16 OTTOBRE 1943: DEPORTAZIONE DAL GHETTO DI ROMA

Caso Storace-Napolitano


di Gianni Rossi

Nella notte dello Shabat del 16 ottobre 1943, truppe naziste su ordine del comandante Kappler, presero possesso del Ghetto di Roma e rastrellarono quasi 1.300 ebrei (due terzi donne e bambini), per deportarli nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia. Dal lager ne ritornarono solo in 16! A nulla era valsa, qualche settimana prima, la falsa promessa di ottenere scampo, pagando come riscatto il “prezzo della vita” con 50 kili d’oro. Né le garbate, ma flebili proteste diplomatiche di Papa Pio XII valsero ad ottenere un ripensamento presso i vertici nazisti a Roma e a Berlino.

Certo, i numeri sono crudeli e le statistiche spesso portano coloro che devono prendere decisioni vitali a commettere anche errori disumani: cosa erano e quanto potevano contare 1.300 ebrei romani, di fronte alla salvezza di 800 mila loro correligionari nelle stesse ore nascosti e ospitati nei conventi, negli istituti religiosi e nella case private del clero cattolico d’Europa? E poi, quanto valeva la loro vita, in cambio di quella di altri 8 mila ebrei italiani, ancora vivi grazie alla generosità del popolo italiano?

La storia è davvero crudele e sa anche di beffa, a volte! Il Vaticano sapeva dell’inganno dell’oro, gli alleati anglo-americano conoscevano tutti i piani di Kappler, grazie alle intercettazioni della radio-trasmittente del comando tedesco e alla decrittazione dei messaggi cifrati, in quanto erano in possesso delle “chiavi di lettura” del Codice Enigma. Ma non intervennero, per mantenere in serbo l’effetto sorpresa nei preparativi per l’attacco finale al Terzo Reich. Insomma, gli ebrei romani erano delle “vittime predestinate”, gli agnelli della tradizione mosaica, puri e ingenui che col capo chino si avviano al sacrificio, per la salvezza del “popolo eletto”!

No! La razzia del Ghetto fu una concomitanza di errori e di sottovalutazioni strategiche da parte dei vertici vaticani, alleati e partigiani. Ognuna di queste componenti pensava al “fine ultimo”, per il quale vanno comunque sacrificate altre vittime, seppure innocenti, pur di raggiungere lo scopo principale della lotta in corso. Fu lo stesso principio seguito dalla Croce Rossa internazionale, che sapeva dei campi di sterminio, ma sottovalutò opportunisticamente il fenomeno e non fece le dovute pressioni verso le nazioni democratiche, per rispetto a convenzioni diplomatiche e per tutelare gli ebrei ancora liberi e rifugiati in altri paesi d’Europa.

Furono gli stessi principi che ostacolarono il ritorno dei sopravvissuti dallo sterminio verso le terre di Gerusalemme, dopo la fine della guerra, e che agli inizi della costruzione dello stato di Israele fecero di tutto per non inimicarsi le potenze arabe, padrone dei giacimenti petroliferi, arrivando così a creare quella situazione di instabilità permanente che è lo “scacchiere mediorientale”.

A più di 60 anni dai fatti del Ghetto di Roma, la memoria rischia di offuscarsi, di restare una mera disputata tra storici, quasi una “favola nera” raccontata ai pronipoti dai pochissimi reduci, ormai ultraottantenni, scampati miracolosamente a quegli eventi.

Ma la lezione dura di quei tragici fatti dovrebbe, comunque, essere impressa nel codice genetico degli italiani, specie nelle nuove generazioni, o quanto meno di coloro che sono nati subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale. E’ grazie al sacrificio di 6 milioni di ebrei, di decine di milioni di russi, di milioni di uomini e donne, in maggioranza civili (dissidenti politici, rom, omosessuali, partigiani, semplici abitanti delle città martoriate dai bombardamenti a tappeto), morti per il delirio di onnipotenza di Hitler e Mussolini, che l’Europa può dirsi ora una nazione unita e in pace. Eppure, il germe dell’antisemitismo, il demone della nostalgia nazifascista ancora albergano negli animi di molti, troppi, giovani e non solo. Il fenomeno bullistico dei naziskin alto-atesini è comprensibile ( ma da condannare energicamente), come espressione di comportamenti sociali devianti, dovuti all’ignoranza che si respira nella scuola italiana su questi argomenti storici, alla marginalità dei gruppi giovanili, al tenore di vita delle “province ricche” del Nord e all’assenza di riferimenti culturali ed etici, che la società e i media dovrebbero invece propagare con continuità.

