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Da
Il Manifesto 09 Settembre 2001
Una questione che riguarda non solo i rapporti
tra ebrei e cattolici ma la coscienza civile di tutti. Parlano Giovanni Miccoli, Gerald
Fogarty, Robert Wistrich e Stefano Levi della Torre
MARINA IMPALLOMENI
E'
rottura definitiva tra il Vaticano e i tre storici ebrei membri della Commissione mista
ebraico-cattolica istituita nel 1999 con il compito di studiare le responsabilità di Pio
XII e della Santa Sede in relazione alla Shoah. La rottura arriva dopo che, per mesi, il
Vaticano aveva fatto muro alla richiesta degli storici di aprire, almeno parzialmente, gli
archivi segreti, tanto che a luglio la commissione aveva comunicato la sospensione dei
lavori in attesa di una risposta.
Risposta che è infine arrivata, inequivocabile. Il 25 agosto scorso l'Osservatore Romano pubblicava un comunicato del
cardinale Walter Kasper (alla guida della Commissione per i rapporti con l'ebraismo e che
qui accanto pubblichiamo) che pesava come una pietra tombale sull'incerto futuro della
commissione, accusando la "parte ebraica" di aver fatto venire meno le
necessarie "basi di correttezza, rispetto e fiducia reciproca". Gli storici
ebrei - Robert Wistrich, Bernard Suchecky, e Michael R. Marrus - hanno risposto con le
dimissioni, scrivendo a Kasper una lettera (anch'essa qui pubblicata) che è anche il
primo documento a non portare la firma congiunta di tutti i membri della commissione.
Nella missiva i tre si dicono "scioccati" per le pesanti critiche loro riservate
dalla Santa Sede, definite "straordinariamente dure e totalmente
ingiustificate". Il gesuita Peter Gumpel, curatore della causa di beatificazione di
Pio XII, in un'intervista rilasciata alla Radio vaticana a fine luglio aveva parlato di
"una campagna denigratoria nei confronti della Santa Sede" e aveva accusato di
"superficialità" gli storici della commissione: a suo dire, non avrebbero
studiato tutti i documenti a loro disposizione ma solo una parte. Accuse talmente pesanti
da far pensare a una provocazione vera e propria. Per Giovanni Miccoli, storico della
Chiesa "le dimissioni erano assolutamente motivate, dopo i pesanti e immotivati
giudizi formulati da Kasper e Gumpel". "Non mi sarei mai aspettato da persone
serie che potessero mettere in dubbio la nostra competenza di studiosi - commenta Robert
Wistrich - Il cardinale Kasper ha dichiarato che noi storici non avevamo letto tutti i
volumi degli Actes et Documents. Ma lui non
poteva certo saperlo: non ci eravamo mai incontrati né parlati. Può immaginare come mi
sia sentito, dopo aver passato mesi a analizzare quei documenti uno per uno!".
Ma, soprattutto, nella loro missiva gli storici sottolineano come siano rimasti senza
risposta, dopo quasi un anno, i 47 quesiti formulati nel "Rapporto provvisorio"
presentato lo scorso ottobre. Quesiti inerenti ad altrettanti punti controversi e oscuri
del pontificato di Pio XII, che necessitano di ulteriori approfondimenti e che pongono il
problema dell'accesso agli archivi segreti del Vaticano. Finora infatti la Santa Sede ha
pubblicato soltanto un corpus di documenti
costituito da 11 volumi, gli Actes et Documents du
Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, editi tra il 1965 e il
1981 da alcuni padri gesuiti e già noti agli storici.
Proprio l'accesso a documenti inediti vaticani era, per gli storici ebrei, condizione
imprescindibile per la prosecuzione del loro lavoro. Che non si è attuata. "La
commissione - spiega Wistrich - ha ormai terminato il suo lavoro perché non ha ottenuto
alcun impegno del Vaticano in merito all'apertura degli archivi. Solo questo conta".
Da mesi il Vaticano si trincera dietro problemi "tecnici" (catalogazione dei
materiali, rilegatura) che impedirebbero l'apertura in tempi ragionevoli. E per andare
incontro a queste difficoltà, i membri della commissione avevano ipotizzato una procedura
graduale: ovvero l'accesso ai documenti di cui giàsi conosce l'esistenza perché citati
negli Actes et Documents. In risposta, solo
una generica promessa: i documenti saranno resi accessibili "a tempo debito".
