Editoriale
Tu non uccidere

di Giovanni Sarubbi

A sette anni dall’inizio della "guerra infinita"


SIAMO da sette anni in guerra di una guerra che è stata qualificata come “infinita”, ma nei paesi occidentali è come se vivessimo in un altro pianeta. La guerra si sta combattendo in medio oriente, in Iraq, in Afghanistan, in decine di paesi in Africa o in giro per il mondo, insomma lontano dall’Europa e dai paesi che durante la seconda guerra mondiale sono stati interessati da violente e cruenti battaglie come la Francia, l’Inghilterra, la Germania, l’Italia o il centro Europa fino alla ex URSS. Certo c’è stata la guerra in Kossovo del ’99, che ha di fatto aperto le ostilità, c’è oggi la guerra in Georgia, ma siamo lontani da quello che successe dal 1938 al 1945. Anche la ricorrente paura di attentati terroristici, fomentata a scadenze precise, come quella di oggi settimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, non spaventa più di tanto i cittadini del nostro paese. Negli stessi USA, dove la paura viene coltivata ad ogni ora del giorno e della notte, sembra che l’80% degli americani siano nettamente contrari alla politica di Bush e alle guerre da lui promosse. In Italia anche l’avere truppe in prima linea in Afghanistan o in Libano o in altri paesi polveriera come il Kossovo, è un fatto che interessa solo i familiari di quei soldati che del resto sono tutti volontari e sono li consapevoli di quello che fanno. E’ come se fossimo un po’ tutti narcotizzati, assuefatti ad una realtà di distruzione e morte e neppure la paura di ulteriori e più gravi catastrofi, come l’esplosione di una guerra nucleare, produce alcuna reazione. Fa più paura e desta più preoccupazione la crisi economica, la gigantesca crisi finanziaria americana che coinvolge l’intero pianeta che la guerra e la possibilità della distruzione dell’intero pianeta.
Centinaia di civili vengono uccisi ogni giorno in Afghanistan ma nessun giornale di grande comunicazione ne parla. Quando ne parlano si tratta di “terroristi” o di “errori” che però sono addebitati ai Talebani che si nasconderebbero dietro i civili. I “nostri”, i “buoni”, sparerebbero solo contro i Talebani, i “cattivi”, che colpa ne abbiamo se questi si nascondono dietro i civili? Lo stesso linguaggio e gli stessi argomenti usati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale per giustificare le stragi di civili o le rappresaglie compiute in giro per l’Italia durante la guerra di liberazione dall’8 settembre ’43 al 25 aprile del ’45.
Per il nostro giornale invece chi ammazza è sempre un omicida. Per noi l’omicidio non è mai giustificato, e lo sottolineiamo un miliardo di miliardi di volte. Una volta, ma i cappellani militari lo dicono ancora, si diceva che uccidere in guerra non è né reato né peccato. Per noi invece la guerra, chiunque la faccia, non è mai giustificata perché guerra significa uccisioni in grande stile, distruzioni materiali, inquinamento e devastazione dell’ambiente con pesanti ripercussioni sulle generazioni future e sul futuro stesso dell’umanità. La guerra produce nati deformi, mutazioni genetiche gravi, cancri sempre nuovi contro cui nulla si può fare.
L’unica cosa che c’è da fare è disarmare l’umanità, rendere concreta la profezia di Isaia che campeggia sulla home page del nostro sito: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra.» (Isaia 2,4). Bisogna deporre le armi, sotterrale definitivamente, non fabbricarne mai più. Tutto il resto è barbarie, follia delinquenziale che serve a coprire l’ingordigia di chi attraverso la guerra vuole continuare a giustificare le ingiustizie sociali, lo sfruttamento dei paesi poveri, l’accaparramento in poche mani di tutte le risorse esistenti, petrolio, minerali, cibo, acqua.
