Le trasformazioni del territorio in terra di brianza

di LAURA TUSSI

La profonda trasformazione socio-economica vissuta nel nostro secolo dal territorio a nord di Milano ha inevitabilmente creato modifiche evidenti nell’ambiente. Ha portato, cioè, anche a un decisivo e irreversibile cambiamento nel ’paesaggio quotidiano’, inteso come ciò che ci circonda, ciò che noi vediamo tutti i giorni. Quel paesaggio di cui, in fondo, siamo parte e che, proprio per questo, conosciamo di meno. Perché, paradossalmente, siamo portati a osservare con interesse e maggior attenzione solo i luoghi della vacanza, gli scenari ’esotici’ o quantomeno inconsueti in qualche modo legati all’idea del viaggio. Così rischiamo di osservare solo in modo superficiale il mondo attorno a noi, col rischio di non riuscire a leggere i ’segni’ tracciati dalla storia, le tappe di importati cambiamenti avvenuti, le tracce lasciate dal continuo divenire.
Vorrei dividere il mio intervento in due parti: una sorta di introduzione sarà dedicata alla definizione del paesaggio e degli elementi che lo compongono. In un secondo momento, cercherei di vedere come la trasformazione economica e sociale del territorio a nord di Milano, che potremmo definire "bassa Brianza", ha portato non solo a una perdita dell’identità culturale originaria, ma anche a un ’inevitabile trasformazione del paesaggio in cui viviamo e alla conseguente evoluzione dell’immagine, dell’idea stessa che noi abbiamo di questo paesaggio.
Vorrei chiudere mettendo in evidenza il fatto che oggi, in quest’area fortemente industrializzata ci si trova di fronte a una nuova realtà territoriale. Una sorta di nuova struttura urbana che prende il nome di "regione-città", e alla quale corrisponde, naturalmente, un determinato paesaggio. Quello che possiamo vedere ogni giorno attorno a noi, e chiamare per questo il ’nostro paesaggio quotidiano.

Il Paesaggio

Nell’uso comune, spesso il termine "Paesaggio" viene confuso con "panorama", viene cioè utilizzato per indicare un’ampia veduta naturale o uno sfondo pittorico davanti al quale si svolge l’azione. Così l’idea che generalmente si ha di paesaggio è legata a qualcosa che ha in sé valori estetici riconoscibilì e apprezzabili. il paesaggio, cioè, viene visto come unione armonica di parti diverse, un sereno e riposante dialogo tra elementi della natura e tracce lasciate dall’uomo.
Per questa ragione, quando immaginiamo un paesaggio, pensiamo sempre a qualcosa di piacevole, qualcosa di simile agli ampi sfondi pittorici presenti in quadri dell’Ottocento. In effetti, il termine inteso in questo modo ha radici proprio nella cultura romantica, in cui la rappresentazione del mondo visibile diventa quasi il soggetto sia di opere letterarie che di raffigurazioni pittoriche.
Una definizione di uno studioso del 1892, anche se ormai lontana dell’età del Romanticismo propriamente detto, mette in luce chiaramente questa posizione: il paesaggio viene infatti definito come "insieme di forze che commuovono il nostro senso estetico". Appare chiaro allora che ciò che ci circonda viene apprezzato solo in virtù della capacità di suscitare la nostra commozione, di piacere, stupire e soddisfare il nostro amore per le cose belle.
Ma l’idea di bellezza non è sempre uguale a se stessa, e ciò che un uomo dell’Ottocento poteva apprezzare non è detto rientri a pieno titolo nei moderni canoni del gusto. Così, non solo ci troviamo di fronte alla trasformazione del paesaggio, ma viviamo anche l’evoluzione degli stessi concetti di ’bello’ e di ’brutto’. il rischio, a tutti evidente, è che questa ricerca del ’bel paesaggio’ diventi qualcosa di superficiale e solamente ’turistico’, inteso nel senso più negativo del termine. Sembra confermarlo il fatto che l’idea di paesaggio oggi si lega troppo spesso a esotiche visioni da cartolina, a scenografie lontane e difficilmente raggiungibili, formate da una serie di stereotipi patinati che poco hanno in comune con la realtà che ci circonda.
Proviamo invece a considerare il paesaggio in un modo diverso, un modo che si liberi dal giudizio solo estetico e inizi a considerare il termine stesso in un significato più ampio, come ’forma visibile’ del territorio. Possiamo allora prendere in considerazione una definizione del geografo Sistini, che pur risalendo al 1963 è ancora validissima. Sistini afferma inflitti che il paesaggio è "l’immagine da noi percepita ecco quindi il valore che cambia nel tempo di un tratto della superficie terrestre".

