Conoscere l’ebraismo
L’etica della Torah

di Marco Morselli
(Università di Modena e Reggio Emilia)

            A cosa può essere paragonata la Torah? A una lettera che un Padre molto amato ha lasciato ai suoi figli prima di partire per un lungo viaggio in terre lontane. In attesa del suo ritorno i figli leggono e rileggono con molta attenzione la lettera del loro Padre e Maestro e cercano di fare la sua volontà, come Egli desidera.

            Il titolo scelto per questa breve relazione non sarebbe piaciuto a Nicolai Hartmann (1882-1950). Hartmann, allievo di Hermann Cohen (1842-1918) prima e di Edmund Husserl (1859-1938) poi, nel 1926 pubblicava un’opera, intitolata Ethik, nella quale enunciava quattro antinomie etico-religiose, ossia: 1) l’etica è radicata nell’al di qua, la religione tende all’al di là; 2) l’etica si rivolge all’uomo, la religione a D.; 3) l’etica afferma l’autonomia dei valori, la religione li subordina alla volontà di D.; 4) l’etica si fonda sulla libertà umana, le religione attribuisce ogni iniziativa a D.

            Nel loro insieme, tali antinome costituiscono una buona esemplificazione di un principio enunciato da un grande maestro sefardita del XX secolo, Rav Léon Askénazi (1922-1996)[1], ossia che uno dei postulati della filosofia è che la profezia non ha mai avuto luogo, D. non ha mai parlato agli uomini. E se D. non ha mai parlato agli uomini, non c’è nessuna sua parola da ascoltare. Neppure, p.e., le Dieci Parole, il Decalogo, del quale sarebbe difficile sostenere che riguarda solo D. e non l’uomo.

            Che cos’è la Torah? Il termine significa insegnamento, e designa in primo luogo cinque libri, il Pentateuco: Bereshìt/In principio, Shemòt/ Nomi, Wayiqrà/Chiamò, Bamidbàr/Nel deserto, Devarìm/Parole. A questi libri vanno aggiunti i Neviim, ossia gli scritti dei Profeti, e i Ketuviim, gli Agiografi. Occorre inoltre tenere presente che non vi è solo la Torah scritta, vi è anche la Torah orale, che precede e accompagna la Torah scritta. In una situazione di estremo pericolo per l’esistenza stessa del popolo ebraico[2] la Torah orale venne messa per iscritto, e abbiamo così la Mishnàh. I commenti alla Mishnah costituiscono il Talmùd. Abbiamo poi ancora il Midràsh e la Qabbalàh.

Elie Wiesel  ha definito il Talmud «un oceano vasto, turbolento eppure confortante, che suggerisce l’infinita dimensione dell’esistenza e l’amore per la vita, oltre che il mistero della morte e dell’istante che la precede». Il Talmud fa parte della storia degli Ebrei da millenni, se consideriamo la sua storia dalle tradizioni orali alla Mishnah, alla discussione della Mishnah, al Talmud orale, al Talmud manoscritto, poi stampato, poi su Internet. Al suo interno, il qui e l’ora sono intimamente connessi con altri tempi e altri luoghi, i Maestri del I secolo discutono con i Maestri del XX secolo, i Rabbini babilonesi con quelli francesi. Più che un libro, è un approccio all’esistenza, nel quale la ricerca e la discussione collegano le realtà di questo mondo alle realtà del mondo a venire[3].

Quello che il Talmud è per la Mishnah, il Midrash è per la Torah. Il termine deriva da darash, ricercare. Vi  sono moltissimi punti oscuri nella Bibbia, incomprensibili senza il riferimento a una tradizione esegetica che precede, accompagna e segue il testo[4].

