Editoriale - Pensare a Kakania / 22
CARLO CATTANEO
E IL GESUITA

di Mario Pancera

Libertà e affarismo ieri e oggi. Gli appelli del patriota nel 1848 e di Bartolomeo Sorge nel 2005


Carlo Cattaneo nelle sue memorie sulle cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848) e sugli avvenimenti successivi descrive i politici, i militari, i nobili del suo tempo come bugiardi, truffatori, mestatori, infingardi, pensosi soltanto del proprio interesse, simulatori, traditori, ladri. Raggiravano il popolo presentando come vantaggi ciò che poi si trasformava in tasse, parlavano di libertà e vendevano la Lombardia ai Savoia, chiacchieravano senza costrutto e giocavano con la finanza creativa (predicavano che era nell’ interesse popolare trasformare in carta le monete di metallo), prelevavano per sé quel che era destinato al pubblico, rafforzavano la polizia, ed anzi ne inventavano di nuove, spiavano le famiglie invocando la pubblica sicurezza: assumevano i provocatori mentre sguarnivano le forze che, dopo la vittoriosa insurrezione antiaustriaca, avrebbero dovuto salvaguardare la libertà.

Rimisero ai posti di comando coloro che avevano fatto parte delle vecchie forze sconfitte: i furfanti, i profittatori, gli imbelli, gli adulatori. Recuperarono le spie e i delatori affermando che non erano né spie né delatori, ed anzi avevano ben meritato. Imbrigliarono tanto l’opinione pubblica con le loro grida da far credere al popolo milanese e lombardo che la fusione col Piemonte era meglio della libertà appena conquistata. Insomma, invece di battersi per la libertà, per cui il popolo era insorto e morto sulle barricate, i vecchi faccendieri erano opportunamente saltati da un imperatore a un re. Passando da una Kakania all’altra salvavano i loro immensi beni, i palazzi, i balli a corte, gli affari. Erano sempre al potere.

«Il popolo era morto sulle barricate» sembra una frase retorica. Invece, non un nobile, un patrizio, un qualsiasi potente risulta fra i più di trecento caduti sulle barricate. Non uno. Solo operai, studenti, artigiani, impiegati, muratori, contadini, piccoli commercianti, tre possidenti (e tutti popolani) e un gran numero di donne. Ai faccendieri non importava la distruzione delle coscienze come non gli importava del profondo rosso dei conti pubblici, dissipavano finanze e credito, rastrellavano denaro dove non ce n’era per mantenere il denaro di quelli che già l’avevano. Da servi di Francesco a servi di Carlo Alberto, uno dei re più infidi e sleali della storia d’Italia. Questo racconta Carlo Cattaneo.

Sembra oggi. Lo scrittore e giurista risorgimentale, sostenitore di un’Italia libera e federata, precursore di una Europa unita, non era certo amico dei gesuiti, anche se guardava a Pio IX con occhio favorevole. A 160 anni di distanza da quei giorni, non ci sono più barricate, non c’è più un re, ma (fatta salva una percentuale di onesti) ci sono ancora tutti gli altri. E chi li denuncia, un laico? No, la parola è passata ai gesuiti. Molti se ne sono dimenticati, ma, data la situazione, è forse bene ricordare che due anni fa, febbraio 2005, sulla rivista «Aggiornamenti sociali», il padre Bartolomeo Sorge S.I. firmava un durissimo «Appello di fine legislatura» in cui scriveva quasi esattamente le stesse cose riguardo alla situazione italiana dei nostri giorni.

«La XIV Legislatura passerà alla storia come quella del “berlusconismo”», diceva. «È un brutto neologismo, ma è destinato a restare. Sta per: “fare politica prevalentemente nell’interesse proprio e dei propri amici (e dei ceti medio-alti)”. Apparve fin dall’inizio che Berlusconi era preoccupato anzitutto di provvedere agli interessi propri e dei suoi. Infatti, cominciò a eliminare l’imposta di successione e quella sulle donazioni, a depenalizzare il falso in bilancio, a legalizzare il rientro dei capitali esportati illegalmente, e diede il via a una serie ininterrotta di condoni e di sanatorie; quindi, per difendere sé e i suoi dalla “persecuzione” della magistratura, tergiversò sulle rogatorie internazionali e sul mandato di cattura europeo, autorizzò la sospensione o il trasferimento dei processi per “legittimo sospetto” (legge Cirami), fino a giungere - ai nostri giorni - a ridurre i termini di prescrizione, con l’intento trasparente di salvare l’amico Previti (legge Cirielli)...»

Gli italiani sono insorti contro il fascismo e molti sono caduti per la libertà? Ecco che il fascismo è tornato al potere e, gridando attraverso i suoi giornali e le tv, convince gli italiani che la Costituzione repubblicana è ormai antiquata e «per cambiarla può bastare una settimana». Parole di un loro leader. Un governo è in difficoltà finanziarie? Ecco che il ministro del tesoro vorrebbe trasformare in carta anche gli spiccioli e rimanda i debiti a credito degli anni a venire. Si deve riorganizzare il paese moralmente? Si reinventano i manganelli, lo spionaggio, i pestaggi (c’erano anche ai tempi di Cattaneo). I politici parolai continuano a parlare senza costrutto, a passare da una parte all’altra? Facciamoli ministri, vicepresidenti, presidenti, a destra o a sinistra non importa: diamo onorificenze e incarichi per farli viaggiare e mostrarsi al popolo che acclama.

La Kakania di ieri e quella di oggi. Il popolo moralmente disorientato e succubo crede agli imbonitori, li segue, plaude agli astuti di ritorno e firma la sua resa, nel Duemila come nell’Ottocento. Dopo aver vinto sul campo il nemico, viene sconfitto all’interno dagli amici del nemico. Ma come è finito Carlo Cattaneo con il suo appello? Già, e padre Bartolomeo Sorge? Sepolti dall’ignoranza e dal silenzio.


Mario Pancera



Mercoledì, 18 luglio 2007