Editoriale
Né preghiera né silenzio

di Mario Mariotti

IO non sono mai andato ad Auschwitz. Avevo pochi anni e le immagini mi arrivarono dai cinegiornali del processo di Norimberga.
Da allora, Auschwitz é dentro di me, da allora lavora dentro di me, da allora mi provoca, e cerco di capire. E ora che sto per arrivare al termine del cammino, e compagna-Morte non é molto lontana, mentre Auschwitz rimane dentro di me, ecco quello che ha prodotto in me, ecco che cosa vuole che esca da me.
Auschwitz é una croce, non però una croce nel senso religioso, di uno che paga per gli altri, che paga per i peccati degli altri. Auschwitz é una macchina per uccidere, come lo fu la croce del Signore che non è morto suicida, ma è stato assassinato.
Auschwitz é l’occasione estrema, la più chiara e terribile, per capire il messaggio di Dio sulla sua non-onnipotenza, sulla nostra ­collocazione di Sue mani per il Regno, sulla Verità che il Suo amore per noi, che l’amore di Dio per noi, ha bisogno di noi per arrivare a noi. Altrimenti c’è il silenzio di Dio, e l’inferno, di cui il campo di sterminio é stato ed è paradigma.
Auschwitz é il vertice della malignità dell’uomo. Anche oggi c’é il genocidio del popolo della grande favela del Sud, quello della folla anonima dei poveri, che agli occhi della nostra cultura succube di Mammona, non esistono se non nelle rare occasioni in cui ci sentiamo di essere "buoni".
Oggi la crudeltà é soft, ad Auschwitz era hard; i poveri noi non li assassiniamo, li lasciamo morire; là invece, c’era l’assassinio sistematico, tecnologico, razionale, qualificatissimo nei metodi e ­nei risultati. Auschwitz é anche l’occasione estrema per capire il fallimento di un cristianesimo tradotto in religione, la sterilità delle nostre "radici cristiane", il nostro tradimento del messaggio di cui lui che era ed é venuto per testimoniare la Verità.
Lo sterminato numero delle vittime, gli esperimenti di Menghele sui bambini, apice universale della blasfemia, ci fanno sperimentare la vergogna, il rifiuto dì appartenere alla razza umana. L’Europa della civiltà cristiana, delle cattedrali, delle pluriconsacrazioni, delle benedizioni "urbi et orbi", dei custodi della Rivelazione, ha portato questi frutti.
É vero che ad Auschwitz si cammina nell’eternità, é vero che le anime degli uccisi, ricadute le polveri sottili del loro corpo cremato su quella terra fredda, sono ancora lì. Sono ancora lì, ma non chiedono né preghiera, né silenzio. La preghiera non ha senso perché inutile, dato che l’inferno l’hanno già sperimentato, sia perché senza interlocutore, dato che noi siamo il corpo di Dio, ed era Dio stesso di cui le vittime erano corpo, ad essere inchiodato, gasato con loro. Il silenzio, poi, meno che mai, perché esso uccide la memoria storica, copre i responsabili, non fa conservare la guardia contro un mostro che vive, ancora e sempre, fuori e dentro di noi.
Cosa ci chiedono, allora queste vittime, che oltre a dimorare ad Auschwitz, se ne stanno anche dentro tutti quelli che rifiutano la pace di un mondo che ha partorito Auschwitz? Ci chiedono di capire. Ci chiedono di capire che il Dio religioso si é dimostrato indifferente, inefficace, perfino complice; che l’enunciato che "tutto é volontà di Dio" é una bestemmia; che il razzismo, oggi, ha il volto del ricco che disprezza il povero e lo lascia morire; che le religioni dividono ed il laico Gesù era ed é venuto per liberarci da loro perché la laicità solidale é l’unica dimensione veramente evangelica che può realizzare l’unificazione della famiglia umana; che dobbiamo convertirci dalla teologia all’etica.
Dopo Auschwitz il Dio religioso diventa una colpa, e chi dà credito alla sua casta é complice, e chi nasconde che l’esistenza di Dio nel mondo passa per le nostre mani, per il nostro impegno ad amare e condividere, é complice; e anche chi non chiarisce che l’amore, per essere politico e non-violento, deve strutturalmente determinarsi in condivisione, é complice anche lui.


Finché non capiremo questo, le dolenti anime degli uccisi, e i piccini fra loro, resteranno nel sepolcro del Venerdì santo, in attesa di una resurrezione che può passare solo attraverso di noi.

Mario Mariotti



Lunedì, 28 aprile 2008