Editoriale
Una possibilità da non lascirsi sfuggire

di Giovanni Sarubbi

Un contributo al dibattito sul convegno dei cattolici del 16 maggio a Firenze


Disagio o dissenso: questa la domanda che si sono posti alcuni commentatori riflettendo su ciò che è venuto fuori al convegno dei cattolici italiani tenutosi a Firenze il 16 maggio 2009. Qualcuno ha persino definito l’incontro con il termine di sinodo, ed in effetti molti interventi hanno fatto riferimento alla sinodalità nella vita della chiesa. Ma la definizione di “sinodo” è stata rifiutata in qualche intervista dei promotori. Don Giannoni, che ha tenuto la relazione introduttiva, ha in particolare più volte sottolineato che si tratta di “disagio” e non di “dissenso”. Il Corriere Fiorentino proprio il giorno 16 riportava nell’occhiello dell’articolo intitolato “E’ disagio, non dissenso: la Chiesa ha mille colori”, la notizia che la relazione al convegno era già stata consegnata all’arcivescovo, e nel sottotitolo riassumeva con : «Riuniti i “progressisti” italiani, ma niente etichette vecchio stile».
Durante l’assemblea la contrapposizione disagio-dissenso è stata posta esplicitamente da Luigi Sandri, che ha rivendicato il diritto al dissenso, richiamandosi allo scontro fra Pietro e Paolo di cui si parla negli Atti degli Apostoli e nella lettera ai Galati. Il dissenso è evangelico, ha detto Sandri, il dissenso fa parte del “vangelo che abbiamo ricevuto”.
Altro elemento su cui si è soffermato qualche commentatore è l’introduzione al convegno fatta da Peyretti e Rosemberg che hanno sintetizzato i contributi preparatori al convegno. In apertura della loro relazione (costruita con una sorta di copia/incolla dalle relazioni pervenute dai partecipanti) hanno proposto ai presenti “un impegno solido e duraturo di trasmettere il Vangelo che abbiamo immeritatamente ricevuto”, mettendo l’accento su immeritatamente, “perché nessuno possa vantarsi e l’evangelo non diventi mai qualche cosa della quale ci si possa appropriare”. 
Entrambe le questioni, disagio-dissenso ed il “vangelo immeritato”, sono estremamente significative dello stato in cui versa la chiesa cattolica italiana ed in particolare della sua parte più avanzata.
E’ indubbio che nella Chiesa Cattolica, e non solo in quella italiana, ci sia un disagio crescente da parte di chi vede progressivamente distruggere tutto ciò che il Concilio Vaticano II aveva cominciato a costruire oramai quasi 50anni fa. In particolare tutta la generazione del Concilio, quella che oggi ha fra i 55 e i 70 anni, e che rappresentava la grande maggioranza dell’assemblea di Firenze, si sente praticamente tagliata fuori e pesantemente emarginata da una chiesa, sempre più coincidente con la gerarchia papale, che ha deciso di praticare il dogma dell’infallibilità in modo sempre più duro e militare. In questa chiesa si deve sempre più ubbidire, come se essa fosse un esercito in battaglia, senza la possibilità di avanzare alcun dubbio, dietro ad un unico capo supremo che è il Papa. Una chiesa, come ha scritto Alberto Melloni sul “Corriere della Sera” del 17 maggio 2009, dove vige la «disabitudine profonda, quasi cronicizzata, al colloquio nella Chiesa, per cui il solo udire le domande difficili che questo tempo pone provoca, come reazione, che queste domande vengano liquidate e scomunicate usando come aspersorio qualche frase papale». Questo disagio, in altre realtà ecclesiali diverse da quella italiana, è esploso in modo fragoroso soprattutto dopo la decisione di Benedetto XVI di revoca della scomunica ai lefebvriani, con parrocchie o movimenti ecclesiali che sono arrivati a chiedere le dimissioni del Papa.
Porre dunque la questione del “disagio nella chiesa” non fa altro che constatare quella che è la realtà e la difficoltà non solo dei sessantenni a capire cosa fare. Disagio innanzitutto come difficoltà di fronte a qualcosa di gravemente spiacevole. Disagio come presa di coscienza che un punto di non ritorno è stato superato e che occorre fare qualcosa. Disagio come primo passo di una possibile conversione (una metanoia) della propria vita che per un cristiano non può che basarsi sul “vangelo che abbiamo ricevuto”.  Ma anche disagio dal sentirsi minoritari pur avendo dalla propria i documenti del Concilio Vaticano II che dicono cose diverse da quello che decide quotidianamente il Papa e la Curia Vaticana.
In che cosa si può trasformare questo “disagio”? Può diventare dissenso? E se si come coinvolgere la maggioranza della chiesa in questo percorso? Basta il dissenso e in cosa e come  bisognerebbe articolarlo? E’ possibile recuperare la maggioranza dei vescovi ad un percorso di conversione o bisogna rassegnarsi ad avere dei «vescovi-prefetti», ubbidienti e sottomessi al Papa, impegnati a gestire l’otto per mille e a fare da supporto al partito al governo o alla campagne del Vaticano? A tutte queste domande va aggiunta quella sulle giovani generazioni che nella loro maggioranza, anche se battezzati, ignorano nella loro vita il “vangelo che abbiamo ricevuto”. Nessuna  impresa ha una qualche prospettiva senza l’apporto delle giovani generazioni.
