Conoscere l’ebraismo
I marrani

di Marco Morselli

«Se da un lato i marrani rappresentano uno dei capitoli più crudeli e tristi del martirio ebraico sotto il dominio cristiano, essi sono nello stesso tempo uno dei fenomeni più affascinanti dell’inizio dell’età moderna. Il loro coraggio, ma anche la loro capacità di adattarsi e di salire alle più alte funzioni dello Stato nemico e della Chiesa che li aveva nullificati, la loro imponente attività economica in tutta l’Europa e nei nuovi territori spagnoli e portoghesi d’oltremare, l’originalità di alcuni pensatori, poeti e uomini di Stato hanno lasciato tracce inestinguibili nella storia europea e americana negli ultimi cinquecento anni[1]».

            Le persecuzioni che devastarono la maggior parte delle comunità ebraiche di Castiglia e di Aragona ebbero inizio nel 1391. Le conversioni si contarono a decine di migliaia, migliaia di ebrei scelsero invece di morire per il Qiddush ha-Shem, la santificazione del Nome.

            Il vento dell’apostasia riprese a soffiare forte negli anni 1413-14, in occasione della disputa di Tortosa. Poiché molti, e forse la maggior parte dei conversos continuava ad ebraizzare di nascosto, agli inizi del XV secolo si era venuta a creare in Spagna una situazione nuova: accanto a coloro che praticavano liberamente il loro ebraismo, vi erano numerosissimi “cristiani nuovi” la cui identità religiosa e sociale era caratterizzata da incertezza e ambiguità.

            Le conversioni forzate non avevano dunque risolto le difficoltà della situazione religiosa spagnola, che si erano anzi accresciute: folle di ebrei, come osserva Roth, si erano trasformati da infedeli esterni alla Chiesa in eretici interni alla Chiesa.

            Ferdinando di Castiglia e Isabella d’Aragona decisero allora di introdurre in Castiglia l’Inquisizione già presente in Aragona. Con l’approvazione da parte di papa Sisto IV nasceva così nel 1478 l’Inquisizione spagnola, e già due anni dopo iniziarono i processi contro i giudaizzanti.

            Come si riconosce un marrano? Un manuale degli inquisitori insegna a  fare attenzione a queste cose: se il venerdì pomeriggio indossa abiti puliti e festivi e accende candele nuove, se osserva i digiuni di Purim e di Kippur, se mangia pane non lievitato nella settimana di Pesach, se recita berakhot sul vino e sul pane, se osserva la kasherut, se dà ai suoi figli nome biblici, se li benedice imponendo le mani sul loro capo (cfr. infra, 98-99).

Proprio l’esigenza di separare i nuovi cristiani dagli ebrei fu alla base del Gerush del 1492, ossia dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna. Come si osserva nel preambolo dell’editto, «gli ebrei cercano con tutti i mezzi possibili di sottrarre i fedeli cristiani alla Santa Fede Cattolica, di distoglierli, di sviarli e di attirarli alla loro fede e opinioni dannate: li istruiscono delle cerimonie ed osservanze della loro Legge, organizzano riunioni dove dicono e insegnano loro ciò che devono credere e praticare seguendo la loro Legge, si occupano della circoncisione loro e dei loro figli, danno loro i libri di preghiere, li informano dei digiuni da rispettare, si uniscono a loro per leggere e insegnare loro le storie della loro Legge, li informano dell’arrivo della Pasqua e li avvisano di ciò che devono fare e osservare in questa occasione, danno loro, portandoglielo a casa, il pane azzimo e le carni macellate ritualmente, li avvertono dei cibi da cui devono astenersi e di quelli che devono mangiare in obbedienza alla loro Legge, e li persuadono ad osservare e praticare per quanto possono la Legge di Mosè, facendo loro credere che non esiste altra legge o altra verità che quella[2]».

            Altre volte gli ebrei avevano dovuto abbandonare il paese in cui vivevano: nel 1290 erano stati espulsi dall’Inghilterra, nel 1394 dalla Francia. Ma il caso degli ebrei di Spagna era diverso: «Dopo più di otto secoli di vita nel paese, centinaia di migliaia di persone dovettero abbandonare una terra che sentivano come propria, al cui sviluppo politico, sociale, economico, linguistico e culturale avevano attivamente collaborato, la cui lingua avevano creato insieme con gli spagnoli e con gli arabi: non la dimenticheranno più. Dovettero prepararsi a partire, vendere tutto quello che poterono per una miseria, lasciare la maggior parte dei beni invenduta. Inoltre l’altro non meno grande problema era: dove andare? Verso quali paesi dirigere il passo dell’ebreo errante? Le coste dell’Africa, dove esistevano regni musulmani, e le coste dell’Italia furono quelle che sembrarono di più facile accesso; inoltre, il vicino Portogallo. Un 9 di Av, il 2 agosto 1492, dopo aver salutato i loro morti, lasciarono – a piedi, sugli asini, sulle navi – la terra che mai si sarebbe cancellata dalle loro anime. Il loro grido risoluto fu: ce ne andiamo in nome del Signore[3]».

