Arturo Paoli. Dobbiamo pensare il mercato alla stessa stregua delle grandi ideologie che hanno dominato la storia del XX secolo. Oggi possiamo dire di essere sotto la dittatura di unaltra grande ideologia: il liberismo del mercato globalizzato che non ha niente a che fare con 1`essere liberali", come bene aveva capito Benedetto Croce. Il mercato, con i suoi "dogmi", assomiglia a un sistema di pensiero che assume, progressivamente, la fisionomia di un idolo, al quale, senza accorgercene, siamo spinti ad aderire; né più né meno di come il sistema comunista diventò idolatria per Stalin o il nazismo per Hitler. Loppressione nasce dalla presenza di unentità astratta, senza volto né nome, lidolo appunto, al quale ci rivolgiamo nelle cose di tutti i giorni.
Gianluca De Gennaro. Arturo, questa tua impostazione circa "lidolatria del mercato" induce a riflettere sul rapporto tra spiritualità, denaro e tutto ciò che è collegato ad esso: il mercato, le dinamiche del consumismo e il liberismo capitalista nellera della globalizzazione. Vorrei insistere sulla caratteristica molto particolare del tuo approccio alla questione "idolatria di mercato" o "dio denaro" che contiene, in germe, la possibilità di andare oltre lidea del "mercato come sistema di pensiero" e riflettere sulla manifestazione del "mercato come idolo". La differenza è sostanziale, perché mentre il "mercato come sistema di pensiero" è qualcosa che interessa discussioni per intellettuali, il "mercato come idolo" riguarda tutti, la nostra vita quotidiana, si pensi solo alla propaganda pubblicitaria e alla spesa nei supermercati. A questo proposito non posso che far riferimento ad alcuni libri di autori che hanno riflettuto su tali questioni: Economia come teologia?, con interventi di Enrique Dussel, Riccardo Petrella ed Enrico Chiavacci, Il Mito del mercato di Achille Rossi, Sobrietà di Francesco Gesualdi, Una nuova narrazione del mondo di Riccardo Petrella oltre al pensiero di Alex Zanotelli. Ma andiamo avanti con ordine: come mai queste entità astratte, idolatriche, che si sono dimostrate così pericolose per la storia dellumanità, originano sempre dal così detto mondo occidentale?
Arturo Paoli. È proprio così. LOccidente europeo è sempre stato, nella storia, il centro dove queste ideologie hanno preso forma; lultima di queste è il "mercato". Una volta mi sono trovato a Washington a un battesimo di un mio amico. Nel pomeriggio, durante la festa alla quale partecipavano anche alcuni responsabili del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), un mio amico, quasi ridendo, si rivolse agli invitati dicendo: «Guardate che in mezzo a noi cè Arturo che vi condanna. È bene che sappiate di avere un giudice davanti a voi. Prendete questa occasione per parlare e difendervi dalle sue accuse». Questo amico faceva chiara allusione alla mia visione delleconomia e a ciò che penso riguardo alle tragedie delle quali i responsabili non possono che essere le persone che maneggiano i grandi affari della finanza mondiale. A quella scherzosa provocazione, risposi: «Io non sono un giudice, ma vengo dallAmerica Latina e sono testimone della fame e dellingiustizia creata da gente che vive in paesi molto ricchi e che condanna persone, che abitano in paesi altrettanto ricchi, a morire di fame. Mi piacerebbe incontrare qualcuno in grado di spiegarmi il perché di questa strutturale disuguaglianza, tra chi muore di obesità e chi muore di fame». Ebbene, a questa mia provocazione mi è stata data una risposta precisa, chiara, lucida. Un funzionario del Fmi si è avvicinato e mi ha detto: «Ciascuno di noi non può che aderire al mercato e alle sue linee guida. Se non lo facessimo, questo mondo crollerebbe. Noi, daltronde, sappiamo perfettamente che landamento del mercato provoca fame, miseria e disuguaglianze sociali. Di tutto ciò siamo consapevoli, perché della fame, della miseria e delle disuguaglianze sociali abbiamo le statistiche e sappiamo anche che è "il dover" aderire al mercato la causa che produce tale situazione».