Elementi costitutivi e diversi tipi di paesaggio

Risulta perciò evidente che due sono le grandi categorie di elementi che formano il paesaggio attorno a noi: da una parte i fenomeni naturali, dall’altra, invece, le tracce lasciate dall’uomo. E proprio dall’unione dell’aspetto morfologico, fisico di un territorio con i segni della presenza umana nasce il paesaggio. secondo rapporti molto complessi che non sono mai statici, ma anzi si caratterizzano per la presenza costante di due importanti fattori: mutabilità e movimento.
Proprio per questo un paesaggio non è mai uguale a se stesso. A volte è difficile cogliere le continue trasformazioni di quanto è attorno a noi, perché siamo troppo abituati al nostro ’paesaggio quotidiano’ per osservarlo e analizzarlo con attenzione. Ma se ci allontanassimo da qui per un certo periodo di tempo e tornassimo solo dopo una decina di anni, allora ci renderemmo subito conto delle profonde trasformazioni avvenute in questo piccolo segmento della superficie terrestre.
Due allora gli elementi presenti nella formazione del paesaggio: mutabilità e movimento. il primo è legato agli elementi della natura, agli aspetti naturali e fisici che costituiscono una parte di ciò che vediamo attorno a noi. Ad esempio, come un paesaggio cambi nelle diverse stagioni dell’anno. il secondo, cioè il movimento, dipende invece dai fattori creati dall’uomo, perché l’uomo interviene nel paesaggio modificandolo continuamente per ragioni economiche o sociali. Inoltre si deve tener presente che gli aspetti della natura e gli elementi creati dalla presenza dell’uomo non sono due realtà a sé stanti, ma vivono anzi di continue connessioni e interdipendenze. Possiamo allora considerare i due limiti estremi della forma visibile del territorio. Da una parte avremo il paesaggio totalmente naturale, dall’altra il paesaggio completamente umanizzato. Il paesaggio naturale è quello dove agiscono solo ed esclusivamente elementi della natura, dovuti alla morfologia del suolo, al clima, alla presenza o meno di acqua.... Ma questo tipo particolare di paesaggio non deve essere confuso con il paesaggio rurale, dove invece è ben visibile l’intervento dell’uomo che ha modificato e ’addomesticato’ la natura per ottenere quanto necessario alla propria sussistenza. Il paesaggio assolutamente naturale è invece quel paesaggio dove l’uomo non abita, non lavora, non ha nemmeno lasciato tracce del suo passaggio. Risulta evidente che questi paesaggi completamente ’intatti’ sono oggi ridotti a piccolissimi spazi della superficie terrestre, ristrettissime aree di deserto di sabbia o di ghiaccio dove l’uomo non ha trovato alcun motivo per fermarsi. All’estremo opposto troviamo invece il paesaggio altamente umanizzato, cioè il paesaggio dove è ben presente l’impronta che l’uomo ha inciso nei secoli con successive e il più delle volte irreversibili trasformazioni.
Se volessimo immaginare tutto questo come una lunga linea in cui ci siano da una parte gli aspetti della natura e dall’altra gli elementi portati dall’uomo, avremo tanti tipi diversi di paesaggio quanti sono i punti che compongono questa linea, proprio perché gli elementi che interagiscono nella formazione di un paesaggio sono tantissimi e continuamente in evoluzione. Ai due estremi di questa retta ci sarebbero da una parte il deserto, come chiara rappresentazione del paesaggio totalmente naturale, dall’altra il cuore della metropoli, perfetta forma del paesaggio completamente umanizzato.
Anche il paesaggio quotidiano, quello che ci circonda, è un paesaggio geografico, cioè un paesaggio nato da un insieme di forme e immagini sempre storicamente interpretabili. Cosi il paesaggio stesso diventa specchio di una società, perché evolve e si modifica registrando vicende, problemi e contrasti che la società stessa vive. Allora si può arrivare a una vera e propria ’lettura’ del paesaggio, una sorta di interpretazione storica dei diversi elementi che lo compongono. Il punto di partenza per questa analisi può essere proprio la considerazione di tutto ciò che nel territorio ha una forma visibile. il metodo, quello di un confronto che, cercando di risalire nel tempo, possa mettere in relazione le forme più recenti con gli aspetti’ originari della realtà. Nel nostro caso si tratterebbe allora di ritrovare, aiutandosi con documenti iconografici come antiche stampe, incisioni e vecchie fotografie, l’aspetto precedente della zona in cui viviamo. Quell’area a nord di Milano che ha vissuto soprattutto negli ultimi cinquant’anni trasformazioni sempre più rapide, profonde e irreversibili nella struttura economica e sociale.
Eppure quest’analisi, apparentemente cosi ’scientifica’, ha una forte componente soggettiva, legata all’idea stessa che l’individuo ha del territorio in cui vive. Se da una parte, cioè, si prende in considerazione la realtà dei fatti, non bisogna dimenticare che questa realtà è vista da un’ottica assolutamente personale e mutabile nel tempo, legata alla percezione degli abitanti stessi.