            Nel 1497 venne decisa l’espulsione degli ebrei anche dal Portogallo, dove però l’Inquisizione venne introdotta soltanto nel 1536, lasciando così il tempo a coloro che avevano preferito la conversione all’esilio di organizzare la propria vita segreta. Questo spiega la differente condizione dei nuovi cristiani portoghesi rispetto a quelli spagnoli.

            La conquista spagnola del Regno di Napoli nel 1504, segnò la fine delle numerosissime comunità ebraiche dell’Italia meridionale, anch’esse costrette a scegliere tra esilio e nascondimento nel marranesimo.

            Privati della compagnia degli ebrei, i marrani dovettero organizzare la propria vita religiosa con quel poco che restava loro. Avendo a disposizione la sola versione latina del Tanakh, il Vetus Testamentum, essi dovevano da questa ricavare la loro teologia essenziale: che la Torah di Mosè non è stata abolita, e la loro ridotta Halakhah, osservando quello che potevano delle mitzwot. Essi facevano del libro dei Salmi, al quale aggiungevano le poche preghiere ebraiche mandate a mente e trasmesse di generazione in generazione, il loro Siddur. Inoltre i marrani non avevano svuotato l’attesa messianica ( sia pure nella forma cristianizzata della Parusia) dei propri contenuti ebraici.

            I conversos che segretamente erano rimasti fedeli alla religione dei padri diedero vita nel Cinquecento a un costante flusso migratorio verso le terre della libertà, dove poter gettare la maschera e fare ritorno all’ebraismo. Nacquero così comunità importanti come quelle di Salonicco, di Amsterdam e di Livorno. Anche se la trasformazione dei cristiani nuovi in nuovi ebrei non fu sempre facile (valga per tutti la tragica storia di Uriel da Costa, o si pensi alla vicenda di Barukh Spinoza) essi diedero un significativo contributo all’ingresso degli ebrei nella modernità.

            Anche il principale fenomeno messianico dopo quello gesuano, il Sabbatianesimo, vide protagonisti i marrani. Gershom Scholem non esita a definire Shabbetay Tzewi il Messia dei marrani[4]. La dottrina del Messia apostata non poteva non esercitare un fascino su coloro che nella loro storia personale o familiare avevano attraversato, nei due sensi, l’apostasia.

            Se si considera lo stretto legame esistente tra questo movimento e il Chassidismo (che ebbe la sua diffusione proprio nelle aree in cui si era precedentemente sviluppato il Sabbatianesimo), si aggiunge alla già straordinaria avventura marrana un ulteriore motivo di interesse.

            La storia del marranesimo, inoltre, non termina nel 1834, con l’abolizione dell’Inquisizione. Proprio le nuove prospettive aperte dall’emancipazione nel corso dell’Ottocento nei diversi Paesi europei e il tentativo di sottrarsi, o sottrarre perlomeno i propri figli, alla grande caccia agli ebrei che è avvenuta negli anni Trenta e Quaranta del Novecento hanno creato nuovi sviluppi nella storia del nascondimento ebraico all’interno della Cristianità.

            Ne I fratelli Karamazov Ivan espone a Aliosha un poema che ha in animo di scrivere. Esso è ambientato a Siviglia, «all’epoca più tremenda dell’Inquisizione». Gesù decide di tornare sulla terra, non come secondo i Vangeli avverrà alla fine dei tempi «ma in quella stessa forma umana in cui s’era aggirato tra loro per trentatré anni quindici secoli prima». Il popolo lo riconosce e lo segue, ma il Grande Inquisitore lo fa arrestare e lo getta in prigione.

            Con la torcia in mano, va a visitarlo e gli annuncia che il giorno dopo lo condannerà e brucerà sul rogo come il peggiore degli eretici: «Tutto (come a dire) è stato trasmesso da te al papa, e tutto quindi si trova nelle mani del papa: Tu dunque, adesso, puoi anche far a meno di venire, o d’impacciarci finché non è tempo, se non altro[5]».

            Forse più di quanto ne fosse consapevole, Dostoevskij in questo brano si avvicina alla scoperta che nel rogo dei marrani bruciava qualcosa che era molto vicino alla persona di Gesù, alla sua spiritualità, alla sua cultura, alla sua storia. E un nuovo significato acquistano le parole: «Beemet omer lakhem: tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me» (Mt 25,40).

            Intorno al 3790 (30 e. c.) ha avuto inizio un movimento messianico che si proponeva la conversione dei goyim, il loro ingresso nell’Alleanza, il riconoscimento di ha-Shem e del suo Mashiach. Ma la conversione ha poi capovolto la sua natura e si è trasformata in tutt’altro: i goyim convertiti si sono proposti di convertire Israele, facendolo cadere nell’apostasia e dichiarando abrogata la sua Alleanza eterna.

