Ogm e mercato globale

A cura di Aldo Antonelli


Una domanda e una proposta.
"Noi privile­giati abitanti del mondo ricco, quello che ha così mirabilmente condotto il pianeta fino a questo punto, di cosa dobbiamo preoc­cuparci? Ho una proposta: pro­viamo a non preoccuparci per noi stessi. I nostri mercati continue­ranno a essere riforniti e se riusci­remo ad avere un po’ di buonsen­so negli acquisti, valorizzando i prodotti locali, freschi e di stagio­ne, anche il nostro portafoglio non ne uscirà devastato.
La preoccupazione che non de­stiniamo a noi stessi, proviamo a destinarla al resto del pianeta e agli abitanti che finora hanno subìto le scelte che privilegiavano il nostro stile di vita. Ricordate quella frase orribile? “Il nostro sti­le di vita non è negoziabile”.
Eb­bene, cominciamo da lì."


E’ la conclusione di un bellissimo articolo di Joseph Stiglitz pubblicato sul giornale La Repubblica del 14 Maggio 2008.
Buona lettura, buon esame di coscienza e buona crescita.
Aldo




IL POMODORO GLOBALE CHE AFFAMA IL MONDO


(Joseph Stiglitz su La Repubblica del 14 maggio 2008)


A cosa pensate quando sentite le parole “merca­to globale”? Automobili, computer, telefonini, blue jeans? Dimenticate qualcosa: il riso, il grano, il mais... pratica­mente tutto quel che mangiamo. I prodotti agricoli fanno parte ormai a tutti gli effetti del mercato globale, e pazienza se i jeans arrivano dal produttore al consumatore molto più in for­ma e con le caratteristiche origi­narie ancora in ordine. Ma non è solo questo il vantaggio dei jeans sui pomodori: c’è anche il fatto che i jeans beneficiano di regole certe e dedicate, mentre i prodotti agricoli non hanno questo privilegio. Il che, unita­mente al fallimento degli ultimi negoziati internazionali ci por­ta a ritrovarci oggi con un pro­blema che ad ogni tentativo di analisi si frantuma e si moltipli­ca in tanti cocci che rischiamo di non saper ricomporre.
Le regole della globalizzazio­ne applicate all’agricoltura hanno dato risultati perversi e l’osservatore non specializzato rischia la vertigine ogni volta che prova a confrontarsi con una situazione che - a suon di “allarmi” - arriva sui giornali spesso frammentata. Proviamo a fare un pò d’ordine.
1) L’agricoltura familiare e locale non è stata valorizzata, gra­zie a scelte consapevolmente rapaci che hanno preferito in­centivare l’agricoltura orientata al mercato.
È una prima cesura impor­tante. L’agricoltura serve a pro­durre alimenti da servire in ta­vola o commodities, oggetti di speculazione in borsa? E’ una scelta importante ed è stata pri­vilegiata la seconda opzione. Se L’agricoltura produce roba da vendere, allora produce per co­loro che hanno i soldi per com­prarsela. Solo che devono man­giare tutti, anche quelli che soldi non ne hanno.
La risposta (sbagliata) è stata incrementare ulteriormente la produzione di cibo (peraltro di scarsa qualità) da vendere, nella speran­za che avrebbe potuto soddisfare le esigenze di chi non aveva soldi per comprarlo. Ma chi non ha sol­di non ha soldi, e non può com­prare nulla. Potrebbe invece, con un po’ di terra e un po’ di semi, col­tivare. Ma a tal fine bisognava pri­vilegiare l’agricoltura di piccola scala.
2) Quel modo di produrre cibo ha creato una serie di danni e ri­chiede grandissimi input di ener­gia. Allo stesso modo si comporta­no la maggior parte delle attività umane, produttive o no, che si so­no sviluppate nel corso dell’ulti­mo secolo. Il risultato è stato da un lato l’aumento dell’inquinamen­to, dall’altro l’esaurimento delle scorte di carburante fossile, pe­trolio in primis.