Non solo. A giugno Kasper aveva sollecitato la stesura di un rapporto definitivo, da redigersi in assenza di nuove basi
documentali, cioè dell'unica cosa che - come ben spiega Giovanni Miccoli - avrebbe dato
senso alla prosecuzione del lavoro. "Il primo compito, quello che ha portato alla
stesura del documento contenente i 47 quesiti - ragiona Miccoli - era strano perché tutti gli studiosi che hanno
esaminato gli Actes et Documents sapevano
quali documenti sarebbe stato interessante esaminare. Così che il compito di
individuarli, avrebbe avuto un senso. Inoltre la proposta di aderire alla commissione non
poteva essere rifiutata perché avrebbe potuto effettivamente portare all'apertura degli
archivi. Ma chiedere di stilare un documento conclusivo - una sorta di sintesi, di
giudizio complessivo sull'atteggiamento della Santa Sede durante la II guerra mondiale -
significa pensare la ricerca storica in termini impropri. Essa è frutto della libera e
onesta ricerca dei singoli studiosi, e non può essere frutto di una commissione nominata
da due istituzioni, nella quale si sarebbe arrivati inevitabilmente a una trattativa su
cosa dire e come dirlo".
I rappresentanti della Santa Sede si difendono sostenendo che l'apertura degli archivi non
era mai stata promessa ai membri della Commissione, e che per altro la Commissione per i
rapporti con ebraismo non è competente a decidere in merito, in quanto gli archivi
dipendono dalla Segreteria di Stato. A una nostra domanda diretta su questo punto il
gesuita Gerald Fogarty, uno degli storici cattolici partecipanti al progetto, ha
dichiarato: "Il nostro mandato consisteva esclusivamente nell'esame degli Actes et Documents. Nessuno, mai, ha detto che
avremmo avuto accesso agli archivi vaticani". Ma come stanno effettivamente le cose?
"E' vero - risponde a distanza Wistrich - che non ci è mai stato promesso
ufficialmente l'accesso agli archivi segreti vaticani dopo il 1922. Ma già dall'inizio,
nel 1999, avevamo stabilito che senza l'accesso agli archivi non avremmo potuto portare a
termine il nostro compito. Potevamo elaborare un rapporto preliminare e sollevare
interrogativi (l'abbiamo fatto), ma non potevamo proseguire. Questo era chiaro a tutti, ed
è stato ripetuto tante e tante volte". Come spiegare allora l'accusa di Fogarty?
"La posizione attuale di Fogarty - dice ancora Wistrich - nasce dal fatto che gli
studiosi cattolici hanno dovuto scegliere fra la lealtà al Vaticano e il loro lavoro di
storici che impone l'apertura degli archivi. Inoltre, Fogarty ha firmato tutti i documenti
della commissione, documenti ampiamente discussi e soppesati".
Quali, e quanto ampie, potranno essere le conseguenze di questa crisi nei rapporti fra
comunità ebraica e Santa Sede è difficile dire. Ma un'idea sembra emergere: sarebbe un
errore continuare a declinare il nodo dell'apertura degli archivi in termini di rapporti
tra comunità ebraica e Santa Sede. "Un tema - sottolinea Miccoli - che non riguarda
solo i cattolici e gli ebrei, ma la coscienza civile di tutta l'umanità. E' una questione
troppo grossa per restringerla in un ambito confessionale o nazionale. Gli archivi devono
essere aperti a tutti coloro che ritengono sia importante per la memoria collettiva
occuparsene". Un giudizio condiviso da Wistrich: "Credo che questa commissione
non debba più andare avanti e sono anche contrario all'istituzione di una nuova
commissione. Spero che il Vaticano manterrà il suo impegno, perché gli archivi devono
essere aperti. E la loro apertura non deve essere una questione di relazioni fra cattolici
ed ebrei. Gli archivi devono essere aperti e basta".