Verso il 3810 (49-50 e. c.) si svolse a Yerushalayim una riunione alla quale presero parte le tre colonne della Comunità (Yaakov, Shimon e Yoh[anan) e Shaul. I goyim entravano numerosi nell’Alleanza, e si doveva decidere se essi dovessero fare la milah (la circoncisione) e la tevilah (il battesimo) e poi osservare le mitzwot, oppure se essi dovessero avere una diversa condizione. Venne deciso che essi dovessero limitarsi ad astenersi dalle carni immolate agli idoli, dal sangue, dalla carne di animali soffocati e dalla fornicazione (cfr. At 15).

            Non venne neppure preso in considerazione il problema se gli ebrei entrati nella Comunità dovessero continuare ad osservare le mitzwot. Eppure, con il passare dei secoli, i termini della questione subirono un tale rovesciamento che, nella Ecclesia ex gentibus, l’osservanza di qualche mitzwah divenne ragione sufficiente per essere mandati al rogo.

            Nel 5725 (1965 e. c.) il Concilio riconosceva, scrutando il mistero della Chiesa, ossia guardando al suo interno, il vincolo con cui il popolo della Nuova Alleanza è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo e ricordava che la Chiesa si nutre della radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico6.

            Contrariamente a quel che pensavano Ferdinando e Isabella, la fede e le opinioni degli ebrei non sono dannate: l’ebraismo non è perfidia esterna alla Chiesa, il giudaizzare non è eresia interna alla Chiesa.

            Diamo nuovamente la parola al pastore Martin Cunz: «La hebraica veritas è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe, come Egli viene chiamato all’inizio della preghiera delle Diciotto benedizioni. Egli si è rivelato a Israele con la Torah di Mosè che contiene, nella sua forma scritta e nella sua forma orale, il modo ebraico di camminare davanti a questo Dio. Gesù ha insegnato questa Torah e non un’altra, ed egli si è presentato come via al Padre che è nessun altro che il Dio d’Israele. Il Nuovo Testamento e la tradizione della Chiesa vanno riletti nella chiave della Torah di Mosè, non per “ridurre” all’ebraismo la via che è Gesù – questa è oggi una delle grandi paure di molti teologi cristiani – ma per praticarla nella sua dimensione giusta e in fratellanza con Israele[6]».

            La nostra è la generazione del ritorno. Forse, a partire dalla hebraica veritas sul Messia, i cristiani decideranno di ridiventare messianici, e i marrani, poiché l’ultima redenzione sarà completa, ossia neppure un ebreo ne sarà escluso, faranno come il figliol prodigo ritorno alla Casa del Padre, accolti da colui che raccoglie i dispersi d’Israele. Allora «come all’uscita dall’Egitto, mostrerò cose meravigliose» (Mi 7,15).

Marco Morselli

Aggiornamento bibliografico

            Negli ultimi decenni, e in particolare in occasione del V Centenario del Gerush, molti sono i libri sui marrani e sugli argomenti a loro collegati che sono stati pubblicati. Ci limitiamo qui a segnalare alcuni titoli.

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M. Alpert, Crypyo-Judaism and the Spanish Inquisition, Basingstoke 2001.

M. Arbell, The Jewish Nation of the Caribbean. The Spanish-Poruguese Settlements, Jerusalem-New York 2002.

E. Benbassa, A. Rodrigue, Histoire des Juifs Sépharades. De Tolède à Salonique, Paris 2000.

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Ebrei e cristiani nell’Italia medievale e moderna. Conversioni, scambi, contrasti, a c. di M. Luzzati, M. Olivari e A. Veronese, Roma 1988.

Ebrei: identità e confronti, «Zakhor», V, 2001-2002.

Gli Ebrei in Italia, a c. di C. Vivanti, 2 voll., Torino 1996-1997.

D. M. Gitlitz, Secrecy and Deceit. The Religion of Crypto-Jews, Philadelphia-Jerusalem 1995.

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[1] M. Cunz, I marrani: dramma ebraico, dramma cristiano. Sette tesi per un processo di guarigione, in «Sefer» n. 61, 1993.

[2] Cfr. A. Foa, Ebrei in Europa. Dalla peste nera all’emancipazione, Laterza, Roma-Bari 2001, 111-112.

[3] L. Sestieri, Gli ebrei nella storia di tre millenni, Carucci, Roma 1986, 146-147.

[4] G. Scholem, S$abbetay S[[evi.Il messia mistico, Introduzione di M. Ranchetti, tr. it. Di C. Ranchetti, Einaudi, Torino 2001.

[5] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, tr. it. di A. Villa, Einaudi, Torino 1993, 330-347.

6 Cfr. la Dichiarazione Nostra Aetate. Analoghe dichiarazioni sono state approvate da altre Chiese.

[6] M. Cunz, art. cit., 6.



Martedì, 06 novembre 2007