Economia - Riflessione
L’equa distribuzione delle risorse planetarie

di Rosario Amico Roxas

Viaggiando per l’Africa del Nord, parte dell’Africa Centrale e alcuni paesi del Vicino Oriente, non come turista distratto, ma per ragioni di lavoro, ho sempre avuto la curiosità di conoscere l’ambiente nel quale mi trovavo, per cercare di capire la cultura di base di quei popoli. La parte "occidentalizzata" delle varie capitali non mi è mai interessata più di tanto, coinvolge una percentuale non significativa della popolazione e offre una visione distorta della vera realtà che compone quel paese. Ho cercato di conoscere la gente, per comprenderne i bisogni reali e quelli latenti; ovunque mi sono ritrovato a fare i conti con persone deluse e amareggiate. Conoscono attraverso la televisione e i mezzi di comunicazione di massa il livello medio della vita in Occidente e toccano con mano l’enorme differenza che li penalizza.
Si passa dalla delusione per non poter disporre del vestitino alla moda, alla mancanza di beni di prima necessità, ma anche al potenziale operativo, all’istruzione, all’utilizzazione razionale delle capacità di ciascun individuo e all’utilizzazione in proprio delle loro risorse, che, invece, vengono regolarmente trafugate in nome della civiltà Occidentale..
Si tocca con mano lo spreco delle intelligenze e delle capacità, non messe nella condizione di potersi realizzare. Nei paesi occidentali anche le persone meno dotate intellettualmente trovano il modo di utilizzare il modesto patrimonio di cui sono stati dotati, mentre nei paesi in via di sviluppo o sottosviluppate anche le migliori intelligenze non trovano lo spazio per potersi esprimere. Non dobbiamo dimenticare che Michelangelo non sarebbe mai diventato quel genio universale della scultura e della pittura se non avesse trovato un muro da dipingere o dei blocchi di marmo da ripulire del superfluo per liberare il contenuto vuoi che sia il Davide o la Pietà.
Questo senso di aspirazione frustrata aleggia nel comportamento della gran massa della popolazione, ma specialmente negli studenti e nelle donne, costretti alla disoccupazione o alla sottoccupazione per mancanza degli sbocchi naturali.
L’Europa ha questo grande compito per cultura, per la propria storia, per il proprio futuro, per la propria posizione geografica: aiutare l’integrazione non fra i paesi ricchi, è troppo comodo e facile, ma fra paesi ricchi e paesi bisognosi, per livellare sempre più il divario tra il superfluo e l’indispensabile. Solo la strada dell’equa distribuzione delle risorse planetarie potrà condurre, nel tempo, alla stabilità mondiale.

Il Mediterraneo è un mare che unisce due continenti, non li divide; intorno al Mediterraneo ruota la grande Eurafrica Mediterranea, con un Nord opulento, sprecone e consumistica e un Sud in via di sviluppo che ha bisogno solamente di essere aiutato senza sfruttamenti di sorta. A Sud dei paesi rivieraschi ci sono i paesi sottosviluppati, malgrado le immense risorse naturali di cui dispongono; paesi potenzialmente molto ricchi ma privi dei mezzi necessari per sfruttare le loro ricchezze. In queste circostanze c’è, ovviamente, chi profitta per dilatare il proprio arricchimento.
Emerge così il mondo dei diritti negati, che in genere è composto dallo stesso popolo dei vinti; si dilata la forbice tra ricchezza e povertà, tra privilegi pretesi e diritti negati. Come sempre accade, sono i più deboli a pagare il prezzo più elevato: vecchi, donne e bambini. Particolarmente esecrabile è la situazione dei bambini: bambini schiavi, bambini-soldati, bambini da strada, affidati alla carità dei passanti.
Assistiamo impotenti o indifferenti ad uno spaccato della società futura per la quale il mondo Occidentale prevede occasioni di sviluppo destinati a moltiplicarsi all’infinito.
L’utopia di un mondo così rassicurante, si scontra frontalmente con una realtà ogni giorno più tragica. Lo sfruttamento delle fasce deboli della popolazione planetaria ha assunto dimensioni globali: possiamo con certezza parlare di una globalizzazione dello sfruttamento, stante la generalità della geografia di tale sfruttamento. Nel Centro Africa sono a decine di migliaia i bambini-soldato della Liberia, impegnati nelle lotte tribali, senza che alcuna nazione del mondo occidentale si preoccupi di intervenire, anzi queste guerre senza fine alimentano il già floridissimo mercato delle armi. I bambini di strada è il fenomeno più appariscente, che spazia dall’America Latina al Continente sub-asiatico; non è immune neanche l’opulento Occidente, dove i bambini sono costretti a mendicare nelle nostre strade, "arruolati" da adulti sfruttatori.
Sono trascorsi oltre 15 anni dalla Convenzione dell’ONU che sanciva i diritti dei bambini, imponendo il rispetto di tali diritti a tutti i governi; quella convenzione, dimenticata, trascurata, disattesa è diventata carta straccia, non solamente perché i governi non hanno fatto nulla ma perché sono subentrate le multinazionali nello sfruttamento del lavoro minorile e delle donne, ponendo gli stessi governi nella condizione di non potere espletare il mandato dell’ONU sui diritti dei bambini, neanche nel suo primo punto, quello del diritto alla istruzione gratuita.