"Il Vaticano - per Wistrich - non può pensare che il mondo dimenticherà questa
questione." Gli fa eco Stefano Levi della Torre, autore de Il Papa di Hitler. La storia segreta di Pio XII
(Garzanti): "le motivazioni tecniche addotte dal Vaticano non sono altro che scuse
pretestuose. Il Vaticano continua a non voler fare chiarezza sulla questione di Pio XII.
Evidentemente ha delle cose molto importanti da nascondere".
09 Settembre 2001
La versione vaticana
La Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo
ha appreso con rincrescimento la decisione del gruppo di esperti, lo scorso luglio, di
sospendere la loro ricerca. Allo stesso tempo, essa è grata ai membri del gruppo,
specialmente i rappresentanti cattolici, per quanto è già stato realizzato e per la
disponibilità mostrata.
Sin dall'inizio è apparso chiaramente che, nei limiti dell'incarico affidato al gruppo,
non sarebbe stato possibile rispondere a tutti i quesiti, che avrebbero potuto essere
risolti soltanto con la consultazione di fonti non ancora accessibili, o con un ulteriore
studio. Si considerava tuttavia che i suoi possibili risultati avrebbero potuto
opportunamente incoraggiare un oggettivo dibattito.
Gli esperti del gruppo hanno accettato di assumere il loro non facile incarico. Non è mai
stata prospettata loro, in nessun momento,
che essi avrebbero potuto avere accesso ai documenti dell'Archivio Vaticano successivi al
1922.
Nell'ottobre del 2000 il gruppo di esperti ha presentato un Rapporto Preliminare, che comportava 47 quesiti,
documento che è stato oggetto di controverse discussioni da parte di altri storici. La
continuazione della ricerca da parte del predetto gruppo è stata ampiamente esaminata nel
corso dell'incontro del Comitato internazionale di
collegamento cattolico-ebraico, nella riunione tenuta a New York (1-4 maggio
2001). Dal positivo esito di tale esame, risultava la volontà di entrambe le parti di
continuare la ricerca e di giungere alla presentazione di un Rapporto Finale.
Ma di fatto si dovette constatare l'impossibilità di superare le diverse interpretazioni
date ai compiti e allo scopo del gruppo. Inoltre, indiscrezioni e scritti polemici da
parte ebraica, contribuivano a suscitare un sentimento di diffidenza. Tutto ciò rendeva
praticamente impossibile continuare una ricerca congiunta.
Un tale lavoro scientifico può realizzarsi soltanto su basi di correttezza, nel rispetto
e nella fiducia reciproca di coloro che lo intraprendono. Tale presupposto indispensabile
è venuto del tutto a mancare a causa della polemica sorta dopo la sospensione del lavoro
di ricerca e dei sospetti offensivi che hanno accompagnato tale sospensione. I membri
cattolici del gruppo si sono pubblicamente discostati da simili interpretazioni e
valutazioni polemiche. Allo stadio attuale, e su queste basi, non sembra pertanto
possibile prevedere una riattivazione del lavoro comune.
La Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo
vuole rimuovere ogni dubbio sulla irreversibilità del cammino intrapreso verso la
comprensione tra ebrei e cristiani, cammino che deve essere percorso nel reciproco
interesse. Tale processo, avviato con il Concilio, è stato continuato dal Papa Giovanni
Paolo II. Anche degli autorevoli rappresentanti ebraici hanno fatto sapere di non
desiderare una tale aperta polemica, ribadendo la volontà di continuare ad approfondire
il dialogo sulle questioni religiose.
Certo, la comprensione tra ebrei e cristiani esige anche l'investigazione della storia.
L'accesso a tutte le fonti storiche relative costituisce pertanto una naturale esigenza di
tale ricerca. Il desiderio degli storici di disporre anche del fondo di archivio
riguardante i pontificati di Pio XI (1922-1939) e di Pio XII (1939-1958), è comprensibile
e legittimo. Nel rispetto della verità, la Santa Sede è pronta a consentire l'accesso
all'Archivio Vaticano non appena sarà ultimato il lavoro di riordino e di catalogazione
dei fonti in questione.
La Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo
si adopererà nei prossimi mesi a trovare i modi adeguati per riattivare la ricerca su
nuove basi, nella speranza che sia possibile giungere ad un comune chiarimento dei quesiti
sollevati. Tutto ciò nella convinzione della Commissione
che la Chiesa cattolica non teme la verità storica.
