Editoriale
Vittime o complici?

di Mario Mariotti

Se uno fosse un cristiano, saprebbe vedere nella ricchezza un negativo, un’omissione di solidarietà, il risultato della cecità sulla miseria del mondo, e perfino ciò che essa è veramente: la negazione, e quindi la vera bestemmia, di Dio-amore, perché l’Amore, strutturalmente, si determina in Condivisione, e quest’ultima dematerializza l’accumulo.
Se uno fosse un compagno, ugualmente saprebbe vedere nella ricchezza una condizione negativa, frutto dello scambio ineguale, dello sfruttamento del prossimo, della rapina dei ricchi a danno dei poveri, dei meccanismi maligni che legalmente e silenziosamente uccidono, lasciando morire, lo sterminato popolo della grande favela del Sud.
Se uno fosse un cristiano, la parola “mercato” non vorrebbe sentirla pronunciare: il mercato alligna fra sconosciuti, portatori di interessi diversi, mentre per il cristiano gli sconosciuti sono fratelli, sono il nostro prossimo e gli interessi, in rapporto al rispetto dei diritti umani fondamentali, sono identici per tutti.
Se poi uno fosse un compagno, la parola “mercato” la caccerebbe subito agli arresti domiciliari. Siamo tutti compagni, siamo tutti lavoratori, perché nessuno deve mangiare il prodotto di altri senza produrre egli stesso qualcosa per gli altri; e per questo motivo, bisognerebbe necessariamente lavorare per creare le condizioni, strutturali e soggettive, per la fruizione dei diritti umani e per l’esercizio dei doveri umani fondamentali da parte di tutti. La pianificazione dell’economia, il mercato dovrebbe seppellirlo attraverso la cultura del necessario, e l’impiego perché questo necessario diventi accessibile e fruibile da tutti.
E che senso ha la competizione per i seguaci di Colui che invitava i primi a diventare i servi di tutti? E come non capire che la competizione , strutturalmente, genera pochi vincitori e un popolo di sconfitti, e che in rapporto alla fruizione dei diritti umani fondamentali, cibo, lavoro, scuola, salute, non ci devono essere degli sconfitti?
Come non capire l’infantilismo di un atteggiamento che vuole vedere riconosciuta da tutti la propria superiorità, e in nel contempo crea le condizioni perché i nostri fratelli diventino prima concorrenti, e poi antagonisti, e poi, alla fine del percorso, dei nemici da contrastare e, se possibile, da eliminare? E come fanno i compagni a non accorgersi che la competizione strutturalmente crea emarginazione, mette in difficoltà i meno competitivi, rende impossibile la fruizione generalizzata di quel diritto umano fondamentale al lavoro che viene negato agli sconfitti della competizione? E come fa, un cristiano, a considerare se stesso un consumatore di liturgie e sacramenti, e a non capire che il Padre vuole vedere in lui un lavoratore per costruire il Regno, un mondo docile all’amore, un mondo secondo Se stesso? E come fanno, i compagni, a non accorgersi che alla logica dei consumatori è sottesa quella dei padroni, e che il proprio specifico è invece quello della logica dei lavoratori, che producono e si impegnano perché tutti possano avere il necessario, e trovano in questo obiettivo il motore unificante del proprio impegno e dei propri sacrifici?
E dove è possibile trovare il vero ecumenismo di questo nostro tormentato mondo, se non nella ricerca, da parte di tutti, del maggior consumo possibile, ricerca interconnessa a quella del prezzo più basso in relazione al prodotto migliore? Qui i cristiani, storicamente, si sono dimostrati meno attrezzati, ma per i compagni avrebbe dovuto essere lapalissiana la consapevolezza che il prezzo basso non è solo generato dal progresso tecnologico, ma sicuramente anche dal livello di sfruttamento a danno dei lavoratori che hanno prodotto quello che costa poco. E invece niente! Il compagno-lavoratore, prostituitosi in consumatore interclassista, non si rende conto che il prezzo basso è generato dalla competitività all’interno di un’economia liberista, e quindi capitalista, e di questo se ne rende contro solo quando si ritrova sulle corna il lavoro flessibile, intermittente, precario, fluttuante e quando richiede una pedalata nel fondo dei pantaloni e si ritrova sbadilato fuori dal mondo del lavoro, e in procinto di estinguersi anche come consumatore, perché non ha più i sesterzi di quando ed era nella condizione di lavoratore? Ecco che il lavoratore, transustanziatosi in consumatore, attinge al paradiso terreno della precarietà e della disoccupazione. A quel punto anche il prezzo più basso diventa troppo alto per lui, e si rende conto che la nostra Costituzione (una Repubblica fondata sul lavoro), si è dematerializzata in un caos fondato sugli interessi degli imprenditori e sulla rendita finanziaria.
