Editoriale
La consueta proposta dalla Chiesa per la situazione in Birmania: un Dio impotente?

di Stefania Salomone

Fonti: Articolo Yangon-Adista 26 settembre 2007 (www.adistaonline.it)
“Il Dio impotente” - Conferenza P. Alberto Maggi (www.studibiblici.it)

Catene di preghiera, digiuni e adorazione perpetua del Santissimo Sacramento: è questo il programma della Conferenza episcopale cattolica di Myanmar (ex Birmania) di fronte alla gravissima situazione di violenza scatenatasi nel Paese, in seguito alla cruenta repressione della protesta dei monaci buddhisti contro il regime militare.”
Dov’è il Vangelo in un simile e purtroppo consueto approccio?
Ci hanno sempre insegnato - e, con rammarico devo ammettere che ci sono riusciti - che dobbiamo pregare per le situazioni di disagio, per tutti coloro che sono nella difficoltà e nella prova. E allora noi digiuniamo, adoriamo e preghiamo… Poi ce ne torniamo a casa soddisfatti e convinti di aver fatto tutto quello che è nelle nostre possibilità. Questo è FALSO.
Preghiamo dicendo “Signore, provvedi a coloro che non hanno da mangiare”, oppure “Signore, ti prego per quella persona o per quella situazione”. E Dio cosa fa? Si annoia ascoltando la perpetua inutilità delle nostre lamentazioni. E se avessimo orecchie per ascoltare udremmo “E tu cosa fai per cambiare queste cose? Io ti ho dato una mente per esercitare il buon senso, ti ho dato braccia, ti ho dato gambe, ti ho dato la bocca per gridare, perché non li usi?
Ma io ho passato una nottata in ginocchio davanti a te”… Non serve.
Usciamo fuori dal Tempio! Gesù nei Vangeli ci ha esortato mille volte a farlo, e noi continuiamo ad essere intrappolati lì dentro con i nostri canti, le nostre meditazioni e invocazioni; le mani giunte, quasi come in un gesto di chiusura.
Proviamo ad incontrare un poveraccio per strada, lo avviciniamo e gli diciamo che pregheremo per lui. Farà i salti di gioia?
Dice: ma Dio è onnipotente, è lui che si prende cura di tutti noi. Si, certo, nella misura in cui gli permetteremo di farlo. E come? Occupandoci dell’altro, non pregando per lui, ma prendendoci cura di lui.
Un messaggio di solidarietà è stato inviato a mons. Zinghtung Grawng dalla Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc), rappresentata dal suo segretario generale, mons. Orlando Quevedo, vescovo di Cotabato, nelle Filippine. "A nome della Fabc - vi si legge - esprimo la nostra solidarietà per la situazione che state vivendo e chiedo ai nostri membri di pregare affinché non si riproducano episodi di violenza".
Ma come esprimiamo questa nostra solidarietà? Per iscritto o con un messaggio a voce. Le nostre mani, così, restano sempre ferme e il cuore smette di battere, perché si è surgelato.
1) La Chiesa in Myanmar ha compiuto catene di preghiere, digiuni e adorazione perpetua di volta in volta in tutte le parrocchie di tutte le arcidiocesi e diocesi per la pace e lo sviluppo nel Paese a partire dal primo febbraio 2006 fino ad oggi.
2) Specialmente nell’attuale situazione, a tutti i cattolici è chiesto di pregare incessantemente e di offrire messe specifiche per il benessere del Paese.
3) In conformità a quanto afferma il Codice di Diritto canonico e la Dottrina sociale della Chiesa, preti e religiosi non sono coinvolti in alcun partito politico né nelle attuali proteste.
4) I cattolici, in quanto cittadini del Paese, sono liberi di agire nel modo che ritengono giusto. Il clero e i religiosi possono offrire una guida adeguata.
Offriamo Messe… Ma quando offriremo noi stessi? Non è proprio questo il senso dell’Eucarestia? Imparare a spezzarci, come pane vivo per gli altri, comunicare vita, stringere la mano tesa verso di noi. E noi cantiamo…
Si esortano i religiosi a stare fuori, a non lasciarsi coinvolgere, venendo meno al patto e alla fedeltà cui ogni cristiano è tenuto. Vorrei che i parroci e tutti i religiosi del mondo ci aiutassero a uscire per le strade, a prendere parte alla vita e alle disgrazie della gente, ci insegnassero ad indossare quell’ “asciugatoio” che Gesù ha indossato nell’ultima cena prima di lavare i piedi ai suoi…
Ma io ho recitato 100 rosari…” E che se fanno i monaci dei nostri rosari? Noi torniamo a casa e non abbiamo nessuno che ci punta un fucile contro perché noi siamo a posto. O no? Forse no. Abbiamo un fucile puntato contro e non lo sappiamo, non ce ne accorgiamo; siamo noi stessi che minacciamo la nostra sopravvivenza.
Se Dio vuole farà lui qualcosa… se permette tutto questo ci sarà un senso. No, non ce l’ha.
(…) Se noi affermiamo che Dio è onnipotente, che ci penserà lui, allora non è un Dio buono, perché come fa a rimanere insensibile di fronte alle tremende tragedie e sofferenze dell’umanità?
La giustificazione banale, insultante nei confronti di Dio, è che Dio non vuole il male, ma lo permette. Dio non vuole il male, ma lascia che ci sia. Un Dio che non vuole il male, ma lo permette, è ugualmente un Dio complice di questo male.
Può darsi che Dio esista, ma è poco o nulla influente nella nostra esistenza. Di un Dio così non sappiamo che farne.
L’opera di Dio si manifesta ampiamente, senza però sostituirsi mai all’uomo, ma potenziandolo. Dio non manifesta la sua onnipotenza, almeno come noi crediamo, per permettere a noi uomini di mnifestare la nostra. Se Dio fosse qui con la sua onnipotenza, noi non saremmo capaci di muovere un passo.
(…)
Il Dio impotente - p. Alberto Maggi

Se è vero che ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, è esattamente a questo che dobbiamo tendere. “Siate come il Padre vostro”. Cioè rendiamo giustizia alla grandezza del suo progetto su di noi e diamo prova della sua potenza attraverso le nostre opere.
Disubbidiamo a chiunque ci dica di tenerci fuori dalle ingiustizie del mondo, a chiunque ci tenga nelle mura del Tempio. Il tempio di Dio è dentro di noi, portiamolo agli altri, che non diventi la nostra corazza, il nostro rifugio.
E’ questa la chiave della solidarietà, un messaggio vivo che, per amore, ci porta inevitabilmente a perdere le nostre certezze fino alla fine.



Martedì, 09 ottobre 2007