Editoriale
Distinguere vittime e carnefici, nominare la violenza e contrastarla

di Maria G. Di Rienzo

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per questo intervento.

Maria G. Di Rienzo e’ una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell’Universita’ di Sydney (Australia); e’ impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta’ e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell’islam contro l’integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu’ ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e’ in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81]


Proviamo a dirlo in un altro modo, ecco qua.

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"Allora, lei sostiene di essere stata vittima di uno stupro?".

"Si’, cioe’ no, non vorrei fare del vittimismo. Come vede, sono una donna, e non posso permettermelo. Diciamo che mi sono trovata in una dinamica relazionale sbilanciata in cui, nel mentre ero soggetta all’uso applicato di un certo ammontare di brutalita’... Crede che possa usare ’soggetta’ o e’ un’ammissione di debolezza?".

"Ma lo vuole denunciare o no il suo aggressore?".

"Ecco, si’, ma dipende. Non vorrei che questo poi mi facesse passare per vittima, capisce, le donne sono libere e felici, a priori, e se io finisco per dare un’impressione diversa da questa forse sbaglio, no?".

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Non mi pare che funzioni. Distinguere chi usa violenza da chi la subisce passa anche attraverso la consapevolezza che le vittime di violenza non sono colpevoli di cio’ che viene loro fatto. Questo si’ e’ un "a priori": la violenza e’ sbagliata, sempre. So che puo’ sembrare banale, ma la confusione fra aggressore e aggredito/a e’ la scappatoia (e la scorciatoia) costante dei picchiatori e dei violentatori.

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Dire quindi che delle donne sono "vittime" di violenza non comporta ne’ il piangersi addosso, ne’ il "tornare indietro". Distinguere chi alza le mani per colpire da chi alza il braccio per parare i colpi significa restituire la responsabilita’ della violenza a chi sceglie di usarla. E’ stato questo a portare in piazza cosi’ tante "donne comuni", il cui pentolino ribolliva da mesi, stando almeno alla notevole quantita’ di mail che ho ricevuto io prima del 24 novembre scorso. Alla maggior parte delle mie corrispondenti non interessava analizzare la piattaforma della manifestazione, ne’ si definivano femministe. Quello che volevano era un’occasione per dire pubblicamente "basta".

E nessuna era cosi’ ottusa da non sapere che una donna non e’ solo la violenza che eventualmente subisce, non c’era alcun bisogno di fare esercizi linguistici per renderle edotte di cio’: perche’ al di la’ di cio’ che ciascuna di noi puo’ credere e pensare e inventare, ogni sfregio simbolico o reale sul viso di un’altra ci rimanda a cio’ che potrebbe accadere a noi domani (o come parecchie mi hanno scritto, a cio’ che era gia’ accaduto). E ognuna di noi e’ una storia, ma sappiamo da tempo, e da un po’ troppo tempo senza fare granche’, che moltissime storie potrebbero essere piu’ felici e soddisfacenti senza violenza.

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Le donne sono libere per diritto di nascita, come qualsiasi altro essere umano. Quanti ostacoli vengano messi davanti all’esercizio di tale liberta’ e’ stranoto e non li ripetero’ qui. Mi pare che purtroppo tali ostacoli sovente le rendano "libere" nel senso in cui, mettiamo, un commerciante e’ "libero" di non pagare il pizzo alla mafia, che poi gli fa saltare per aria la casa o gli rapisce un figlio. Cosi’ alcune sono "libere", in tutto il mondo, di non aderire al credo della famiglia, o di vestirsi come a loro pare e piace, o di rigettare un matrimonio forzato: poi la liberta’ viene fatta loro pagare in mille modi meschini e troppo spesso persino con la vita, ma guai a dire che sono state vittime di violenza. E’ stata una perturbazione atmosferico-sociale, un uragano umano, un efflusso di ormoni storici, cose che capitano, non sia mai che ne chiediamo conto a quelli con le mani sporche di sangue.

Tratto da
Notizie minime de
La nonviolenza è in cammino


proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Arretrati in:
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Numero 317 del 28 dicembre 2007



Luned́, 31 dicembre 2007