Gianluca De Gennaro Questo aneddoto fa pensare. Quando un funzionario del Fmi non si sente artefice della disuguaglianza sociale, significa che è diventato succube di un modo di concepire leconomia completamente distorto. O, potremmo dire, schiavo di un idolo cui è costretto a giurare fedeltà ogni giorno. A questo proposito voglio ricordare lintervento di Riccardo Petrella in Economia come teologia?, quando descrive latteggiamento di chi si prepara a entrare nellufficio del presidente di una grande banca o di chi, insieme alla propria famiglia, decide di passare un intero pomeriggio in un grande centro commerciale. La banca assume i lineamenti di una chiesa, un luogo di salvezza, e il suo presidente appare come colui che ha il potere di dispensare serenità e pace attraverso la concessione di un prestito. Il centro commerciale invece sembra una cattedrale o una piazza, un luogo dove ritrovarsi, curare le proprie relazioni, sentirsi al sicuro, protetto perché inserito in una comunità. Sarebbe necessario approfondire la natura di quel sentimento così umano che cerca qualcosa o qualcuno cui affidarsi e, attraverso il quale, accorgersi una volta per tutte di essere al sicuro. Mi pare che "lidolo mercato", conoscendo molto bene questo sentimento umano, da una parte lo alimenti con un continuo richiamo alla precarietà e alla paura del futuro, dallaltra lo sfrutti proponendo sempre nuovi oggetti o soluzioni alle quali affidarsi per ritrovare la tanto agognata serenità. Che ne dici?
Arturo Paoli. Questo argomento lo affronterò più tardi. Prima voglio raccontarti come concluse "la sua confessione" il funzionario del Fmi. «Che ci possiamo fare? - mi disse riferendosi al fatto che il mercato produce miseria e morte - anche noi siamo schiavi e dobbiamo obbedire». Cè in queste parole un concetto quasi sacrale del mercato. Ma se qualcuno di noi dovesse attribuire valore di sacralità a qualcosa o qualcuno, dovrebbe avere almeno il buon senso di dimostrare qual è la fonte di questa sacralità. Insomma, se il mercato si propone alluomo come una sorte di religione e il denaro come la rappresentazione di dio sulla terra, è necessario che i "sacerdoti" di questa nuova fede abbiano il coraggio di spiegarci qual è il fondamento della loro religione. Gli invitati a quel battesimo non dicevano «non cimporta nulla della fame, della miseria e della povertà», ma anzi «ci duole profondamente», capisci? Loro sono addolorati, ma hanno questa struttura, che evidentemente non viene dal cielo, alla quale devono aderire. Devono obbedire, perché è stato spiegato loro ed è stato teorizzato che lintenzione che si nasconde dietro al funzionamento che regola leconomia mondiale è quella di arrivare a una distribuzione più giusta della ricchezza. Ora la questione è: visto che questa struttura funziona nella maniera opposta a quella per la quale era stata pensata, che cosa fare? E qui ritorno alla domanda che mi hai posto allinizio sul perché lEuropa è il centro propulsore di queste ideologie. La risposta è semplice: noi siamo vittime di una cultura che a un certo punto sente il bisogno di astrarsi dalla realtà, formando dei sistemi di pensiero che pretendono di riassumere in sé la realtà stessa, per dominarla. Tali sistemi si propongono di realizzare al meglio quello che noi pensiamo di fare. A questo modo errato dintendere il pensiero, consegue lidea che il giorno in cui il mercato controllerà leconomia del mondo, non ci saranno più guerre, né fame, né ingiustizie, perché attraverso questa grande "idea del mercato" noi potremo distribuire equamente i beni della terra. Questa è stata lintenzione iniziale. La storia ci dice che tale modo di concepire la cultura, che fa precedere lidea alla realtà, è errato. Lo possiamo vedere nei fatti, basta aprire un qualsiasi giornale.
* E il titolo del libro (LAltrapagina 2007) da cui è tratto questo passo, pp-17-22 Articolo tratto da:
FORUM (86) Koinonia
Martedì, 26 febbraio 2008
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