Politica - dibattito
Lettera a Enrico Boselli sul caso Mastella

di Enzo Marzo

Caro Enrico Boselli,
negli ultimi tempi si erano infittiti i rapporti tra l’area dei liberali, dei repubblicani e dei laici in generale. E’ peraltro in corso una ristrutturazione violenta del paesaggio politico del nostro paese sulla base di accordi di cartello tra le due maggiori forze (che dovrebbero essere) competitrici. Gli scopi sono chiari: legittimarsi a vicenda e fare il vuoto attorno, brandendo una vergognosa legge elettorale che non ha nulla di democratico e che spoglia il cittadino d’ogni scelta. Il possibile risultato è a portata di mano: da una parte, l’affermazione di una destra indecorosa che sarebbe rigettata da qualunque altro paese europeo; dall’altra, il consolidamento di una formazione che, anziché rappresentare come pretende il meglio del riformismo europeo, si presenta come un’aggregazione di spezzoni di classe politica autocratica e populista con forti venature clericali. Se a queste aggiungiamo l’assenza d’una destra “civile”, il quadro si preannuncia fosco e del tutto inadeguato ad affrontare la crisi morale prima che politica in cui si è impantanata l’Italia.
E comunque fuori da questo schema rimangono grandi famiglie politiche come il socialismo e la liberaldemocrazia.
Le forze che sarebbero state le più deputate a lavorare per traghettare l’Italia nell’area della modernità europea, in un modo o in un altro, hanno ricoperto una posizione marginale e troppo spesso si sono piegate a ruoli subalterni nei confronti dell’uno o dell’altro partito di massa. In questo contesto disastroso, reso più complicato dall’insorgenza di sempre nuove forme di clericalismo aggressivo, è rimasto scoperto uno spazio considerevole tra un Partito democratico intento a cucinare il suo minestrone demagogico dai mille ingredienti antitetici e la Sinistra arcobaleno, proiettata a velocità vertiginosa verso il più nostalgico passato remoto.
Intravedendo questo spazio già da anni, noi di “Critica liberale” indicammo il dovere politico di riempire questo “Grande buco”. Facemmo diversi tentativi, tutti falliti perché dovemmo prendere atto che più che rivolgersi al liberalismo diffuso in una società sempre più secolarizzata, i notabili sopravvissuti preferivano dedicarsi agli spiccioli interessi personali o di setta minima. Giacevano in una rigorosa inerzia, negandosi alla costruzione nell’area laica di soggetti pubblici nuovi, diffusi, politicamente attivi.
Ci consolammo, però, quando lo Sdi ci sembrò intenzionato a recuperare il meglio della sua tradizione laica e democratica. I socialisti facevano capire che, nonostante l’esiguità delle forze, volevano correre il rischio di provare a collocarsi in quel “Grande buco” dalle potenzialità non irrilevanti. Certo, il reducismo, la nostalgia dei antichi splendori e il risentimento verso un passato vissuto esclusivamente come ingiustizia subita rimanevano forti e certamente costituivano ai nostri occhi un limite obiettivo per un disegno così ambizioso, ma forse tutti quanti assieme ce la potevamo fare.
Dopo, ci fu l’esperienza della “Rosa nel pugno”. Noi liberali non aderimmo a quel progetto perché fin dall’inizio avremmo potuto giurare - e lo scrivemmo - sul suo insuccesso, reso ancora più dannoso per i prevedibili rancori reciproci che avrebbero ingombrato il terreno per chissà quanto tempo. Nonostante il suo fallimento, ci impegnammo a tessere rapporti sempre più stretti con tutti, almeno sui temi laici. Ma la nostra stella polare è rimasta sempre il “Grande buco”e come colmarlo con le forze esistenti.
In questa fase pre-elettorale, Veltroni ha purtroppo ha fatto saltare irresponsabilmente ogni disegno di contrapposizione alla vera abnormità del caso italiano, cioè al berlusconismo, e di fatto ha rinunciato perfino a concorrere al premio di maggioranza. Quindi, dopo la prefigurazione anticipata di una sconfitta pressoché certa, il quadro politico ha lasciato tutti liberi di perseguire obiettivi che in altri momenti sarebbero stati considerati secondari. Tra questi, il più importante per noi era l’aiuto da offrire all’unica forza che si ritrovava sola soletta tra la Cosa rossa e un Pd dalla volontà dichiarata di annettere o comprare i vicini scomodi.
Per partire col piede giusto, noi liberali non abbiamo posto richieste - che avrebbero potuto essere legittime - di nostre candidature, ma abbiamo voluto giovarci del momento per consolidare ipotesi di ricostruzione dell’intera area lib-lab. A un nostro appello, caro Boselli, hai gentilmente risposto riaffermando l’impegno per l’apertura (una volta conclusa l’unificazione dei socialisti) di una “seconda fase”, con l’obiettivo di pervenire a una federazione tra tutte le forze laiche, liberali, repubblicane, socialiste e - perché no? - radicali (non possiamo immaginare i radicali perennemente e ossessivamente autocondannati alla chiusura perpetua in se stessi). Con qualche fantasia si sarebbero potuti inventare strumenti aggregativi nuovi. Nel frattempo, se non altro per carenza di alternative digeribili, gli elettori ci avrebbero potuto offrire delle preziose indicazioni, anticipando nelle urne, col voto alla lista socialista, quell’unitarietà d’intenti che i dirigenti politici sono sempre restii a fare propri.
