Servizi pubblici paradigma di una società moderna e solidale

di Claudio Meloni (ATTAC Italia)

In questi anni di culto del mercato e di riduzione progressiva dell’intervento statale nell’economia, il cittadino comune ha potuto assistere non solo ad una progressiva compressione dei suoi diritti di cittadinanza, dai più elementari quali il diritto alla salute, il diritto all’istruzione, il diritto alla mobilità, ma anche ad una graduale riduzione della sua possibilità di influire sulle scelte politiche delle amministrazioni, tanto quella centrale quanto quelle periferiche.

Sempre più spesso le questioni che riguardano i diritti fondamentali, incluso uno dei diritti essenziali alla sopravvivenza quale il libero accesso all’acqua potabile, vengono decise al di fuori degli organi rappresentativi delle comunità, e all’interno di consigli di amministrazione di imprese private. I recenti casi di Firenze e di Milano ne sono un esempio. Al di là delle diverse opinioni che si possono avere circa l’efficienza presunta od effettiva del libero mercato, è innegabile che nel settore dei servizi pubblici, in quei casi in cui il mercato ha potuto esprimere le sue principali prerogative, i risultati sono stati a dir poco deludenti. In effetti, i diversi tentativi esperiti dai diversi governi passati per liberalizzare i servizi di pubblica utilità, i c.d. servizi di interesse generale, hanno conseguito risultati dubbi se non negativi, sia per quanto riguarda le modalità, che per quanto attiene ai risultati ottenuti. Il caso di Telecom ci appare sotto questo punto di vista emblematico, in quanto si è passati da un monopolio pubblico ad un monopolio privato, e a parte la rendita di posizione di cui ha potuto godere bontà sua il monopolista privato, i risultati economici non sono stati certo migliori della precedente gestione. D’altra parte la proposta che ci viene attualmente prospettata, ossia quella di separare la gestione delle reti da quella dei servizi, appare anche questa una soluzione di dubbia efficacia: non è che separando la gestione delle reti da quella del servizio si riesca a tutelare in modo migliore gli interessi dei cittadini, utenti e risparmiatori, e dei lavoratori, dai fallimenti di una gestione privatistica. Non è vero che il privato antepone al profitto la qualità del servizio, l’equità della tariffa, le condizioni minime di accesso al servizio o il trattamento dei lavoratori dell’azienda di gestione. Su questo piano la pratica contraddice ampiamente la teoria, in quanto sono numerosissimi i casi in cui grossi e potenti gruppi industriali, chiamati a gestire servizi di pubblica utilità, hanno sempre perseguito una strategia aziendale basata sul profitto, che si tramutava in un aumento della tariffa e in un peggioramento della qualità del servizio. D’altra parte non potrebbe che essere altrimenti, dato si che la necessità di remunerare la concessione all’ente concessionario da una parte, e l’esigenza di garantire un dividendo agli azionisti dall’altra, comportano come logica conseguenza la necessità di aumentare il prezzo del servizio e cioè la tariffa, oltre che l’esclusione dal servizio stesso di una buona parte di utenti, in particolare di quelli più bisognosi. Se andiamo a vedere le più recenti esperienze di gestione dei servizi pubblici nei vari paesi, possiamo osservare che i migliori risultati in termini di economicità di gestione e di accessibilità al servizio si registrano nelle gestioni pubbliche e partecipate, dove la partecipazione tanto degli utenti , quanto dei dipendenti delle aziende di gestione, garantiscono al tempo stesso l’osservanza di tutte le principali esigenze delle collettività , unitamente alle modalità più economiche per soddisfarle. La caratteristica dei servizi pubblici essenziali è quella di avere una domanda rigida, per cui la domanda stessa non si riduce con la stessa proporzione con la quale aumenta il prezzo del servizio; ciò significa primo che i servizi pubblici costituiscono un settore economico in cui non si verificherà mai una crisi di domanda, secondo poi che il profitto sarà sempre assicurato, e che questo aumenterà al crescere del prezzo, ovvero della tariffa praticata dal gestore del servizio. A ben vedere però questa filosofia entra in contraddizione con quella che sta alla base dei servizi pubblici, e dei beni pubblici in generale: un bene si dice pubblico quando l’accesso alla sua fruizione è universale; ciò vuol dire che per essere tale, il bene pubblico deve avere un prezzo di fruizione che tenga conto delle condizioni economiche e di reddito di tutta la cittadinanza, sia di quella che ha più disponibilità economica, e sia a maggior ragione, di quella che di disponibilità ne ha poca o non ne ha affatto. E’ qui che lo Stato svolge la sua funzione di redistribuzione della ricchezza, garantendo attraverso lo strumento della fiscalità, proporzionale e progressiva , quella equità e quella solidarietà necessarie, che poi si trasformano in una tariffa accessibile a tutta la cittadinanza.

Come si intuisce , è proprio in questa importante funzione redistributiva che lo Stato assolve a quella domanda di solidarietà, nei confronti di quella cittadinanza non autosufficiente, a causa del basso reddito percepito; in quest’ottica il servizio pubblico rappresenta una integrazione del reddito per quei redditi minimi, a condizione che il prezzo del servizio sia adeguatamente basso.

In definitiva il servizio pubblico, attraverso la sua caratteristica dell’universalità, assicura quel livello di solidarietà essenziale che sta alla base di ogni cittadinanza, dando luogo a quel legame di base tra singoli individui che ne delinea la ragione stessa della coesistenza. Senza tale funzione, senza il servizio pubblico, il prezzo di accesso al servizio non sarà più per così dire "politico", e potranno accedere ad esso solo quei cittadini che avranno adeguate risorse economiche.

L’assenza di un servizio realmente pubblico avrà quindi come principale conseguenza, la perdita di quel legame essenziale tra singoli individui, che costituisce il fondamento della comunità e del vivere in comune, dando luogo a singoli individui, che competono tra di loro in completa solitudine. Questo rappresenta l’orizzonte a cui sembrano aspirare quelle comunità che si affidano alle capacità del mercato, e che preferiscono sostituire la funzione di solidarietà dello Stato, con forme di assistenzialismo e di filantropia, preferendo la competizione tra singoli, ad un tessuto sociale forte e giusto, che ha rappresentato una conquista per quelle civiltà e per quelle culture alle quali ci siamo in passato ispirati, ma che per alcuni non costituiscono più un valido modello.


Claudio Meloni



Domenica, 04 maggio 2008