L’incontro di Firenze non poteva, essendo il primo del genere, dare una risposta compiuta a tutte le domande precedenti. Negli interventi, anche per l’estrema limitatezza dei tempi (appena tre minuti), solo qualche accenno alle questioni di fondo che pesano oramai come macigni sulla coscienza dei cattolici e la cui risoluzione non è più rinviabile pena la distruzione e l’oblio del “vangelo che abbiamo ricevuto”.
Una delle questioni di fondo è proprio il contenuto del “vangelo che abbiamo ricevuto”, questione che è interamente compresa nell’altra questione che accennavamo all’inizio del cosiddetto “vangelo immeritato”. Che significa questa espressione?
Indubbiamente questa espressione, rivendicando che nessuno si appropri del Vangelo, mette in luce che qualcuno si è appropriato del Vangelo è lo ha trasformato profondamente nei suoi contenuti.
Dall’altro lato però crediamo che l’espressione “vangelo immeritato” rappresenti bene una idea pesantemente sacrale del Vangelo e dei suoi contenuti. Una idea che stravolge pesantemente il contenuto del Vangelo che è invece teso inequivocabilmente a desacralizzare la vita dell’umanità (il sabato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato). Un’idea che trasmette una immagine di Dio lontanissima da quella proposta da Gesù e che è stata racchiusa nella relazione di Peyretti-Rosemberg nella affermazione :” Noi la amiamo la chiesa, con tutti i suoi limiti, perché essa ci ha generati alla fede, ci dona il vangelo e il perdono di Dio”. In questa frase c’è l’immagine di un Dio che si ciba del peccato degli uomini e di una struttura sacra, la chiesa, che fa da mediatrice con Dio e dispensatrice di doni e del perdono che diventa la massima aspirazione di chi vive terrorizzato dal peccato. Ma una tale concezione nega proprio “il vangelo che abbiamo ricevuto” la dove in particolare è scritto che Gesù  “toglie il peccato del mondo” (al singolare) (Gv 1,29), nel senso che ne estirpa l’idea stessa con tutte le conseguenze che questo comporta, in primo luogo i sacrifici espiatori e la casta sacerdotale che li amministrava.
Cosa è dunque il “vangelo che abbiamo ricevuto” e che cosa è la fede di cui si parla senza dare un significato a tale parola? Fede in Dio? E quale Dio? E’ questo quello che chiede Gesù nei Vangeli? O ci chiede di aiutare i deboli, i carcerati, gli ignudi? O non dobbiamo oggi comprendere meglio e più profondamente questo termine “dio” usato nei Vangeli e che non possiamo più ripetere con le stesse categorie di duemila anni fa, come se l’umanità fosse rimasta ferma a quelle situazioni sociali, culturali, scientifiche, politiche, economiche?
Il testo dell’intervento che avremmo voluto leggere all’incontro di Firenze e che abbiamo dovuto sintetizzare tentava di dare una risposta a tali domande che, crediamo, non sono più eludibili.
Non è più possibile rimanere inerti e non ribellarsi di fronte alla sfrontata sacralizzazione di tutta la vita della Chiesa, o alla riproposizione in ogni occasione della dottrina delle indulgenze, o alla scandalosissima pratica del culto dei santi, un vero e proprio commercio sacro che non ha nulla da invidiare a quello praticato ai tempi di Gesù nel tempio di Gerusalemme o nei vari templi pagani in giro per l’Impero Romano.
Certo non possiamo buttare l’acqua sporca e il bambino. Ma non possiamo più rinviare la demolizione, controllata quanto si vuole, di tutta l’implalcatura enorme, teologica dottrinaria sacramentale organizzativa, costruita sulle spalle di Gesù e del suo Vangelo. Non possiamo più perderci nell’analisi di singoli passi di questo o quel testo biblico perdendone il senso generale e l’ispirazione profonda che è quella della condanna della religione come strumento oppressivo dell’umanità e sostegno dei sistemi imperiali.
Oggi noi possiamo fare con chiarezza questa affermazione perché le conoscenze che abbiamo ci hanno aiutato a liberarci di tutti i miti basati sulla ignoranza dell’universo. Le scienze ci aiutano a libearci del sacro: il vangelo di Gesù può realizzarsi oggi compiutamente ed è alla nostra portata realizzarlo, come quando egli lo annunciò nella sinagoga di Nazaret.
E’ questo il grande compito che abbiamo come cristiani di questo tempo: non perdiamoci nelle polemiche spicciole e affrontiamo di petto i segni dei tempi senza alcuna paura dei profeti di sventura.

Per gli altri interventi sul convegno del 16 maggio vai alla pagina www.ildialogo.org/parola



Venerdì 22 Maggio,2009 Ore: 15:35