Editoriale
Diritto «divino» o perdono

di Alessio di Florio

Alcune settimane fa è stato ritrasmesso in televisione uno sceneggiato su Giovanni XXIII. Una scena, che mi è capitata di vedere di sfuggita nella cucina di casa, mi ha particolarmente colpita. Si vedono alcuni operai in sciopero avanzare, bandiere rosse al vento. Il futuro Papa si avvicina ad uno di loro e lo saluta. Comincia ad ascoltare le loro proteste, la disperazione per la negazione dei loro diritti. Passo dopo passo assume su di sé il peso di quelle parole e le fa sue. Le loro angosce diventano le sue, la loro disperazione la sua. E del corteo diventa il portavoce e l’avanguardia. Profeticamente e poeticamente, diversi anni dopo, Paolo VI e il Concilio Vaticano II riporteranno lo stesso spirito nella Gaudium et Spes.

"le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce, degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore"

La Chiesa, una Chiesa profetica, testimone della parresia del Maestro, si immerge nella realtà dell’uomo di oggi e se ne fa compagno. Divide con lui il pane della speranza e accompagna il suo dolore.

Oggi, spesso, nella Chiesa di Ruini che nega pietà per ordine logico, di Bagnasco e di Ratzinger spesso non è così. Negli stessi giorni dello sceneggiato, Benedetto XVI ha annunciato un suo viaggio in Africa, in occasione del Sinodo africano. Ripensando ad episodi del passato recente timori e speranze si accavallano. Ratzinger avrà il coraggio della verità e dell’umile confessione davanti ai crimini, odierni e passati, dell’Occidente cristiano e opulento o, come nel viaggio in America Latina, negherà tutto? Il Sinodo sarà l’occasione per liberare la spiritualità, l’ardente desiderio e sete del Vangelo e di Cristo dei fratelli africani o, come già accaduto nel 1994, sarà l’occasione per irrigidimenti dogmatici e omertose ’messe a tacere’?
La profezia e la testimonianza lasceranno ancora il passo al fariseismo di vuoti rituali?

Come ha recentemente scritto in un articolo su Jesus il carissimo don Fabio Corazzina, autorevole esponente di Pax Christi e pietra viva della Chiesa degli ultimi e della speranza, davanti agli altari restiamo "con i nostri vessilli, le nostre ragioni, i nostri divieti e Gesù sarà fuori, celebrando la liturgia più bella con il suo popolo che cerca vita, desidera riconcilia­zione, gioisce per lo fiducia ricevuta."

E’ finalmente arrivato l’ultimo verdetto giudiziario del calviario di Eluana Englaro, la ragazza in stato vegetativo irreversibile da tantissimi anni. Anni di dolore e sofferenza indicibili per la famiglia. Ogni mattina, ogni santo giorno costretta a vedersi davanti Eluana in uno stato che vita non è. Inchiodata alle macchine come Cristo in croce. E, anche in questi giorni ultimi, autorevoli esponenti delle gerarchie vaticane hanno alzato il dito e giudicato. Condannato, lanciato strali di fuoco. Nessun atto di carità, nessuna misericordia. Condanna come dura pietra. Parole che aggrediscono e feriscono. Nessuno spazio all’umanità. Come si può definire assassino un padre della propria figlia? Come poter insultare così apertamente colui che, con tanto amore e pazienza, angoscia e sofferenza, è stato vicino in tutti questi anni a quel che restava della figlia?

Le parole di Paolo VI e della Populorum Progressio non sembrano avere più senso, esistere e avere cittadinanza.

E in mente ritornano le parole di Dé Andre, che cristianamente degli ultimi e dei sofferenti si faceva compagno di strada, cantore, amico, voce.

Lo sanno a memoria il diritto divino e scordano sempre il perdono



Venerdì, 14 novembre 2008