Editoriale
È scoppiata la guerra del pane

di Paolo Ricca, teologo valdese

Siamo stanchi. Abbiamo fame, Tutto è diventato caro. Chiedo a tutte le donne di rovesciare le pentole e di fare, tutte le sere, un concerto con le pentole” - con le pentole vuote - propone una madre di famiglia senegalese. È il 31 marzo 2008, è in corso una marcia contro l’alto costo delle derrate di prima necessità. Proibita dal prefetto di Dakar, la manifestazione è stata duramente repressa dalla polizia, alla quale sono comunque occorse diverse ore per disperdere i manifestanti. Le “sommosse della fame” sono ormai ricorrenti in Africa. In Egitto, il governo sovvenziona il pane e lo fa distribuire dall’esercito. Ma l’Africa non è il solo continente a essere penalizzato dall’aumento del prezzo dei cereali, che rischia di affamare cento milioni di persone. Ad Haiti, la base dell’alimentazione dei più poveri è il riso, e il sacco di riso di 50 chili è passato, in una settimana, da 35 a 70 dollari: le manifestazioni di protesta hanno già provocato cinque morti. Altre manifestazioni si sono avute recentemente in Indonesia e nelle Filippine. Trentatré paesi (secondo altre fonti 37) sono in preda a disordini sociali a causa del forte aumento dei prezzi alimentari e del petrolio. Sul mercato il prezzo del grano è aumentato del 130% in un anno.
Perché il prezzo dei cereali ha avuto un’impennata così impressionante? Le ragioni principali addotte dagli esperti del settore sono tre. La prima è l’incremento della domanda di cereali legato al boom degli agrocarburanti, cioè dei cereali utilizzati per produrre carburante. Le grandi compagnie che fabbricano questo prodotto (il bioetanolo) negano che esso sia “il principale responsabile” dell’aumento dei prezzi degli alimentari. Ma anche se non è il principale responsabile, è certamente corresponsabile dell’aumento. È un fatto che una quantità cospicua di mais e germogli di soia venga sottratta all’alimentazione e destinata alla produzione di biocombustibili. La seconda ragione sono i cattivi raccolti dovuti a problemi climatici collegabili, almeno in parte, dal crescente inquinamento dell’atmosfera. La terza ragione è la crescita economica dei paesi emergenti che ha sensibilmente modificato le loro abitudini alimentari. L’umanità magia di più, e soprattutto mangia più carne. I cinesi, ad esempio, ne hanno consumato nel 2005 cinque volte di più che nel 1980. Ma per produrre un chilo di pollame servono tre chili di cereali, e più del doppio per ottenere un chilo di carne bovina. [1]

Che dire di tutto questo? La terza ragione indicata induce a un’amara riflessione, che è questa: il miglioramento del livello di vita e di alimentazione di un popolo provoca (insieme ad altri fattori) un forte aumento della domanda e quindi dei prezzi dei cereali, che le popolazioni più povere non possono sostenere e quindi vengono affamate. È il noto processo per il quale il maggior benessere degli uni determina il maggior malessere degli altri. La mia ricchezza è la tua povertà. La mia opulenza è la tua miseria. La mia fortuna è la tua sventura. Non è dunque vero quello che spesso si ripete, e cioè che là dove uno si arricchisce, si arricchiscono anche molti altri. È vero invece che molti altri si impoveriscono.
Ma il problema maggiore sembra essere un altro, e cioè che in tutta la questione sono gli interessi economici a farla, come al solito, da padroni: la domanda crescente di cereali fa lievitare il loro prezzo, e li si utilizza per qualunque uso, anche per produrre carburante anziché pane, che diventa in certi paesi merce rara e troppo cara per i poveri. Così certi paesi (i nostri) avranno pane e carburante, altri non avranno né carburante né pane. Ma nel Padre Nostro diciamo: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” - cioè chiediamo pane, non carburante, perché senza carburante si può vivere, ma senza pane no. Al primo posto ci dev’essere il pane: non è un caso che la prima richiesta del Padre Nostro che riguarda noi creature umane sia quella del pane, che precede persino quella del perdono.
E a questo proposito, possiamo fare due osservazioni. La prima riguarda il fatto che nella preghiera che Gesù ci ha insegnato il pane è detto “nostro”, non “mio”. Non posso chiedere a Dio solo il mio pane, senza chiedere il tuo, proprio perché il mio pane non può essere quello che ti è stato sottratto, il pane che tu non hai più perché i cereali che dovevano servire per farlo sono invece stati utilizzati per fabbricare il mio carburante. Non posso permettere che il mio bisogno di carburante venga pagato privandoti del pane che Dio ti ha dato. Non posso permettere che io mangi da solo il pane che abbiamo chiesto come “nostro”, cioè mio e tuo. La seconda osservazione è che il pane, nella nostra cultura, rappresenta la vita. Privare qualcuno del pane o renderglielo inaccessibile significa attentare alla sua vita e, al limite, togliergliela. Le decisioni degli organismi che governano il commercio dei cereali, il cui prezzo è aumentato in maniera vertiginosa, anche se possono sembrare ragionevoli perché corrispondono alle implacabili “leggi del mercato”, costituiscono in realtà un attentato alla vita di milioni di essere umani, e sono quindi, a ben guardare, operazioni omicide. (NEV 22/08)



Note

[1] Tutte le informazioni e i dati statistici che precedono sono tratti da un dossier di "Le Monde diplomatique/Il Manifesto" nr. 5, di maggio 2008.





Venerdì, 30 maggio 2008