La percezione del paesaggio: il caso della Brianza

L’evoluzione nella percezione stessa di un’area geografica è particolarmente chiara proprio nel caso della Brianza. Questa ancora nell’Ottocento, prima delle grandi trasformazioni economiche era vista come il "giardino d’Europa", un sereno luogo di villeggiatura per gli stessi milanesi che costruirono ville dove riposarsi, fuggendo dall’afa e dal rumore della città.
Quando in seguito si realizzò il passaggio da un’economia prevalentemente contadina e rurale a un’economia basata essenzialmente sull’artigianato e la media industria, cambiò inevitabilmente anche l’immagine del territorio e all’idea di "Brianza-giardino" si sostituì completamente quella di “Brianza operosa". Si scriveva allora a proposito di questa terra: "Giardino sì, ma arricchito, oltre che dalla delizia della natura, anche dei favori dell’industria, la quale crea fabbriche e filande che danno lavoro a una quantità considerevole di famiglie".
Certo, nell’area a nord della metropoli milanese le trasformazioni più massicce e profonde sono avvenute nel secondo dopoguerra. La ricostruzione postbellica e il successivo boom economico hanno portato, infatti, a una vera e propria rivolu:zione nella struttura economica e sociale del territorio. Rivoluzione che ha provocato inevitabilmente vistose conseguenze anche nel paesaggio. Anche in questo caso gli scritti del tempo ci aiutano a ritrovare la percezione che già allora si aveva di questo consistente e irreversibile fenomeno. Nel 1952, in un articolo su "Vie d’Italia", mensile del Touring Club Italiano, Arturo Brambilla, allora presidente del sodalizio milanese, scriveva: "Una parte della Brianza sta diventando un’appendice di Sesto San Giovanni. Gli alveari umani di cemento armato, i capannoni degli stabilimenti, le torri di ferro delle condutture elettriche si moltiplicano con rapidità, sempre crescente, stipandosi addosso alle umili costruzioni di un tempo, togliendo la visuale alle vecchie ville. La Brianza sta attraversando un periodo di imbruttimento, masi può sperare che si tratti di una crisi di aggiustamento e di crescenza. il paesaggio di una economia agricola a una economia industriale è stato troppo rapido per non dar luogo a strappi e scossoni. E il bello non ama la fretta".
Ma questa "crisi di aggiustamento e di crescita" in realtà continua, anzi si approfondisce ancor più nei decenni successivi. Negli anni ’60 la trasformazione del nostro paesaggio procede in modo ancor più evidente e drammatico anche per le nuove esigenze di una popolazione che cresce m modo vertiginoso. I grandi impianti industriali sorti sul territorio e le fabbriche che lasciano la città per più vantaggiose sedi decentrate creano consistenti opportunità lavorative. il richiamo di nuovi abitanti inevitabilmente produce pressanti esigenze di alloggi e strutture. Così, repentinamente, i nostri paesi cambiano volto: da una parte assumono forme e dimensioni urbane, dall’altra mutano completamente l’attività economica primaria, relegando l’attività agricola in frange sempre più marginali.