Su questa linea del disarmo generalizzato dell’umanità le chiese cristiane dovrebbero essere in prima fila, nessuna esclusa, ma non è così. Negli Stati Uniti una consistente parte delle chiese cristiane americane, e si tratta di un movimento trasversale che riguarda protestanti cattolici e ortodossi, ha sostenuto e continua a sostenere la guerra infinita attualmente in atto e di cui gli USA sono i responsabili principali. Il candidato repubblicano McCain è un veterano della guerra del Vietnam e viene definito un “eroe” di quella guerra che di “eroico” o di moralmente accettabile, se mai una guerra può avere una tale caratteristica, non ha avuto assolutamente nulla. La sua vice Sarah Palin viene indicata come valente cacciatrice ed esperta nell’uso delle armi nonché esponente di punta della potentissima lobby degli armamenti, quella lobby che controlla il 35% del PIL degli USA, come dire l’intera economia nazionale costruita attorno alla guerra. Che cosa orribile vedere una donna, che dovrebbe dare vita, imbracciare un fucile ed essere orgogliosa di farlo.
Entrambi questi candidati si dichiarano cristiani. Sarah Palin, in particolare, è evangelical, o come la definisce Riforma, il settimanale dei Valdesi, “wasp evangelical” (letteralmente “vesta evangelicale”). Cosa c’è di “evangelico”, cioè di riferibile a ciò che è scritto nei Vangeli, nel sostenere le industrie degli armamenti? In quale dei quattro Vangeli facenti parte della Bibbia cristiana si da indicazione di sviluppare fucili, bombe atomiche, carri armati, sottomarini nucleari, missili intercontinentali, armi chimiche e quant’altro oggi riempie gli arsenali degli USA, che ne sono il principale produttore, ma anche di altri paesi anche molto grandi e potenti come Russia e Cina? La Bibbia che leggono i cosiddetti “evangelicali” è forse diversa da quella letta dagli altri cristiani che invece si oppongono alla guerra e sognano il sogno di Isaia e delle Beatitudini di Gesù, “Beati i mansueti, perché erediteranno la terra”, “Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio”? E non valgono anche per gli “evangelicali” le parole della Lettera agli Efesini (Ef 6,14-17), che il pastore valdese Paolo Ricca definisce lo streap-tease del legionario, che invita i cristiani a stare “dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infocati del maligno. Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio”? In quale versetto i cristiani sono invitati a combattere con le armi in pugno e a produrre strumenti di morte e distruzione? E come si può dalla stessa Bibbia giungere a due conclusioni diametralmente opposte, da un lato la pace e la nonviolenza e dall’altra la guerra?
Ovviamente nessun evangelicale risponderà mai a queste domande e come potrebbe! Dovrebbe riconoscere di essere un “cristiano abusivo”, un usurpatore di un nome che è molto lontano dalla sua vita concreta. Dovrebbe riconoscere di essersi prostituito a quel potere a cui Gesù nei Vangeli oppone un deciso “vattene Satana, rifiuto le tue tentazioni”.
In questo anniversario dell’11 settembre 2001, nel quale sentiremo l’ennesimo elogio del militarismo, c’è dunque ancora in discussione il ruolo delle chiese cristiane, ma anche delle altre religioni, rispetto ai destini dell’umanità. E i termini della discussione sono ancora gli stessi di sette anni fa, seguire il Vangelo, e quindi abbandonare la via della guerra, o seguire Mammona, il potere economico politico e militare degli imperi incarnato oggi in un determinato tipo di sistema sociale, quello capitalistico che domina il mondo e che è il responsabile primo della gravissima crisi che l’umanità sta vivendo. E scegliere l’una o l’altra cosa non è senza conseguenze per l’intera umanità. Una scelta si impone. Ed è ora che i cristiani che seguono l’evangelo sfrattino gli abusivi dalle loro comunità e facciano di nuovo sentire la forza dirompente e liberatore del “tu non uccidere”.


Giovanni Sarubbi



Giovedì, 11 settembre 2008