Uomini e topi
La coprolalia oggi

di G.C.C.

La volgarità serve al potere, non al popolo


Da tempo, in tram o in metro, sui giornali, alla radio e tv, sui siti internet, ascolto o leggo frasi che, quand’ero bambino, in un paese di campagna, gli adulti definivano sconcezze. «Quello è uno che dice parolacce», dicevano per indicare un poco di buono, un uomo da non imitare. «Grida come un carrettiere», i carrettieri erano due o tre, della stessa famiglia. Ben conoscendoli, non li ho mai sentiti dire parolacce, oscenità, volgarità.

Qualche volta, ho sentito bestemmie, questo sì: era un segno di rivolta, però, non un’abitudine alla parolaccia, all’espressione volgare tra lavoratori. Era un’esclamazione nel mezzo di un lavoro sudato e non riuscito o un’invettiva di chi, non credendo ai preti, esprimeva il dissenso al suo livello di istruzione. Parolacce da donne, poi, mai; almeno, a mia memoria.

Oggi, la coprolalia, a partire dallo sterco in tutte le sue espressioni, è in bocca ai ragazzi e alle ragazze, che sembrano quasi contenti di esprimersi così, anche in strada o sull’autobus, gomito a gomito con decine di sconosciuti di tutte le età, che li stanno ad ascoltare. Questi ragazzi – abbondantemente minorenni – forse non hanno parole migliori per esprimere i loro pensieri e le dicono a voce alta per far valere la loro «personalità».

Non penso che siano cattivi perché si esprimono intercalando continue parolacce, no: voglio solo dire che, sebbene abbiano la bellezza della gioventù, risultano brutti. Proprio, vien voglia di voltarsi dall’altra parte - anche il loro abbigliamento, del resto, è brutto. Con linguaggio e abiti volgari pensano di mostrarsi o di essere emancipati. Si sentono «più». Credono di essere più ascoltati, di essere presi più sul serio, di essere migliori.

A tutti possono sfuggire parolacce. Ciò che mi impressiona è il volerle dire apposta, per esprimere qualcosa che non si riesce – ci sembra – a esprimere diversamente, con il vocabolario normale. A volte, è un impeto d’ira o di nervosismo o di scoramento: una spinta irrefrenabile a usare un linguaggio volgare che in quel momento ci sembra più adatto a determinare una situazione. Lo scrittore Salvator Gotta, che aveva fatto la prima guerra mondiale con gli alpini, scrisse un giorno che «una buona bestemmia» aiutava un alpino in trincea a cercare di salvare la ghirba (la pelle). Ebbi la sventura di riferire il concetto durante una discussione di adulti e fui guardato malissimo. Avevo 15 anni, era appena finita anche la seconda guerra mondiale.

Tempo addietro un lettore mi sgridò perché sostenevo che si possono difendere le proprie ragioni senza bisogno di dire volgarità: si può parlar bene, con chiarezza, avendo idee buone e chiare. Mi disse che don Milani aveva già attaccato chi, come me, cercando di parlare bene, in realtà voleva raggirare coloro che erano meno istruiti e parlavano come potevano. La tesi non mi meravigliava: era un lettore che confondeva l’istruzione con la truffa, aveva sbagliato bersaglio e pontificava per mettersi in vista. Mi meravigliò il fatto che non avesse capito don Milani, e tuttavia se ne serviva contro di me.

Ora mi trovo di fronte ad articoli quotidiani in cui le parolacce, le oscenità, le volgarità sono distribuite a dismisura. Anzi, qualche autore le ripete, nel corso dello stesso testo, per dare forza – così crede – al suo pensiero. Non parlo di romanzi o di racconti, ma di articoli d’opinione. Come si può sostenere una tesi credendo di rafforzarla con la trivialità? È necessario infangarsi per «parlare al popolo»? Si pensa di costituirsi un seguito attingendo alla coprolalia? Si pensa di migliorarsi e, eventualmente, di migliorare chi ci ascolta usando parolacce e termini escrementizi?

Torno al mio paese, dove una volta erano analfabeti soltanto i bergamini (mungitori stagionali provenienti dalle valli bergamasche, ancor più misere della nostra) e ora tutti frequentano almeno le prime tre classi medie. Non posso immaginare che i figli dei figli dei miei compagni e compagne delle elementari ritengano più intelligenti le volgarità di oggi che la pulizia dell’italiano di sempre. Sanno che la volgarità serve al potere: mantenere il popolo succubo della rozzezza, che è la forma più bassa dell’ignoranza, è fare l’esatto contrario di chi lo vuole emancipare.


G.C.C.



Venerdì, 04 gennaio 2008