Se gli anni del boom economico sono legati a un’idea di ottimismo e crescita, negli anni ’70 all’immagine della Brianza si collegano sempre più indissolubilmente aspetti e componenti negative. Sono ormai drammaticamente evidenti i malesseri di un territorio che ha vissuto una troppo rapida, e per certi versi incontrollata, trasformazione. Cosi l’immagine comune è ora quella di una "Brianza dei veleni", che riporta alla memoria il caso di Seveso o i cartelloni appesi da organizzazioni ecologiste sopra un Lambro schiumoso: “Lo spirito del fiume risorgerà per colpire i colpevoli della sua morte".
Sono certo immagini forti quelle legate alla storia del nostro territorio, in momenti in cui la realtà assumeva contenuti tanto difficili e preoccupanti. Oggi, credo, abbiamo superato questa fase, perché ci si trova di fronte a una nuova struttura urbana di ordine superiore: non si tratta semplicemente della metropoli che si è allargata a dismisura, invadendo in modo prepotente e unificante lo spazio attorno, qui è nata una realtà territoriale diversa che i geografi chiamano "regione-città". Una nuova forma di organizzazione in cui un segmento di territorio acquista strutture, forme e modi di vita della città.
In questi ultimi anni vi è stata inoltre un’inversione di tendenza nella mobilità della popolazione: se prima era la grande città l’ambita meta di molti strati della popolazione, oggi si registra una fuga dalle città per molti aspetti invivibili, e la ricerca di nuovi spazi in aree periferiche, ma non per questo prive del comfort e degli standard medi di vita che la città assicura. E questa ricerca di nuovi spazi qualificati porta spesso, diversamente a quanto avvenuto negli anni ’60 e ’70 in cui si privilegiava la distruzione dell’antico per costruire il nuovo, al recupero di strutture esistenti.
È chiaro, comunque, che nella nostra zona ci troviamo di fronte a un tipico paesaggio altamente industrializzato. il tratto della superficie terrestre di cui parlava Sistini, il ’nostro’ tratto di superficie terrestre, è un’area che presenta tutti i contenuti tipici di una società industriale avanzata. Se il mondo contadino è un mondo conservatore e statico, la moderna società industriale ha invece in sé i presupposti di una rapida e continua trasformazione. Un’inarrestabile trasformazione della struttura economica, dell’organizzazione sociale, dei modi di vita e, quindi, delle forme visibili del territorio, cioè del paesaggio.


