Editoriale
Da pastore tedesco a peluche da salotto

di Giovanni Sarubbi

Il Papa Benedetto XVI ha rinunciato ad andare all’università di Roma La Sapienza nonostante le assicurazioni “al mille per cento” sulla sua sicurezza fornite dal ministro per l’Interno Giuliano Amato. Benedetto XVI non ha avuto il coraggio di affrontare le contestazioni del tutto pacifiche alle sue scelte politiche sui gay, sull’aborto, sulle donne..., di studenti e professori che, nonostante l’occupazione del Senato Accademico, non erano riusciti a far cambiare idea al magnifico Rettore che ha confermato e sostenuto l’invito al Papa a spada tratta.
Quello che molti quotidiani avevano definito, all’atto della sua elezione, il “rottweiler di Dio” o “il pastore tedesco”, per delinearne la sua durezza, il suo “volto feroce” ed in qualche modo anche il suo coraggio, può essere oggi retrocesso al rango più modesto di “peluche da salotto”, incapace di affrontare alcun tipo di contestazione pubblica alle suoe idee. Evidentemente quello che aveva da dire non valeva nulla, neppure il piccolo sacrificio di assistere a contestazioni pacifiche.
Per rimanere alla storia recente viene in mente immediatamente l’episodio della contestazione di Luciano Lama del 1977 proprio all’università di Roma. Li si che c’erano pericoli di vita per Lama, che non ebbe alcuna assicurazione dal ministro degli interni neppure al dieci per cento. Nonostante ciò Lama affrontò le frange più estreme dell’autonomia in un periodo dove i morti ammazzati per terrorismo erano all’ordine del giorno. Ben altra tempra d’uomo. Un tipo di uomo per il quale non contano i giuramenti formali alla difesa della fede “fino alla effusione del proprio sangue”, come giurano i Cardinali di Santa Romana chiesa e a maggior ragione il Papa, ma quelli che sono le proprie convinzioni profonde, le proprie scelte di vita, i propri ideali per cui vale la pena di affrontare qualsiasi sacrificio.
Per rimanere invece in tema di cristianesimo, viene a mente il discorso di Paolo Apostolo agli Ateniesi o i tanti episodi della sua vita, raccontati negli “Atti degli apostoli”, nei quali ha dovuto affrontare contraddittori violenti o confronti aspri all’interno delle comunità da lui stesso fondate, mettendo continuamente a repentaglio la propria vita.
Ratzinger, con questa “fuga”, che fa "rimpiangere" lo stesso Giovanni Paolo II, ha dimostrato di non essere un “pastore”, né “tedesco” né di altro tipo, ma solo un politico, interessato più alla politica che al suo ruolo “spirituale”. Un politico che non ammette contestazioni, che vuole tutti proni ai suoi piedi, un "papa re", con i suoi discorsi o libri osannati acriticamente, pur essendo essi pieni di evidenti errori dottrinali o semplicemente errati da un punto di vista di esegesi biblica. Un cattedratico che non ammette contestazioni e che si avvale della sua posizione per imporre le sue idee facendole passare per quelle di "Dio". Niente di paragonabile allo spirito di sacrificio dei missionari che affrontano rischi quotidiani che sono sconosciuti a Papa Benedetto XVI.
E che tutta l’operazione sia una bieca operazione politica è dimostrato dai commenti furiosi del centro destra e dai balbettamenti insulsi del centro sinistra anch’esso prono ad una politica che tende ad imporre il cattolicesimo romano come “religione di stato”, con la volontà del “papa re” indiscussa ed indiscutibile.
Questa vicenda ed i commenti che in queste ore si susseguono rappresentano molto bene l’abisso in cui è precipitata la vita politica e sociale del nostro paese. Ancora una volta assistiamo ad una completa inversione dei termini della questione, con il nero che viene presentato come bianco ed il bianco come nero. Il richiamo alla laicità dello Stato diventa oscurantismo e chi ancora oggi ha la pena di morte nel proprio catechismo e pratica ampiamente l’inquisizione nei confronti dei teologi della liberazione o delle comunità di base, viene invece dipinto come l’alfiere della libertà di pensiero e campione di democrazia. E’ di pochi giorni fa l’ennesima condanna da parte della Chiesa Cattolica di un teologo della liberazione, questa volta lo spagnolo Josè Maria Vigil.
Solo qualche parlamentare ha messo in rilievo come tutta la vicenda sia partita dalla decisione iniziale del rettore della Sapienza di affidare al Papa la “Lectio magistralis” di apertura dell’anno accademico, decisione poi trasformata, per la protesta di molti professori, nel far tenere al Papa un discorso al termine della stessa manifestazione di apertura. Decisione peggiore di quella iniziale perché ha reso la questione ancora più confusa e ambigua. E’ del tutto evidente che affidare la “lectio magistralis” di apertura dell’anno accademico di una università al Papa, ma la stessa cosa vale per qualsiasi autorità religiosa, è qualcosa del tutto assurdo e inaccettabile dal punto di vista della laicità dell’insegnamento che non può essere confessionale. Ma per i nostri teocon la teocrazia è condannabile sono quando viene praticata nei paesi islamici mentre è del tutto legittima quando la si pratica a Roma.
Ben altra cosa sarebbe stato se il rettore della Sapienza avesse organizzato per l’apertura dell’anno accademico un confronto pubblico fra tutte le religioni del nostro paese. Questa si sarebbe stata una decisione che ci saremmo sentiti di appoggiare incondizionatamente e che, credo, nessun professore o studente avrebbe mai contestato perché avrebbe reso onore a quella laicità dello Stato e dell’insegnamento continuamente calpestata anche da chi istituzionalmente dovrebbe tutelarla.
Detto questo bisogna anche dire che tutta la vicenda è stata gestita in modo a dir poco dilettantesco, con professori universitari che fanno una citazione del Papa risultata poi sbagliata, dando facile spazio ai mestatori di mestiere di confondere ancora di più le acque, con il tema della laicità di fatto oscurato. Ma la questione servirà anche, sicuramente, per oscurare le gravi responsabilità sulla gestione dei rifiuti in Campania. Tutto è utile per confondere sempre più le idee e per spingere le persone a richiedere decisioni “forti” affidate ai soliti “uomini della provvidenza”.
Probabilmente è stato fatto qualche “errore di estremismo anticlericale”. Anche questo è uno dei segni dei tempi su cui bisognerà riflettere perché l’estremismo viene fuori quando le forze che si battono per la liberazione degli oppressi hanno perso momentaneamente il loro senso di marcia e sono incapaci di elaborare idee all’altezza dello scontro sociale in atto che siano capaci di mobilitare milioni e milioni di persone.
Un amico in una lettera mi ha scritto: “L’università è a terra, il parlamento fa acqua, il Vaticano ci marcia”. E ha ragione. L’estremismo anticlericale alla fine può fare il gioco proprio dei clericali, come sta avvenendo in queste ore. Ma non durerà molto.



Mercoledì, 16 gennaio 2008