Editoriale
Un grande segno

di Giovanni Sarubbi

In una chiesa militarizzata, la Basilica di San Paolo Fuori le mura a Roma, succede quello che nessuna delle autorità presenti si aspettava. Un uomo anziano sale sull’altare, va al leggio e grida per ben sei volte "PACE SUBITO" prima di essere allontanato.
La scelta del momento per l’azione non è stata casuale. L’uomo, di cui al momento non conosciamo il nome, entra in azione al momento dell’invito del celebrante allo "scambio del segno di pace". Così mentre i responsabili dell’entrata in guerra dell’Italia, in barba alla nostra Costituzione, si stringono la mano, lui va decisamente verso il leggio e grida il suo messaggio con quanta forza ha in corpo. Stupore si stampa sul viso dei vari Martino e Parisi, gli ex ministri della difesa (o forse meglio della guerra), che decisero la missione afghana e che la mantenerono e che anche oggi pervicacemente la sostengono. In uno dei commenti televisivi si sente un giornalista che non crede alle proprie orecchie e che dice "deve essere successo qualcosa". Il copione dello spettacolo non è stato rispettato e non gli è stato detto cosa deve dire.
Di fianco al leggio c’è un carabiniere in alta uniforme, le mani conserte sullo spadone d’ordinanza, lo sguardo fisso in avanti. Non fa una piega, non si volta aguardare cosa succede a fianco a lui. Gli hanno detto di stare immobile, forse non sente neppure cosa gli gridano nelle orecchie. Non è lui ad intervenire. A farlo con decisione è un chierico, un prete o un diacono che immediatamente balza addosso a colui che si è permesso di ricordare che la pace si deve fare d’avvero, che non dev’essere ipocrita, che non può essere un gesto formale che non implichi una precisa assunzione di responsabilità personale e che chi è responsabile della guerra e dei morti che ne conseguono, non può essere in pace e non può dare segni di pace all’infuori di una scelta precisa, quella della PACE SUBITO, del ritiro di tutti glieserciti e del loro scioglimento, del dare un lavoro onesto a chi invece hanno mandato in guerra.
Questo uomo coraggioso che ha osato sfidare i potenti d’Italia ed un clero militarista e sordo al grido di dolore che viene dai popoli in guerra, è stato portato via. Di lui non sappiamo il nome e forse è un grande segno.  Egli ci rappresenta tutti. Forse da qui ricomincia ad essere concreta la speranza di cambiamento. Tutti gli italiani e gli uomini e donne di volontà buona si possono riconoscere in lui, nel suo gesto e nel suo grido, che è insieme un grido di dolore ma anche un appello alla vita. Il dolore dei morti in guerra, di tutte le vittime che dicono MAI PIù GUERRA, PACE SUBITO.

Quest’uomo ignoto ci ricorda il giornalista iracheno che lanciò le sue scarpe contro l’allora presidente USA Bush. Quel grido PACE SUBITO è più di una scarpata, è un gesto nobile che ci richiama alle nostre responsabilità. La pace dipende da tutti noi se finalmente abbiamo il coraggio di gridare come ha fatto quella persona il 21 settembre nella chiesa di San Paolo Fuori le mura a Roma.
Grazie a lui e a quanti vorranno fare come lui.



 














Mercoledì 23 Settembre,2009 Ore: 17:36