Il paesaggio industrializzato e la diffusione di modelli urbani

il paesaggio prodotto dalla società industriale avanzata ha tratti comuni che accomunano aree geograficamente lontane interessate dallo stesso fenomeno. Così il volto tipico di quest’area nord-milanese presenta molte somiglianze con altri territori investiti da una massiccia industrializzazione. Il primo di questi tratti comuni è certamente l’alta densità demografica e l’alto grado di umanizzazione del territorio, dati facilmente deducibili dai valori relativi alla popolazione dei singoli comuni e dall’osservazione, anche superficiale, di una fotografia aerea in cui appaiono armai rare le zone non costruite. Segue poi la preminenza di fattori economici nella localizzazione di insediamenti industriali, scelta che ha portato a una più ampia diffusione di fabbriche e impianti, ora liberi da condizionamenti naturali grazie allo sviluppo delle tecnologie e dei trasporti. Anche la creazione di molteplici attività complementari e strettamente collegate tra loro è uno dei fattori caratterizzanti la società industriale avanzata che, come gli altri, ha portato evidenti trasformazioni nel volto stesso del territorio. L’aumento della popolazione residente, i massicci fenomeni del pendolarismo e della mobilità della popolazione, lo sviluppo dell’indotto ha inevitabilmente moltiplicato strutture e servizi, con una rete capillare di infrastrutture che ha contribuito a modificare ancor più sensibilmente il paesaggio stesso.
Questa modifica ha portato, da una parte, alla diffusione a macchia d’olio di quello che potremmo definire il “modello urbano”: le forme che oggi invadono il territorio, sono infatti forme tipiche della città, che ripropone in spazi sempre più vasti le sue tipologie residenziali e lavorative. Così oggi dominano ovunque forme prese a prestito dalla grande città e sempre più frequentemente compaiono, anche in aree più esterne, fenomeni degenerativi e di degrado tipici delle metropoli. il fatto ciò di essere tanto a ridosso e in stretto legame di dipendenza dalla metropoli porta così a vivere problematiche comuni, legate all’inquinamento, alla carenza di spazi verdi, al traffico, al disagio sociale e, per quanto riguarda l’aspetto visibile, al netto contrasto tra le nuove costruzioni di stampo urbano e le preesistenti architetture di un mondo contadino.
Il rischio più forte di questo processo è quello di creare un paesaggio standardizzato, una sorta di uniforme e anonima maschera comune a tutte le aree industrializzate. Non si tratta di pensare e creare un paesaggio ’bello’ o brutto’, perché, come si è visto i valori estetici sono soggetti a cambiare nel tempo. Non è detto poi che il paesaggio urbano debba essere per forza brutto, visto che ci sono scenari e addirittura quartieri cittadini di indiscutibile bellezza. Inoltre, non si deve cadere nel mito del ruralismo a oltranza con un’anacronistica nostalgia del passato, perché la realtà ha certamente superato la netta separazione tra città e campagna. Soprattutto si deve vincere la facile utopia di un idilliaco mondo contadino, diverso dalla realtà e comunque lontano dalle esigenze di oggi.
Il rischio è allora quello di una diffusione inarrestabile di modelli anonimi, con la formazione di un paesaggio indifferenziato e irriconoscibile, che non ha più una sua identità. E se il tema affrontato è l’identità sociale e culturale, possiamo affermare che anche il paesaggio, cioè la forma visibile del territorio, deve avere carattere e caratteristiche proprie che ne ricordino la storia e le peculiarità. La "perdita di identità" per il paesaggio significa allora la sua totale e acritica uniformazione a modelli ripetuti, apparentemente validi ovunque ma che in realtà portano a un diffuso senso di confusione e generale appiattimento.

