Editoriale
I regali della befana

di Giulio Vittorangeli

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli@wooow.it) per questo intervento.

Gianni Rodari e’ nato a Omegna nel 1920; maestro, antifascista, militante comunista, giornalista, scrittore; nel 1970 riceve il Premio Andersen (il massimo riconoscimento per la letteratura per l’infanzia); muore nel 1980. Tra le opere di Gianni Rodari di particolar interesse dal nostro punto di vista e’ la Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino, piu’ volte ristampata; nel 1990 Emme Edizioni ed Einaudi in collaborazione hanno avviato la pubblicazione delle Opere complete di Gianni Rodari. Opere su Gianni Rodari: cfr. almeno Marcello Argilli, Gianni Rodari. Una biografia, Einaudi, Torino 1990; Pino Boero, Una storia, tante storie. Guida all’opera di Gianni Rodari, Einaudi, Torino 1992; Carmine De Luca, Gianni Rodari. La gaia scienza della fantasia, Abramo, Catanzaro 1991; Patrizia Zagni, Gianni Rodari, La Nuova Italia, Firenze 1975]


"Si é dimenticato di dire - dice un signore all’autore - che la Befana porta i regali solo ai bambini buoni. Ai cattivi no".

L’ho guardato per trenta secondi , poi gli ho domandato: "Preferisce che le stacchi un orecchio o che le mangi il naso?".

"Come dice, scusi?".

"Le domando se vuole un’ombrellata in testa o un chilo di ghiaccio nel collo della camicia. Ma come si permette lei, piuttosto, di sostenere ancora che esistono bambini cattivi? Si metta in ginocchio e chieda perdono".

"Che cosa vuol fare con quel martello?".

"Glielo picchio sul dito mignolo, se non giura subito che tutti i bambini sono buoni. Soprattutto quelli che non ricevono regali, perché sono troppo poveri.

Allora, giura o no?".

"Giuro, giuro".

"Benissimo. Guardi, me ne vado e non le sputo nemmeno in faccia. Sono troppo buono, io".

Citazione, di grande ironia nei confronti del presente, tratta dalle Novelle fatte a macchina, di Gianni Rodari, del 1973, relativa alla storia della Befana.

Così, non a caso, nella precedente reinvenzione della favola tradizionale, sempre di Rodari e sempre relativa alla Befana, La freccia azzurra (1964), vediamo i giocattoli esposti in vetrina insorgere, commossi dalle lacrime di Francesco, il bambino povero, e decidere di raggiungere Francesco, grazie al fiuto del cane Spicciola, che segue la "pista odorosa" lasciata dalle scarpe rotte del bambino.

Avviene, dunque, un atto di giustizia. Anzi, nel corso della narrazione, gli atti di giustizia si moltiplicano.

Lungo la strada i vari giocattoli vanno a rendere felici diversi bambini poveri, che seguendo le leggi ferree dell’economia e della società divisa in classi sarebbero rimasti senza regali.

La "reinvenzione" da parte di Rodari ha la funzione di prospettare una società più giusta, nella quale non ci siano ricchi e poveri e tutti possono essere felici, sin dall’infanzia.

Per come siamo conciati oggi (un’Italia sempre più povera e a rischio di derive razziste, per citare il recentissimo rapporto del Censis: "Una mucillagine, un insieme inconcludente di individualismo che non guarda al futuro"), sembra davvero che l’aspettativa di un mondo più giusto sia relegata unicamente nel mondo delle fiabe.

Ma le fiabe sono storie, apparentemente bugiarde, che si raccontano per dire la verità.

Sono passati quasi cinque anni, dal mio viaggio in Nicaragua; e delle tante cose che mi sono portato dentro, l’immagine del gruppetto di tre bambini "cattivi" (che non riceveranno regali dalla Befana) a Matagalpa, é forse quella che più mi tormenta, per la totale impotenza provata.

Lei, la più alta, con un vestitino bianco consunto, che protegge i due fratellini; lui in mezzo, e il più piccolo, succhiandosi il dito, mentre ci chiedono di regalargli qualche spicciolo.

Allora, come oggi, cerco di chiedermi quand’é che uno già non pensa, già non si spaventa nemmeno nel vedere questa magrezza, i capelli tosati, gli zigomi di un’altra età sui loro visi di pochi anni.

In quale momento uno già non pensa e si gira a guardare da un’altra parte e comincia a pensare ad altre cose, a parlare di altro, a scrivere altre cose. Dicembre mi é sempre sembrato il mese più triste, dove per paradosso e nonostante le luci, i rumori e la scarsa tredicesima, la povertà di questo popolo si vede ancora di più in carne viva.

Ci sono due Nicaragua, ogni giorno più lontane, e pietra su pietra, per ogni centro commerciale per pochi, per ogni attività illegale, per ogni bustarella di corruzione, per ogni zona franca che si apre, questo muro di rumore si eleva sempre più alto.

Questa forma costante di povertà che dobbiamo vincere ogni giorno, questa abitudine alla magrezza estrema, questo dicembre di povertà che finisce con il desiderio, ostinatamente ingenuo che girando l’angolo dell’anno alcune cose cambieranno davvero.

Questa rabbia che dà la magrezza di piccole braccia che si allungano verso la vetrina di un negozio di questa strada.

Questa rabbia, questa rabbia, che almeno lei non scappi, fuggendo sotto il rumore.

Tratto da
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Numero 300 dell’11 dicembre 2007



Martedì, 11 dicembre 2007