Cardinale
Walter Kasper
La replica degli storici ebrei
Questa è una risposta alla sua
lettera del 25 agosto e al comunicato che la accompagnava, da parte dei membri ebrei della
commissione di storici che a partire dal dicembre 1999 hanno lavorato insieme nella
commissione storica cattolico-ebraica impegnata a studiare il ruolo del Vaticano in
relazione all'Olocausto e alla seconda guerra mondiale.
Condividiamo il suo impegno nel dialogo tra ebrei e cattolici avviato dal Concilio
Vaticano Secondo, e apprezziamo che lei abbia riconosciuto il fatto che il desiderio, da
parte di molti storici, di avere accesso agli archivi relativi ai pontificati di Pio XI
(1922-1939) e Pio XII (1939-1958) è "comprensibile e legittimo". Apprezziamo
anche che "la Santa Sede è pronta a consentire l'accesso agli Archivi Segreti del
Vaticano non appena il lavoro di riorganizzazione e catalogazione sarà concluso", e
confidiamo che tale accesso, lungamente richiesto da studiosi di tutti i background, sarà
effettivamente garantito in un futuro molto prossimo. Questo è un terreno comune tra di
noi, e potrebbe far intravvedere una luce alla fine di quello che è diventato un tunnel
piuttosto lungo.
Comunque, in linea con lo spirito di franchezza della sua lettera, speriamo che lei
comprenderà il nostro senso di shock per il fatto che i membri ebrei del gruppo di
studiosi siano stati fatti oggetto di biasimo, sia nel suo comunicato che in alcune
dichiarazioni straordinariamente dure e totalmente ingiustificate pronunciate dalla Santa
Sede nelle recenti settimane. Tali intemperanti attacchi all'integrità e alla
professionalità di membri della commissione hanno poco in comune con lo spirito di
dialogo e mutuo rispetto cui lei fa riferimento all'inizio del suo comunicato. Noi
rigettiamo l'assunto che le espressioni di disappunto pronunciate da parte ebraica in
relazione alle circostanze connesse alla sospensione del lavoro degli studiosi fossero in
alcun modo improprie. Ci dispiace che lei abbia fatto proprie tali accuse senza aver avuto
alcuna opportunità di incontrare i membri ebrei della commissione in quanto gruppo, o di
consultarsi con noi su come noi potessimo adempiere il nostro mandato.
I fatti sono che gli studiosi cattolici ed ebrei hanno congiuntamente sottoposto il
"Rapporto Preliminare", con le sue 47 domande, al Vaticano nell'ottobre 2000.
Quasi un anno più tardi, le questioni sollevate in quel rapporto rimangono senza
risposta. Invece, abbiamo avuto dichiarazioni roventi da parte di padre Gumpel, che ha
parlato per conto del Vaticano - dichiarazioni rivolte a tutti i membri della commissione
ma con particolare virulenza a quelli ebrei.
Questo è particolarmente deprecabile. Poiché noi studiosi ebrei, sebbene possiamo essere
stati più inclini delle nostre controparti cattoliche a prendere posizione
individualmente e a dare voce alle nostre frustrazioni per il modo in cui il
"Rapporto Provvisorio" è stato accolto presso la Santa Sede, abbiamo cercato di
farlo all'interno di un quadro di collegialità e rispetto. Continueremo ad agire così, e
ci auguriamo che l'istanza ebraica su questa questione che ha così turbato le relazioni
tra le nostre comunità riceverà nel futuro rispettosa udienza.
Riteniamo che una risposta positiva al Rapporto Preliminare, con la sua richiesta di
documentazione ulteriore, sarebbe un modo appropriato per uscire da una impasse che non è
stata scelta da noi. Tale risposta indicherebbe un impegno all'apertura, per la quale
tutti noi ci siamo impegnati, un riconoscimento delle aspirazioni degli studiosi di vari
background, e una continuazione dello spirito del Concilio Vaticano Secondo.
Robert
Wistrich (Gerusalemme) - Bernard Suchecky (Strasburgo) -
Michael R. Marrus (Toronto) |