produzione. Non sono rari i casi di buste-paga che nella distinta contengono uno sviluppo del salario secondi i contratti collettivi di lavoro, mentre il contenuto è decurtato dal prezzo dei ricatto; il lavorare non denuncerà mai il sopruso per non perdere il lavoro e sarà, così. Costretto a subire; è la ragione per la quale è stata inventata la precarietà come sistema, in modo da potersi liberare facilmente di quegli operai riottosi a proseguire nell’itinerario della sopportazione obbligata.

Un giorno si arriverà a valutare un solo capitale che per l’imprenditore potrà essere il denaro e la capacità imprenditoriale e per il dipendente la sua capacità produttiva; ma dovrà passarne di acqua sotto i ponti, perchè non si tratta di una valutazione politica, anche se la politica dovrà gestirla, ma si tratterà di uno sviluppo innanzitutto culturale e sociale, magari suggerito da una ineluttabile regressione nei consumi dove avverrà una spontanea selezione tra l’utile e il superfluo, in grado di riproporre la centralità dell’uomo, alternativa alla centralità del mercato.



Giovedì, 29 maggio 2008