Poi, a un tratto, la bomba Mastella.
In un attimo ci è sembrato di ripiombare a sedici anni fa, mentre gli stessi manifesti del Ps in questa la campagna elettorale andavano in tutt’altra a direzione. L’Italia, con la consapevolezza di precipitare in un pantano (e tutti gli indicatori europei confortano questa impressione sconfortante), ha acquisito una rabbia molto “politica” contro i responsabili del disastro. Proprio per la sua esiguità, il partito socialista poteva uscire indenne dalle accuse contro la “Casta” e i suoi privilegi. Anche grazie a una buona prova di governo di Bonino, la rabbia crescente di fronte a una compagine governativa imbelle stava risparmiando il Ps e lo rendeva credibile nelle sue critiche, né lo confondeva col qualunquismo alla Grillo. Ma come è possibile criticare, prima, il calderone del Pd e offrire, poi, la candidatura addirittura all’immagine stessa del malgoverno democristiano in Campania e del clericalismo senza argini? Per trattenerti sarebbe dovuto bastare un semplice calcolo di mero interesse elettoralistico: quando persino le liste meno credibili fanno di tutto per imbiancarsi e s’inventano “liste pulite”, è così produttivo andare controcorrente?
Già conosco una tua possibile risposta: “ma io ho motivato questa scelta col nostro garantismo”. Qui il garantismo non c’entra. C’è una differenza tra l’osservanza della legge che è richiesta a tutti i cittadini e la “probità” che è indispensabile in coloro che trattano la cosa pubblica. Il cittadino Mastella è incappato in vertenze giudiziarie che stanno percorrendo il loro iter. Noi assisteremo senza condannare, né assolvere, in anticipo. Il giudizio su Mastella politico invece ce lo siamo fatto da tempo. Le due qualità, “legalità” e “probità”, sono spesso intrecciate demagogicamente per confondere le acque. Il garantismo è autentico se le tiene distinte e le sa applicare secondo i casi. Al cittadino è richiesto il rispetto del codice penale, al politico qualcosa di più. Esattamente come al chirurgo non è chiesta solo l’onestà ma altre qualità strettamente inerenti alla sua professione. Candidare Mastella non significa regalargli l’immunità parlamentare ma far confusione con i suoi programmi politici. Ma che c’entrano i socialisti con il clericalismo dichiaratamente filoberlusconiano? Il garantismo è tutt’altra cosa. Qui abbiamo un politico che è diventato simbolo d’una gestione affaristica della cosa pubblica. Lo ha confessato egli stesso: quando sono uscite le prove schiaccianti di ciò che tutti sapevano da sempre, Mastella ha riconosciuto che «la politica si fa così. Può essere deplorevole ma, scusate, tutti fanno così» (“la Repubblica”, 18-01-’08).
Un amico comune, Emanuele Macaluso sostenne sulla vicenda al suo inizio cose analoghe a queste mie, scrivendo che l’iniziativa giudiziaria non era esente da critiche, e aggiungendo che «se non c’è un mutamento nel modo di fare politica si dà un alibi anche a iniziative giudiziarie sbagliate e arroganti che ricevono poi il consenso della gente che commenta: non hanno il diritto di intervenire sulla nomina dei primari ecc. E ha ragione». Con dote di sintesi Macaluso concluse - rievocando gli anni ’90 - che «il cittadino è stretto tra un modo di far politica inaccettabile e un modo far giustizia inaccettabile». (“Messaggero”, 18-01-’08). Candidando Mastella si finisce non solo per considerare accettabile quel modo di fare politica, ma addirittura per fornire persino gli strumenti affinché si perpetui.
Per noi Mastella è l’avversario più tipico dell’Italia liberale, il simbolo del malgoverno. Purtroppo, con te posso concordare sul fatto che certamente non è il solo, né il più pericoloso, ma ciò non alleggerisce le sue responsabilità. Noi lo consideriamo un pessimo ministro della giustizia che ha fatto quasi rimpiangere Castelli, un personaggio sleale verso la sua stessa maggioranza di governo e infine il teorizzatore (e praticante) del “così fan tutti”, refrain antico che ha scandito i momenti più bui della storia repubblicana.
Spero che questo contributo critico possa favorire una riflessione complessiva sull’intera vicenda e sui destini della forza politica che hai l’onere di guidare. E che sia di tale natura da far superare questa battuta d’arresto. Ti auguro coraggiosi “strappi”. C’è anche la speranza che si avvicinino forze nuove e che acquistino più consistente rilevanza.
I problemi politici che ci hanno portato a qualche collaborazione comune rimarranno gli stessi anche dopo queste elezioni politiche, forse saranno aggravati. La questione del “Grande Buco” da riempire sarà immutata, e la necessità di una alleanza strategica delle componenti storiche prima citate apparirà più difficile ma forse ancora più necessaria. E’ certo che ci incontreremo ancora.
Cordiali saluti


Enzo Marzo



Giovedì, 13 marzo 2008