Anomalie democratiche

di Rosario Amico Roxas

La nostra democrazia è in preda ad una sindrome da mancata chiarezza; non è ancora una malattia grave, ma mostra i segni di una patologia incipiente: la mancanza di chiarezza.
Si sperperano parole inutili nel vano tentativo do accreditare false verità, illusorie opinioni, ipotesi improbabili, quando la chiarezza è dietro l’angolo, ma nessuno vuole prenderla a due mani, nel timore di non riuscire popolare. La nostra democrazia, più per strada obbligata che per libera scelta, si è circoscritta in un bipolarismo imperfetto:una destra che destra non è e non sa essere e una sinistra che sinistra non è e non sa essere, così entrambi gli schieramenti tentano di avvicinarsi ad un “centro” che medierebbe gli eccessi della destra, così come quelli della sinistra.
Impresa improba quella di volere essere “graditi a Dio e ai nemici sui”, è il momento delle scelte, anche quelle impopolari, perché necessarie.
Da una parte c’è un liberismo che cerca il consenso della classe mediana, oltre a quello della classe imprenditoriale che già gli appartiene, più per convenienza che per convinzione.
Dall’altra parte emerge l’esigenza di una politica sociale che scaturisce dall’unione del cattolicesimo sociale con il socialismo umanistico, dando forma e vita ad un Partito Democratico che ancora non sa bene cosa essere.
Ci sono poi gli estremi: dalla destra i nazionalismi che sfociano nella discriminazione di una Lega recintata nel suo orticello, assente nel panorama della “statalità”, in quanto carente in assoluto del senso dello Stato.
Dall’altra parte una sinistra radicale, anch’essa mancante del senso dello Stato e della cultura di governo che riprende il comandamento del ’68 “tutto e subito”, quando anche i sessantottini di allora hanno modificato quel comandamento, avendo compreso che la storia evolutiva necessita di tempi di maturazione.
A farla da padrone è le percezione dell’economia, del sistema economico e i suoi risvolti nella società e le implicazioni sociali.
Il liberismo (teoria che ha superato, andando molto oltre, le teorie settecentesche del liberalismo) concentra la sua attenzione all’economia dell’alta finanza, delle scalate ai poteri forti, dei circuiti di denaro, il più delle volte sostenuti da scatole vuote autoreferenti, autogarantiste, che generano rapide ricchezze cartacee senza aver nulla prodotto.
La politica sociale, tout court, riprende i temi dell’economia del lavoro e dei lavoratori, la sola forma operative che genera e produce ricchezza, la quale deve essere ri-distribuita ai lavoratori e, in una giusta proporzione, anche ai proprietari dei mezzi di produzione che partecipano alla produzione con il loro mezzi, il loro denaro, i loro mercati.
Ma l’economia dell’alta finanza, propugnata dal liberismo, intercetta la ricchezza prodotta e la storna verso investimenti finanziari, non produttivi, che producono accumuli e sottraggono risorse al mondo del lavoro.
La scelta dovrebbe essere palese, chiarissima, senza possibilità di equivoci.
Bisogna contare materialmente chi vive di lavoro e non può che indirizzarsi verso una politica sociale, e chi vive di speculazioni finanziarie che godono già della protezione del liberismo.
Tutti i provvedimenti presi dal governo liberista di Berlusconi, sono stati indirizzati a formare delle camere-stagno in grado di proteggere il capitalismo più spinto, nell’assurda convinzione che l’arricchimento ulteriore del capitalismo dilaterebbe la prosperità anche alle classi più deboli; così non è, non è stato e non potrà mai essere, perché scatta l’arrogante egoismo del possesso che non accetta di ridistribuire il mal guadagnato, neanche con una equa fiscalizzazione del patrimonio accumulato sulla pelle delle classi più deboli.
Le leggi emanate dal governo Berlusconi, sono la riprova di un protezionismo che è andato oltre l’impostazione “ad personam” ma hanno coinvolto l’intero apparato economico, generando una classe di “intoccabili” che formano la vera “casta” privilegiata del nostro paese.


Un elenco minimo ce lo documenta:

• la depenalizzazione del falso in bilancio (legge n. 61/2002)
• la legge sulle rogatorie (legge n. 367/2001)
• l’introduzione dell’impunità (divieto di sottoposizione a processo) delle cinque più alte cariche dello Stato tra le quali il presidente del Consiglio in carica («Lodo Schifani», 140/2003)
• la «legge Cirami» sul legittimo sospetto (Legge n. 248/2002)
• la riduzione della prescrizione (che cancellava gran parte dei fatti oggetto di contestazione nel processo sui diritti TV verso Berlusconi) («Legge ex-Cirielli», 251/2005)
• l’estensione del condono edilizio alle zone protette (legge delega 308/2004) (comprensiva la villa «La Certosa» di proprietà di Berlusconi)
• il ricorso del governo contro la legge della regione Sardegna al divieto di costruire a meno di due chilometri dalle coste (ricorso n. 15/2005 alla legge regionale 8/2004) (che bloccava, tra l’altro, l’edificazione di «Costa Turchese», insediamento di 250.000 metri cubi della Edilizia Alta Italia di Marina Berlusconi)
• la modifica del PAI (Piano di assetto idrogeologico) dell’Autorità di bacino del fiume Po che permette la permanenza de «la Cascinazza» (estensione di oltre 500.000 metri quadrati) di proprietà della IEI di Paolo Berlusconi (PAI del 2001)
• l’introduzione dell’inappellabilità da parte del pubblico ministero per le sole sentenze di proscioglimento (DL n. 3600)
• la legge Gasparri sul riordino del sistema radiotelevisivo e delle comunicazioni (Legge 112/2004)
• la norma transitoria della Legge 90/2004 che consentì a Gabriele Albertini, sindaco di Milano non più rieleggibile, di essere candidato alle elezioni europee senza dover dare le dimissioni da sindaco.
• Alcuni costituzionalisti hanno anche definito «legge ad coalitionem» la legge elettorale del 2006 che, data la morfologia delle formazioni politiche all’atto delle elezioni governative, si riteneva dovesse permettere ai partiti della coalizione di centrodestra di ottenere un numero di seggi fortemente superiore rispetto a quanto sarebbe avvenuto con la precedente normativa.

Si tratta di leggi che vanno oltre i principi economici, ma garantiscono anche impunità dal Codice Penale, suggeriscono, stimolano e giustificano le evasioni fiscali, con le sanatorie che prima di essere una chiusura tombale del reato di evasione fiscale, diventa una severa punizione per quanti hanno regolarmente contribuito alle spese dello Stato, secondo le proprie possibilità, a fronte di quanti non lo hanno fatto (ma hanno usufruito, a sbafo, dei medesimi servizi erogati) ed hanno goduto di un premio/sconto del 90% sul dovuto, strapazzando anche la Costituzione seconda la quale tutti i cittadini “dovremmo” essere uguali davanti alla legge.
Se la popolazione italiana è composta in maggioranza da persone che vivono di rendite finanziarie, di speculazioni d’alta finanza, è giusto che il liberismo torni a gestire la Cosa Pubblica, anche se dovrà trovare il modo come fornire i servizi indispensabili, se in pochi contribuiscono alle spese.
Ma se, come appare, la maggioranza degli italiani vive del proprio lavoro e su di esso paga regolarmente il carico fiscale, appare assurda la pretesa di proporre o riproporre l’esperienza liberista, stante i risultati che ha dato e che si sono riversati a danno esclusivo del mondo del lavoro.

Rosario Amico Roxas



Venerdì, 19 ottobre 2007