Il Pakistan, paese che è stato membro del Commowelt, è il maggior produttore di palloni per il calcio del mondo, lo cuciono le bambine-schiave in Pakistan, in capannoni fatiscenti nella immediata periferia di Islamabad. In cambio di 12 ore di lavoro al giorno per 7 giorni la settimana, a tempo indeterminato, ricevono un pasto e ½ ora di intervallo, mente i genitori ricevono il salario pari a 3 dollari la settimana.

I bambini e la bambine dell’Iran, del Pakistan, del Cashemir, della Turchia, sono costretti a lavorare nei telai per arricchire le abitazioni del mondo occidentale con i preziosi tappeti orientali. Le loro piccole dita sono l’ideale per stringere bene i nodi della lana colorata. Devono riuscire a fare 20 nodi al minuto, altrimenti saltano il pasto; ci sono tappeti particolarmente pregiati che contengono fino a 900.000 nodi per mq, fate voi il calcolo di quante ore di lavoro-forzato c’è nel tappeto che fa bella mostra di sé nell’angolo buono del salotto dell’opulento occidentale. La periferia di Jalalabad a Sud dell’Afghanistan, lungo le rive del fiume Kabul, è piena di capannoni metallici che sono infuocati d’estate e gelidi d’inverno. Lì dentro i bambini al di sotto di 14 anni annodano i tappeti al comando di un capo-ciurma che "recita", in monotoni versetti, i colori che via via devono essere usati. Quando superano i 14 anni perdono anche questa possibilità di mangiare una volta al giorno e aiutare la famiglia con quei miseri 3 dollari la settimana, perché le loro dita si sono ingrossate e non riescono più a lavorare con la celerità pretesa.

Quanti sono poi i bambini che diventano inconsapevoli produttori e donatori di organi ?
Sono i primi esempi che mi vengono in mente, perché ancora turbato dalla visione dei bambini di Islamabad e di Jalalabad, che uscivano a tarda sera da quelle miserabili fabbriche della disperazione, raggruppate tra di loro, quasi a valersi sostenere reciprocamente, consapevoli, pur nell’innocenza dei loro occhi infantili, di appartenere al disperato mondo dei vinti.
Le condizioni delle donne è ancora più drammatica, diventate oggetto di "esportazione dello sfruttamento", di compra-vendita, costrette a schiavitù da sfruttatori senza scrupoli.

Cosa possono offrire i popoli tenuti in stato di sottosviluppo a questo Occidente materialista se non manodopera a basso costo per riuscire almeno a sopravvivere ?