La risposta (sbagliata) è stata utilizzare le terre arabili per pro­dotti agricoli da trasformare in biocarburanti. Naturalmente sempre secondo le logiche della grande produzione. Così occorre energia fossile per produrre ener­gia non fossile, che comunque, inquina. Inoltre, attraverso que­sto canale si insediano nei territo­ri le colture geneticamente modi­ficate.
Dunque si sono ridotte le terre dedicate alla coltivazione (per il mercato) degli alimenti: e il mer­cato, ha leggi abbastanza mono­tone, che reagiscono alla contra­zione delle quantità prodotte con l’aumento dei prezzi.
3) La straordinaria quantità di energia consumata e di inquina­mento, unita alle massicce defo­restazioni, fa sì che ci sia troppa anidride carbonica in giro. Trop­pa rispetto a quella che le piante riescono a metabolizzare e a rispedire sotto terra, dove è bene che il carbonio riposi. Questa si­tuazione ha tra i suoi effetti un sovvertimento degli equilibri cli­matici del pianeta, con surriscal­damento dei mari, siccità o allu­vioni al di fuori della norma, evo­luzione troppo rapida delle tem­perature. Le colture non sono in grado di adeguarsi, perché l’agri­coltura fatta per vendere ha reso le sementi molto uniformi, molto bisognose di assistenza. Le se­menti dell’agricoltura tradizio­nale, hanno un’altissima variabi­lità interna che le rende più pro­duttive in situazioni di emergenza. Ma l’agricoltura tradizionale e di sussistenza (che mira eminen­temente ad avere un raccolto, non una vendita) non è stata privile­giata dalle scelte politiche.
4) La situazione presenta da un lato prezzi molto alti dei cereali e dall’altro popolazioni molto po­vere che rischiano di entrare (o rientrare) nella spirale dell’insuf­ficienza alimentare.
La risposta (sbagliata) è: biso­gna produrre ancora di più e quin­di bisogna utilizzare gli Ogm. Ma si finge di ignorare due elementi chiave: il primo è che esiste già cibo sufficiente per tutti, anzi se ne spreca una grandissima quantità, ma le popolazioni più deboli non hanno il denaro necessario, e se anche ne produrremo di più con­tinueremo a tenerlo nei magazzini fino a quando non si presenterà qualcuno che, portafoglio alla mano, lo richiederà; il secondo è che gli Ogm hanno dimostrato di non avere una particolare attitu­dine produttiva. Producono più o meno come le colture normali. E soprattutto si riducono sostan­zialmente a uno: il mais. A meno di non voler inaugurare una nuo­va stagione di pellagra ad alta tec­nologia, bisognerà rassegnarsi al pensiero di mangiare anche qual­cos’altro. Oppure, visto che la maggior parte del mais, Ogm o no, viene usato per l’alimentazione animale, la visione è quella di un mondo futuro di straordinari mangiatori di carne? I fatturati delle multinazionali delle semen­ti e degli agrochimici aumentano a ritmi vertiginosi, alimentando nei più attenti osservatori il dub­bio che la loro principale preoc­cupazione non sia risolvere il pro­blema della fame nel mondo. -
Detto tutto questo, noi privile­giati abitanti del mondo ricco, quello che ha così mirabilmente condotto il pianeta fino a questo punto, di cosa dobbiamo preoc­cuparci? Ho una proposta: pro­viamo a non preoccuparci per noi stessi. I nostri mercati continue­ranno a essere riforniti e se riusci­remo ad avere un po’ di buonsen­so negli acquisti, valorizzando i prodotti locali, freschi e di stagio­ne, anche il nostro portafoglio non ne uscirà devastato.
La preoccupazione che non de­stiniamo a noi stessi, proviamo a destinarla al resto del pianeta e agli abitanti che finora hanno subìto le scelte che privilegiavano il nostro stile di vita. Ricordate quella frase orribile? “Il nostro sti­le di vita non è negoziabile”.
Eb­bene, cominciamo da lì.



Giovedì, 29 maggio 2008