Mercato e integrazione

di Rosario Amico Roxas

Non basta sostenere che "il mercato non è la soluzione", perchè il mercato E’ il problema. Lo stimolo e la spunta al consumismo del superfluo, genera, inevitabilmente, la distrazione degli interessi che si allontanano sempre più dal settore dell’utile e del necessario, per aggredire i settori più remunerativi.

Impostando le regole del mercato sull’esigenza dell’utile vengono vanificate le aspettative delle fasce più deboli della popolazione mondiale a favore di una minoranza arrogante che non è disposta a rinunciare ai privilegi conquistati.

Fin quando non si capirà che l’arricchimento individuale non supportato da una elevazione generalizzata della qualità della vita, acuisce i problemi che prima o poi esploderanno. La fame, il bisogno, le malattie endemiche, le conseguenze delle guerre preventive, o giuste oppure ribattezzate missioni di pace, si riversano contro gli indifesi che peggiorano la loro qualità della vita fino al limite della vivibilità.

Strumentalmente in Italia si parla del problema degli emigrati; la soluzione autoritaria di inventare un reato come quello della immigrazione clandestina, è solo un escamotage per favorire i primi passi di una progettata trasformazione autoritaria dello Stato. Non si pensa minimamente di regolamentare il flusso migratorio attraverso l’utilizzo di metodi produttivi. Quanti terreni incolti esistono in Italia ? Quanti terreni demaniali sono abbandonati e non produttivi ?

I nuclei di immigrati, clandestini per necessità, e anche i disoccupati nostrani costretti ad arrangiarsi, potrebbero essere trasformati in una risorsa per il paese, solo che lo si volesse programmare con spirito di solidarietà. Questi nuclei, omogenei per cultura e religione, necessitano di vivere insieme, per mantenere vivo il loro patrimonio etnico, per integrarsi nella nuova realtà in termini generazionali; organizzando loro una vita in comune e responsabilizzando uno di loro come rappresentante della comunità, non si creerebbero ghetti, ma comunità omogenee, come già ne esistono in Italia.

Questi nuclei, omogenei per cultura e religione, necessitano di vivere insieme, per mantenere vivo il loro patrimonio etnico, per integrarsi nella nuova realtà in termini generazionali; organizzando loro una vita in comune e responsabilizzando uno di loro come rappresentante della comunità, non si creerebbero ghetti, ma comunità omogenee, come già ne esistono in Italia.

A queste piccole comunità bisognerebbe assegnare un territorio da rimettere in coltura, magari con l’assistenza di tecnici in grado di suggerire l’uso migliore e più remunerativo. Sarebbero gli stessi componenti del gruppo che potrebbero costruirsi una casa nel loro insediamento, seguendo un ben preciso piano regolatore, magari anticipando loro il materiale e gli oneri di urbanizzazione primaria.

Anche l’inserimento di elementi nazionali potrebbe essere preso in considerazione, perchè ciò faciliterebbe il programma di integrazione che, in ogni caso sarà sempre generazionale.

Queste unità diventerebbero produttive, in grado di garantire il proprio sostentamento e anche di generare una alternativa ai consumi del superfluo, potendo garantire la qualità del necessario.

Dieci anni dopo l’invasione garibaldina della Sicilia e la forzata annessione all’Italia dei Savoia, l’economia fiorente dell’isola venne scientificamente scardinata a favore del Nord. Iniziò il triste fenomeno della emigrazione; prima meta fu la Tunisia, dove si spostarono intere famiglie di Mazzara del Vallo, Marsala, Trapani. Si ricongiunsero alla periferia nord di Tunisi, nel quartiere de “La Goulette”, prendendo in affitto modeste abitazioni di proprietà della comunità ebraica di Tunisi.

Portarono la loro esperienza nella pesca e nella conservazione del tonno; furono ben accolti dalla comunità locale, per cui lo shock sociale venne assorbito. La zona dove abitarono e abitano ancora oggi dopo 130 anni, venne ribattezzata “La petite Sicile”. Sono passate tre o quattro generazioni, oggi sono perfettamente integrati, i loro cognomi arabizzati, la maggior parte, a causa di matrimoni misti, sono diventati musulmani, ma nel chiuso delle loro case si parla ancora un siciliano arcaico, mentre sopravvivono costumi antichi, mai abbandonati, come la recita collettiva del Rosario il sabato pomeriggio, in case che si alternano a turno.

Sono passate tre o quattro generazioni, oggi sono perfettamente integrati, i loro cognomi arabizzati, la maggior parte, a causa di matrimoni misti, sono diventati musulmani, ma nel chiuso delle loro case si parla ancora un siciliano arcaico, mentre sopravvivono costumi antichi, mai abbandonati, come la recita collettiva del Rosario il sabato pomeriggio, in case che si alternano a turno.

La loro prevalente attività è la lavorazione del tonno, diventato industria, anche se la lavorazione mantiene la genuinità dell’artigianato; è notorio che il tonno sott’olio prodotto a “La Guolette” e inscatolato secondo le più moderne norme igieniche di sicurezza, risulta come il migliore del mondo in assoluto. Molti si sono dedicati al commercio: una curiosità. Una famiglia piuttosto numerosa, abitava in una dammuso, per richiamare i figli piccoli all’osa di pranzo o cena, la madre si affacciava alla porta e urlava “Attia”, termine sicilianissimo per indicare una persona.

Quel termine divenne il loro cognome; oggi la famiglia “Attia” è fra le più note in Tunisia nell’ambito del commercio internazionale.

Una operazione del genere servirebbe anche ad invertire la tendenza dello spopolamento delle zone agricole a favore delle città, dove si insegue il lavoro concettuale, depauperando le risorse agricole che hanno mantenuto la nazione per decine di secoli.

Sarebbe un inizio di regressione, alternativa pratica e concreta ad un progresso autodistruttore, che azzera la produzione dei beni di consumo a favore della produzione di servizi, trascurando che i servizi non servono per la sopravvivenza, i servizi non si mangiano; trascurando che la prossima guerra distruttrice avverrà per l’accaparramento dei beni di consumo, avendo preso atto che il petrolio, l’uranio, l’oro, i titoli in borsa, non sfamano e non sfameranno mai nessuno.



Mercoledì, 04 giugno 2008