Pensare a Kakania / 30
In Italia ci sono più cani che bambini

di Mario Pancera

La povertà e la politica dal Meridione al Nord. I ricordi conciliari del vescovo Luigi Bettazzi


IN Italia ci sono più cani che bambini. Decine di migliaia di famiglie sono povere o misere, perciò decine di migliaia di bambini sono poveri o miseri: un grande numero vive praticamente sulle strade, anche quelli che frequentano le scuole elementari o le medie hanno una vita stentata e imparano più dalla strada che nelle aule.

Gran parte di questi bambini e ragazzi diventano mendicanti o vivono di espedienti cioè furti, vessazioni, rapine, lavoro nero e nerissimo, prostituzione, traffici illeciti e così via. Crescono analfabeti, e diventano sfruttati o sfruttatori. Non conoscono la grammatica dei libri, ma i feroci trucchi della sopravvivenza. Questo è il vero estremismo.

Il caso macroscopico delle mafie dell’Italia meridionale ha messo sotto gli occhi di tutti - anche di coloro che non vogliono vedere e si accontentano di seguire le loro regole di perbenismo, a volte purtroppo definito cristiano - la tragedia della nostra povertà economica e morale. La quale povertà non è soltanto del Sud, ma in maniera diversa, seppure non meno dolorosa, è diffusa in tutto il paese.

Questa povertà di pane e di istruzione produce un gran numero di uomini pubblici inetti, ladri, inefficienti se non incompetenti e quindi facili alla corruzione o alla concussione, pronti al primo fascismo che passa. Chi non entra in queste categorie può fare poco per migliorare la situazione. L’Italia lo ha già visto nel 1922: «ordine», pestaggi, politici imbelli, giornali comprati, giornalisti imbavagliati, governi in crisi, cittadini defraudati della parola, migliaia di persone convogliate nelle piazze, marce su Roma di partiti violenti nella forma e nella sostanza.

Guardare non a destra o a sinistra o al centro, ma in alto, scriveva don Primo Mazzolari; e questa frase è stata utilizzata di recente dai rappresentanti dell’ennesima frazione della vecchia Democrazia cristiana, che ormai sembra non aver più niente a che fare né con la democrazia né con il cristianesimo. Le frange di quello che fu un partito sia pure con gravi lacune, ma almeno con grandi ideali che originarono grandi speranze, oggi si combattono tra loro per scopi di bottega (anche questo avrebbe detto don Mazzolari).

«Dare la parola ai poveri», ecco il punto. Ascoltarli, vivere la loro povertà cioè capire il perché della loro situazione di degrado, il perché della loro fame di tutto, a cominciare dal pane. Non arrogarsi il diritto dei prepotenti di voler parlare in loro nome, non utilizzarli per spingerli alla rivolta e, in realtà, sottometterli, trattando i loro figli peggio dei cani.

Ogni giorno, dice l’Unicef, muoiono 26 mila bambini sotto i cinque anni, e la metà di essi muore per fame. L’ 80 per cento delle vittime abita nell’Asia meridionale e nell’Africa subsahariana: e gli sventurati muoiono di guerra, di fame, di malattie. Che cosa dobbiamo dire?, che meno male che da noi se la cavano rubando, rapinando, facendo i corrieri della droga o vivendo in periferie infernali o in tuguri al servizio dei moderni negrieri? Poiché nel 2006 i piccoli morti (tutti poveri, naturalmente: l’Unicef non segnala benestanti morti di fame) sono stati soltanto 9 milioni e 700 mila, mentre nel 1960 furono 20 milioni, dobbiamo essere allegri?

Quasi dieci milioni di bambini che ci lasciano avendo visto solo la miseria dei loro genitori, sono un peso per chiunque abbia avuto la possibilità di frequentare scuole regolari e ha avuto, in casa, pasti e famiglie passabilmente regolari. È possibile che 17 bambini su cento muoiano di diarrea? Ripeto: di diarrea. E un milione e mezzo per mancanza di acqua potabile, di quell’acqua potabile che qui serve a politici e mafiosi per organizzare società private con cui lucrare miliardi di euro a spese di tutti. Ma l’acqua è un bene divino: pagare o morire per bere? La corruzione è a questo punto.

Non basta: tre bambini su cento miserabili che muoiono sotto i cinque anni, muoiono di Aids, quell’Aids contratto per miseria dai loro genitori. E spesso nascono già orfani di madre, perché mezzo milione di donne povere muore di parto o per motivi legati alla gravidanza. Può darsi che Mazzolari sembri invecchiato, troppo citato. San Francesco sarebbe una citazione addirittura preistorica, per il nostro modo di vedere televisivo, mercantile e arraffone.

Un libro di monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, intitolato «La Chiesa dei poveri nel Concilio e oggi», comincia così: «La Chiesa si presenta quale è e vuole essere, come la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri». La frase fu pronunciata l’11 settembre 1962, un mese prima dell’apertura del Concilio, ricorda Bettazzi, che conosce bene la realtà dei lavoratori e dei poveri, e allora passò quasi inosservata presso l’opinione pubblica; ma era stata anticipata dall’enciclica «Mater et magistra». Ed è ancora lì: la Chiesa cattolica è la Chiesa dei poveri. È sempre un’affermazione o è diventata un interrogativo?

Mario Pancera



Venerdì, 01 febbraio 2008