La regione città milanese

Non possiamo dimenticare di vivere in una nuova realtà territoriale. Ormai non è più proponibile l’idea della metropoli, intesa come grande città che si espande a macchia d’olio portando oltre i confini urbani le proprie strutture abitative e di lavoro. Superata nella nostra realtà socio-economica anche l’idea di conurbazione, intesa come rete di centri nell’immediata periferia metropolitana che gravitano su un unico polo urbano dalle forti capacità attrattive. Oggi possiamo a pieno titolo parlare di "Regione-città milanese", armatura urbana di ordine superiore che si può facilmente delimitare considerando prima di tutto l’intensità con la quale l’area a nord di Milano è fittamente popolata e coperta da insediamenti, dall’altra la massiccia presenza dell’industria che invade la quasi totalità del territorio con impianti e infrastrutture.
Quali sono i fattori che hanno reso possibile la formazione di una "Regionecittà" proprio nell’area in cui viviamo?
Grazie alla posizione e all’efficiente struttura viaria, la zona a nord di Milano si è sempre trovata alla confluenza di importanti vie di traffici e commerci, sia con altre parti d’Italia, sia con regioni d’oltralpe. L’arrivo di merci, prodotti, e capitali ha portato quindi possibilità e mezzi per un precoce sviluppo industriale.
La morfologia pianeggiante non ha creato nessun ostacolo naturale all’insediamento dell’industria, favorito certo dalla vicinanza di un centro economico forte, Milano, e da una fitta rete di centri minori, collegati tra loro da una buona dotazione viaria.
Anche la bassa produttività del suolo, spingendo all’abbandono delle culture agricole, ha indirettamente favorito la massiccia industrializzazione. Già nella seconda metà dell’Ottocento, infatti, la crisi dell’allevamento del baco da seta, dovuta a mutate condizioni di mercato, unita all’abbandono della viticoltura, aggravato dalla presenza della filossera, aveva portato a un repentino crollo di valore del suolo agrario. Valore già di per sé basso, se paragonato a quello delle più fertili zone a sud di Milano, dove la presenza di risorgive e fontanili assicurava una più proficua agricoltura irrigua. Cosi era più facile e conveniente acquistare terreni in questa fascia a nord, per costruire industrie e piccole officine.
Inoltre, la perdita di lavoro dei contadini che lasciavano i campi immetteva sul mercato una consistente offerta di manodopera a basso prezzo, disposta a sopportare anche massacranti orari di lavoro.
Fattore di massima accelerazione di questo processo fu il piano regolatore di Milano del 1953 che, aumentando di molto il valore del terreno all’interno della città, favoriva di fatto le scelte di decentramento di tutti gli impianti produttivi.
Quali sono allora gli elementi comuni e distintivi nel paesaggio di ogni "regione-città"? Anche qui l’elenco è necessariamente rapido e incompleto, comunque questi elementi sono:

1. la presenza di una complessa e articolata rete urbana, con un centro principale dotato di forza attrattiva e una rete molto fitta di centri minori, più o meno grandi, collegati tra loro;

2. una complessa rete viaria che assicuri il flusso continuo di uomini, merci e capitali;

3. un alto grado di motorizzazione, strettamente connesso alle esigenze di t:rasporto, di mobilità lavorativa, di pendolarismo, di divertimento;

4. un intenso utilizzo degli spazi, con la drastica riduzione del verde: anche se sopravvivono campi, orti, macchie di rovi e robinie non possiamo parlare di elementi naturali, quanto di un “Paesaggio deruralizzato", dove il verde sopravvive a stento nei ’vuoti’ lasciati dal continuo edificato di case, fabbriche e strade;

5. la presenza di complessi produttivi, non più solo con grandi impianti ma soprattutto con la diffusione massiccia e pressoché omogenea di piccole e medie industrie.

6. un’alta densità abitativa, che inevitabilmente porta alla crescita di fabbricati per abitazioni, ma anche all’aumento di edifici di servizio (scuole, ospedali, impianti sportivi, centri commerciali e ricreativi).

Se in queste nuove realtà territoriali si avverte forte la presenza di elementi comuni, il rischio allora è proprio quello di una standardizzazione di forme visibili, con la diffusione sul territorio di anonimi scenari urbani, del tutto simili alle brutte periferie di ogni grande città. E noi che ci viviamo, calati in una realtà indifferenziata e piatta, non riusciamo a riconoscere e assimilare le forme stesse del nostro paesaggio quotidiano.
Scoprire una nuova identità del territorio vuol dire allora partire dalla conoscenza della realtà odierna, valorizzando però le tracce del passato, risparmiate dal lungo e profondo processo di trasformazione. Questa, forse, l’unica soluzione possibile per ricreare un positivo rapporto tra uomo e ambiente.



Lunedì, 09 giugno 2003