Editoriale
Sarah alla conquista del voto evangelical

di Paolo Naso*

Paolo Naso è giornalista e docente di scienza politica alla Sapienza di Roma . L’articolo è tratto dalla Agenzia NEV del 10-9-2008

IL ciclone Sarah Palin ha scompigliato le ultime settimane di campagna elettorale per le presidenziali degli USA, togliendo la scena tanto a John McCain che a Barack Obama.
La candidata alla vicepresidenza ha riaperto i giochi con la sua immagine aggressiva, le foto in bikini a stelle e strisce mentre imbraccia un pesante fucile da guerra, le complicate vicende familiari della sua giovane figlia. E ovviamente la sua fede religiosa vissuta all’interno di una chiesa pentecostale delle Assemblee di Dio, la Bible Church di Wasilla (Alaska).
La scelta degli strateghi repubblicani che hanno puntato il tutto per tutto su una candidata dalle tinte forti e dalla prosa categorica rivela un interessante cambiamento tattico: da mesi McCain si accreditava come candidato moderato, un conservatore “soft” che intendeva distaccarsi dai radicalismi di George W. Bush sui temi di politica estera e dalle sue appassionate confessioni teocon. McCain voleva essere il candidato di destra che sa parlare anche al popolo democratico, che infonde una paterna sicurezza e lancia un programma di coesione nazionale.
A poco più di un mese dalle elezioni presidenziali questa strategia dell’ovatta non sembrava sortire effetti particolarmente rilevanti, tali cioè da contenere l’onda a favore di Barack Obama e di contrastarne la sua strategia per il “cambiamento”.
Da qui una scelta in controtendenza, uno scarto strategico di grande rilievo: bilanciare il moderatismo di McCain con il radicalismo di Sarah Palin con l’obiettivo dichiarato di recuperare quei milioni di potenziali elettori di fede “evangelical” che, in assenza di ragioni spirituali ed etiche forti, il 4 novembre - giorno delle elezioni - resterebbero a casa.
Nel 2000 e nel 2004 gli strateghi di George W. Bush avevano giocato questa carta con grande determinazione e qualche spregiudicatezza: promisero una “svolta cristiana” nella società americana - dalla restrizione della legge sull’aborto alla libertà di preghiera nelle scuole pubbliche, per citare gli obiettivi più simbolici e controversi - che poi non si è realizzata. E per la semplice ragione che, anche sotto la presidenza di un convinto new born Christian (cristiano rinato n.d.r.) come George W., la società civile americana da una parte e i fondamenti costituzionali della separazione tra lo Stato e le confessioni religiose dall’altro hanno fatto argine all’ondata teocon. Nel 2004 Bush arrivò a presentare la sua rielezione come strumento di lotta al “male” (evil) che si annidava nella società americana e in alcuni scenari internazionali: era un messaggio, neanche tanto cifrato, alla destra religiosa perché vincesse ogni ritrosia astensionista e si impegnasse in un “buon combattimento” per una causa non solo politica ma anche spirituale. Il messaggio andò a segno e portò al ticket repubblicano una consistente dote di voti evangelical ai quali si aggiunsero, per la prima volta, anche molti cattolici attratti dalla “consistenza morale” del candidato repubblicano.
Paradossalmente nel 2008 il “fattore religioso” poteva favorire Barack Obama: cristiano praticante, capace di argomentare teologicamente alcune sue posizioni, attivo nella United Church of Christ, una denominazione storica del protestantesimo degli USA su posizioni teologiche e politiche decisamente liberal. Inoltre Obama, anche lui bisognoso di lanciare un messaggio a settori dell’elettorato ancora indecisi, ha candidato come suo vice un cattolico come Joe Biden.
Di fronte a questo ticket, la religiosità di McCain appariva decisamente meno appealing, e persino la sua recente “conversione” dalla piccola Chiesa episcopaliana (comunione anglicana) alle nutrite (e sempre più conservatrici) fila della Convenzione battista del Sud è sembrata un’affrettata mossa politica più che una sincera espressione della sua ricerca spirituale.
In questo quadro la scelta di Sarah Palin lancia un messaggio forte e chiaro, persino prevedibile, all’elettorato evangelical. Ma le strategie politiche ed elettorali non funzionano come le ricette di cucina e non è detto che ricorrere agli stessi ingredienti ed alle stesse procedure conduca allo stesso risultato.
Alcuni incontri elettorali - ad esempio il faccia a faccia tra Obama e McCain nella megachurch di Saddleback (California) dello scorso 16 agosto - ha dimostrato che nel 2008 la galassia evangelical è politicamente meno compatta di quattro anni fa; inoltre, dopo anni di conflitto in Iraq senza risultati concreti ed apprezzabili, tanti evangelical sono assai più freddi e critici nei confronti degli entusiasmi apocalittici espressi da Sarah Palin che ama riferirsi ad alcuni teologi - i cosiddetti “neodispensazionalisti” - che leggono l’evoluzione geopolitica dell’area mediorientale nel quadro di un progetto di Dio per la salvezza dell’umanità. Nelle sabbie del Golfo non si scorge nessun “piano di Dio”, né tanto meno si colgono i segni del suo regno che avanza. Il fondamentalismo bellicista di Sarah Palin fa certamente discutere e conquista le prime pagine. Ma non è affatto detto che convinca e tocchi i cuori di tutti gli evangelical degli Usa. (NEV 37/08)



Sabato, 13 settembre 2008