A questo punto della riflessione è anche possibile individuare l’esistenza di un altro ecumenismo micidiale: quello del rispetto per la religione e per la gerarchia che l’amministra, che una lucidità da cristiani e da compagni dovrebbe considerare assurdo.
I cristiani dovrebbero sapere che il cristianesimo non è una religione, che Gesù è laico, che Egli è presente ed operativo in tutti coloro che amano, servono e condividono; i compagni dovrebbero essere scandalizzati dalla sponda che le religioni offrono sempre al potere, e specificamente al capitalismo. I primi e i secondi dovrebbero essere ugualmente scandalizzati da tutti i “concordati” blasfemi posti in essere dalla gerarchia cattolica, vedi quelli con Benito, Adolfo e C.
Purtroppo, niente di tutto questo! Il vero ecumenismo necessario sarebbe quello di arrivare a capire che la sequela a Cristo si esprime nella laicità fraterna e condivisionista, ma questa è ancora una fantascienza. E allora, finalmente, arriviamo al nocciolo del problema: col nostro tipo di cultura, da cristiani e da compagni, siamo ad un tempo vittime e complici del sistema che violenta i non-garantiti, e sta portando al collasso lo stesso ecosistema. Si, fratelli-compagni: se siamo nel liquame, e ci siamo, è anche per colpa nostra. Continuiamo a rifiutare il “guai ai ricchi”, ad accettare il mercato e la competizione, a coltivare l’alienazione religiosa per tenerci buoni quelli che si spacciano come esperti di Dio; continuiamo a vedere nel modello americano, in quel tipo di cultura e di società, un esempio da imitare e da seguire.
Se siamo nel caos, perché ci dovremmo meravigliare, e con chi ce l’ha dovremmo prendere se non ha anche con noi stessi? La T.V. continua ad evacuare quella cultura maligna, il Papa proclama beati i poveri beni dicendo le Ferrari, gli per la pace sono talmente generici da equiparare le responsabilità degli Usa a quelle di San Marino, il popolo delle famiglie accoglia come un Messia colui che, aggregando il prossimo sul negativo, a inguaiato individuo, famiglia e società, e il tutto procede irregolarmente…
Noi continuiamo a sentirci sempre solo vittime, e mai colpevoli; continuiamo a vedere il male sempre solo fuori di noi, e continuiamo a rifiutare di entrare nel primo luogo di missione più accessibile a noi, cioè noi stessi.
Da vittime meriteremmo solidarietà, ma da complici cosa meriteremmo? Come uscire dall’enorme problema dell’interconnessione, della complicità fra i carnefici e le vittime?
Come spiegare l’enorme sofferenza che un’esegua parte di umanità è sempre riuscita ad infliggere allo sterminato popolo degli oppressi, alla maggior parte dell’umanità (penso alle guerre, allo scambio ineguale, al meccanismo del debito, alla speculazione finanziaria, al potere dell’informazione, all’alienazione indotta dalle religioni), se non nell’intreccio maligno di questa complicità-complementarietà farà la cultura delle vittime e quella dei colpevoli, degli aggressori, dei detentori della ricchezza e del potere?
Come fare a separare il bene dal male, l’oppresso dall’oppressore, per rompere il cerchio maledetto che riempie il mondo di crocifissi, senza offrire un progetto per la resurrezione, per un mondo senza crocifissi?
Come realizzare quella coerenza fra il soggettivo e lo strutturale positivi, in grado di constatare il negativo sostenuto dalla simbiosi fra il Tempio e l’impero, in modo che si estingua il loro potere su di noi? Come impedire che la Verità venga usata contro l’uomo, e quindi contro la Verità?



Sabato, 13 ottobre 2007