Da questa esigenza prioritaria nasce lo sfruttamento più spregiudicato a carico delle fasce più deboli di una popolazione già debolissima. Noi in Sicilia conosciamo bene il problema, perché abbiamo vissuto il dramma dello sfruttamento dei bambini; chi può dimenticare i "carusi" delle miniere di zolfo ? Ma si era all’inizio del processo di industrializzazione e del sistema economico liberale; quando il benessere cominciò a dilatarsi, prevalse l’umanesimo dei valori, che epurò il liberismo (tale epurazione provocò l0ascesa del fascismo !) e quel triste fenomeno scomparve, per ricomparire ai nostri giorni di civiltà avanzata con l’industrializzazione dell’accattonaggio.
Si prosegue imperterriti verso la globalizzazione, senza aver minimamente pensato di mettervi dentro anche la dimensione sociale e umana, c’è solo l’ansia del maggior arricchimento possibile, a qualunque condizione.
La contrapposizione tra questo tipo di Occidente e il resto del mondo nasce proprio dalla incapacità di capire le altrui esigenze, ma di sostenere solamente il personale egoismo legato all’arricchimento; questa contrapposizione è all’origine di tutti i drammi che stiamo vivendo e che ancora ci attendono dietro l’angolo.
Un solo esempio desidero citare, molto significativo per valutare il livello di attenzione umana che dedichiamo a così larga parte dell’Umanità che patisce i rigori della fame.

L’UE eroga agli allevatori italiani di vacche da latte un contributo di due euro al giorno per compensarli delle quote di produzione restrittive, che impongono all’Italia di importare latte e derivati; a fronte di queste restrizioni l’Italia ha ottenuto un maggiore spazio nei campi della tecnologia avanzata, ma non è questo il punto sul quale desidero insistere. Bisogna pensare bene a quei due euro al giorno per ogni vacca, che possono essere considerati il contributo per aiutare l’allevatore a migliorare le condizioni di vita della vacca, per fornirle cibo migliore. Due euro al giorno rappresentano un montante annuale di 730 euro; ebbene oltre il 50% della popolazione mondiale vive con un reddito pro capite inferiore a tale somma. Si passa dal 120 usd dello Yemen ai 60 usd annui pro-capite di talune zone del centro Africa, per un totale di oltre 840 milioni di esseri umani che vivono al di sotto della soglia minima della sopravvivenza. Elaborando e dilatando la media arriviamo a superare il 50% della popolazione mondiale che dovrebbe vivere con la somma analoga a quella elargita come contributo a fondo perduto per ogni vacca in allevamento.
Tanti nostri simili, molti dei quali migliori di noi, vengono considerati, dalla Tribù Bianca dell’Occidente, meno di una vacca, sia pure di razza pregiata.
Le guerre, gli integralismi religiosi, le rivolte di palazzo hanno sempre come substrato lo stato di disagio di un popolo.
L’inversione di questa tendenza non può arrivare che da una politica di equidistanza equilibratrice, capace di riprendere i grandi temi dell’Umanesimo e di centralità dell’Uomo e il rispetto alla sua dignità; una inversione di tendenza che può promuovere solo l’Europa, non possiamo attendersi ripensamenti da parte degli angloamericani, il loro pragmatismo li ha portati già fuori dalla storia dell’Umanesimo.
Ho scritto precedentemente che il più forte, il vincitore, vuole fare credere che Dio è dalla sua parte; un errore grossolano che hanno commesso o commettono ancora tutti i popoli appartenenti alle tre religioni monoteiste; dal Deus Vult (Dio lo vuole) delle Crociate (per le quali il Santo Padre Giovanni Paolo II, dopo 9 secoli, si è recato a Gerusalemme per chiedere perdono in nome della fratellanza fra i popoli), al Dio è con Noi degli estremisti musulmani, alla pretesa di essere il popolo prediletto da Dio degli Ebrei, al Dio salvi il re degli Inglesi, al Dio aiuti l’America, pronunciato da Bush al momento della dichiarazione al Paese di avere ordinato il bombardamento dell’Iraq.
Tutti, indistintamente, vorrebbero imporre a Dio un itinerario che Lo conduce a questo o quell’uomo, a questa o quella nazione, a questo o quel popolo; per ciascuno Dio è dalla sua parte; ma cosa ha fatto l’uomo, cosa hanno fatto le nazioni, cosa hanno fatto i popoli , e cosa intendono fare nel futuro, per essere, finalmente, loro dalla parte di Dio ?

Rosario Amico Roxas(raroxas@tele2.it)



Domenica, 13 gennaio 2008