Più grave, invece, il fenomeno politico del “neofascismo strisciante”, cui assistiamo da quando è stato “sdoganato” il partito di Fini e da quando Berlusconi ne ha fatto uno degli strumenti della sua corsa alla presa del potere politico, dopo quello mediatico e finanziario.

Grazie anche ad un “revisionismo”storico di comodo, il regime mediatico berlusconiano ha cercato in questi 15 anni di rimuovere il periodo del fascismo e i fenomeni di rigurgito nostalgico, come se si trattassero di espressioni innate nella tradizione culturale italiana, come se il “ventennio” fosse stata “una passeggiata, una vacanza nelle isole per qualche dissidente”, e i fascisti fossero stati un po’ guasconi e per nulla invischiati nelle tragiche decisioni del “diabolico” Hitler: lui sì che era il colpevole, tanto era tedesco!

Da questa lettura di serie “C” degli eventi storici, dal fatto di non celebrare mai, neppure da Presidente del consiglio, il 25 aprile, giorno della Liberazione, dal suo minimizzare qualsiasi comportamento parolaio o gestuale di esponenti della destra nostalgica, come da ultimo con Storace, come se fossero “delle birichinate, delle goliardate”, Berlusconi trae consensi dall’estrema destra e si fa primo alfiere di questo movimento cultural-politico del “neofascismo strisciante”. Un pericolo per le istituzioni democratiche purtroppo sottovalutato, ma che proprio Giorgio Bocca, anche di recente sul nostro sito, mette in guardia come avamposto per far precipitare l’instabile democrazia italiana in uno strano regime, nel quale il capitalismo più rozzo possa avere “le mani libere” e gli avversari politici, che si rifanno ai valori della Resistenza e della Costituzione, siano demonizatti e ridicolizzati.

Il “caso Storace” è l’ultimo esempio di questa tendenza, finora troppo emarginata dalle analisi dei media, da affrontare solo quando tocca il prestigio del Capo dello Stato, ma per poi relegarlo nelle pagine interne delle cronache. E mai si collega questo fenomeno al processo culturale-mediatico in corso, proprio sulla spinta del messaggio banalizzante di Berlusconi. Ci si dimentica troppo presto tra gli editorialisti e i commentatori dai ricchi cachet delle boutades, degli strafalcioni storici di Berlusconi su alcuni episodi del fascismo, sulla figura di Mussolini e sulla sua “allergia” alla Reistenza, per castigare invece i comportamenti “devianti” di qualche irriducibile esponente della sinistra radicale o anti-global, oppure per “fare le pulci” alle tendenze liberali dei nuovi leader del centrosinistra!

Per fortuna, su queste vicende esiste ancora un “giudice” anche a Roma, oltre che a Berlino. E non possiamo che plaudire all’azione giudiziaria avviata dal Procuratore capo Giovanni Ferrara nei confronti del senatore Storace, al quale viene contestato il reato (previsto dall’articolo 278 del Codice penale) di “offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica”, dopo le sue invettive incredibili rivolte a Napoletano, che lo aveva pubblicamente criticato, prendendo le difese della senatrice a vita Rita Levi Montalcini, razzisticamente oltraggiata dallo stesso Storace alcuni giorni prima. Ne avevamo denunciato l’operato su queste stesse pagine e avevamo chiesto un intervento del Senato e della magistratura. Ora, dopo l’azione giudiziaria, che speriamo sia accolta con estrema rapidità dal ministro della giustizia Mastella, competente in materia per dar il via libera alla procedura d’inchiesta (trattandosi di procedimento contro un parlamentare), ci attendiamo una ferma presa di posizione del Senato.

Riponiamo la nostra fiducia nei senatori del centrosinistra che, almeno in questa occasione, facciano sentire concretamente la loro solidarietà istituzionale verso il Capo dello Stato, in difesa dei principi fondanti della nostra Costituzione antifascista. Riponiamo la nostra fiducia nella libera stampa d’opinione e verso i Telegiornali e Giornaliradio, che troppo velocemente “girano pagina” e si dimenticano di illuminare questo fenomeno di neofascismo strisciante.

Il revisionismo, il negazionismo, il ridurre tutto a fenomeni di “folklore politico” porta dritti, dritti al regime, all’offuscamento delle coscienze, alla perdita dell’agibilità democratica. E non c’è bisogno di carri armati né di colpi di stato: basta saper usare i massmedia a disposizione!

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16/10/2007 - da Articolo 21 - http://www.articolo21.info/notizia.php?id=5534



Mercoledì, 17 ottobre 2007