Chi siamo e chi vogliamo essere ?

(Note per una politica vincente)


di Rosario Amico Roxas

PRIMA di parlare della Sicilia, del suo ruolo nel Mediterraneo, dobbiamo accettare che tale problema non è prioritariamente un problema politico o economico, lo diventa come logica conseguenza, ma nel momento del suo porsi è un problema di ordine sociale e culturale, ed è su questa base che occorre iniziare un dialogo, perché esso possa essere produttivo e foriero di novità.
Sento sempre più urgente lo sviluppo di una cultura, sia politica sia sociale, più moderna e sento che molti la pensano in questo modo. Questa è, a mio parere, la questione fondamentale su cui basare tutto il resto. Di più, credo che questa sia la discriminante tra una politica vincente e una destinata all’insuccesso, tra un Paese moderno, dinamico, competitivo e aperto al futuro e un Paese arretrato, fermo e cristallizzato sul passato, che reinventa situazioni storicamente finite per suggerire panorami catastrofici e proporsi come ultimo baluardo contro il rinascere della barbarie.
Mi pare che disquisire sulle provenienze liberali, socialiste, comuniste o popolari sia un rimanere invischiati in logiche del passato. Ciò è tanto più vero se consideriamo che questi aggettivi appaiono sempre più vuoti e privi di contenuti, che oggi hanno serie difficoltà a tradursi in risposte concrete ai bisogni del Paese. Questo non significa che le suddette tradizioni siano obsolete e inutili, anzi sono portatrici di esperienze e valori fondamentali per crescere e andare avanti, non certo per tornare indietro.
Purtroppo pero’ non discutiamo abbastanza sui problemi reali, sulla visione dell’Italia e della Sicilia che vogliamo costruire e sulla ricerca di soluzioni e un programma che le attui. Si discute invece percentualmente troppo di organizzazioni e raggruppamenti e logiche di gruppo e di piccoli poteri. Siamo un po’ fermi agli schemi di trent’anni fa e non ci accorgiamo che la realtà è andata avanti, spinta dall’accelerazione della storia che ha modificato lo scenario economico e sociale.
Penso che i valori di democrazia, libertà, centralità dell’uomo e solidarietà sociale debbano tradursi in programmi concreti che rispondano alle sfide del nostro tempo e alle nuove questioni che si pongono. In proposito, serve realizzare uno Stato e una Regione che, in modo efficiente, siano in grado di sostenere i bisogni delle persone e supportare la voglia di sviluppo e crescita di ciascuno. È importante che il merito e l’intraprendenza siano premiati, che si esalti la responsabilità personale e collettiva nella determinazione del nostro vivere insieme. Bisogna trovare nuovi spazi di discussione e di aggregazione non più centrati sulle ideologie del Novecento, ma rivolte a costruire la società del XXI secolo. In breve, dobbiamo farci portatori di modernizzazione intesa come capacità di rispondere ai problemi attuali.
La nostra società è mummificata in logiche di rendita di posizione, conta ancora più il favoritismo, il clientelismo che il merito e la voglia di impegnarsi. Ci sono più divisioni in interessi di parte che disponibilità a lavorare insieme per costruire il benessere di tutti.
In una società globalizzata non siamo uniti per competere con il mondo, ma ci fermiamo a difendere la nostra piccola rendita col risultato che questa si riduce sempre più. Rispondere a queste questioni di modernità, a mio modo di vedere, è l’unica strada per intercettare quella voglia di cambiamento che esiste. La gente è sempre meno attratta da ragionamenti politici astratti e distanti dalla vita quotidiana. Come qualcuno nota in questi giorni, non dobbiamo farci intrappolare in una immagine di difesa dello status quo, ma farci portatori di proposte e idee su come migliorare la risposta dell’istituzione pubblica ai bisogni e le aspirazioni dei cittadini. Qui dobbiamo essere efficaci perchè c’è una tendenza che porta avanti politiche liberiste proponendo una cultura individualista con riduzione delle funzioni dello Stato visto come un impedimento alla libertà del singolo, siano essi i Comuni, la Provincie o le Regioni. Se vogliamo che prevalga invece la cultura della solidarietà, dell’integrazione fra i popoli e della difesa dei più deboli, bisogna rendere la struttura pubblica più funzionale e inattaccabile da chi vorrebbe eliminarla col pretesto di inefficienza.
Credo anch’io che sono in molti, soprattutto tra chi non è un ex-qualcosa, che, con impegno e qualità, si adoperano per costruire qualcosa di buono. Dobbiamo vivere la politica proprio per rinnovare il modo di fare politica. Purtroppo emerge molto di più la difficoltà a superare i vecchi schemi che non la volontà di appropriarsi di schemi più nuovi, più agili, più moderni.
Il parto di qualcosa di nuovo è sempre travagliato, ma se si tiene dritto il timone verso l’obiettivo da raggiungere, si ottiene qualcosa che ripaga di ogni sforzo. Credo che non siano importanti le storie individuali di ciascuno, ma che il progetto complessivo di novità, il progetto di modernità, sia forte e come tale abbia capacità di attrarre. Se le persone difendono il proprio interesse politico, non sono utili alla costruzione del nuovo, chiunque esse siano; se, al contrario, si adoperano alla costruzione di un progetto di politica moderna e concreta offrono la garanzia di prospettive positive. Il confronto è il solo mezzo per appurare quale dei due obiettivi si cerca. Ognuno ha il suo passato e con esso deve fare i suoi conti, ma urge guardare avanti verso il futuro che auspichiamo e che vogliamo costruire.
Credo di avere risposto alla domanda che avevo invitato a rivolgerci: “Chi siamo e chi vogliamo essere ?”, senza unanimismi forzati o plebiscitari consensi, ma con convinta adesione ai programmi di sviluppo che dobbiamo elaborare avendo ben chiara la prioritaria esigenza dello sviluppo equilibrato dell’Italia in generale e della Sicilia in particolare.

(Rosario Amico Roxas)



Domenica, 06 aprile 2008