            La Qabbalah è la mistica ebraica. La realtà è un’unità in cui il visibile e l’invisibile, la materia e lo spirito si compenetrano.  Il progressivo disvelamento della Qabbalah ha valenze escatologiche. Vi sono dei momenti privilegiati del passaggio dei segreti dalla sfera esoterica a quella essoterica. Nell’anno 1240, corrispondente all’anno 5000 nella datazione ebraica, ha avuto inizio il sesto millennio, e ha fatto la sua comparsa lo Zohar, il principale testo cabbalistico. Altra data importante è il 1840, corrispondente al 5600. Siamo ora nell’anno 5767, in un’epoca in cui la preparazione messianica si intensifica[5].

2. A questo punto possiamo chiederci: quali insegnamenti etici contiene la Torah per gli esseri umani? Per millenni l’ebraismo è stato accusato di essere una religione particolaristica. Rav Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900) è tra coloro che più si sono adoperati per dimostrare l’infondatezza di tale accusa. Come sarebbe mai stato possibile che da tale particolarismo scaturissero due religioni universali (o meglio: aspiranti all’universalità) come il cristianesimo e l’islamismo? Vi è nell’ebraismo una duplice struttura, articolata in noachismo e mosaismo. L’alleanza con Noè non è in nulla inferiore all’alleanza con Mosè. Colui che si convertiva doveva presentarsi davanti a tre rabbini e dichiarare di voler appartenere alla religione noachide. E’ probabile che la conversione fosse accompagnata dal battesimo, ossia dall’immersione nelle acque vive del miqweh. Il noachide si impegna a rispettare sette comandamenti: 1) istituzione di tribunali (= ogni società umana ha bisogno di giustizia); 2) divieto di blasfemia; 3) divieto di idolatria; 4) divieto di adulterio; 5) divieto di omicidio; 6) divieto di furto; 7) divieto di mangiare una parte di un animale vivo (= divieto di crudeltà nei confronti degli animali). Rispettando tali comandamenti il noachide entrerà nel mondo a venire, ossia avrà parte alla vita eterna[6].

La Torah è dunque un libro da fare: 613 miswot per gli Ebrei e per chi voglia entrare nell’alleanza di Mosè, 7 miswot per chi voglia entrare nell’alleanza di Noè, con la libertà di osservare, volendo, anche un certo numero delle restanti. Il Santo, benedetto Egli sia, nella sua trascendenza è assolutamente inconoscibile. Di Lui possiamo conoscere ciò che Lui ha voluto rivelarci: la sua volontà. Aderendo alla sua volontà noi ci avviciniamo a Lui. Come Lui è santo, così noi cerchiamo di santificarci, anche nelle minute attività della nostra vita quotidiana. Ciò che la Torah ci indica, più che una ortodossia, è una ortoprassi. Il primato dell’etica non è un rifiuto della Rivelazione, ma proprio il contenuto della Rivelazione, con il quale la teologia dovrebbe confrontarsi.

3. Abbiamo impostato il discorso in modo da evitare una contrapposizione tra etica “veterotestamentaria” ed etica “neotestamentaria”. Ci auguriamo che l’epoca della controversistica ebraico-cristiana si sia conclusa. Un’opera apparentemente polemica – in realtà solo una replica alla polemistica cristiana antiebraica – era ancora Morale juive, morale chrétienne di Rav Elia Benamozegh, pubblicata nel 1865[7].

Vi sono tre testi che sono stati definiti il cuore dell’etica ebraica: le Massime dei Padri[8], I doveri dei cuori di Bahya ibn Paquda (1050-1110 ca)[9] e Il sentiero dei retti di Mosheh Hayim Luzzatto (1707-1746).[10] E’ un segno dei bei frutti del dialogo ebraico-cristiano che tutti e tre questi testi siano pubblicati in Italia da case editrici cattoliche.

Ecco alcune massime dei Pirké Avot:

Avot 1,12: «Hillel dice: Sii tra i discepoli di Aharon, che ama la pace e persegue la pace, ama le creature e le avvicina alla Torah».

Avot 2,18: «Rabbì Tarfon dice: Il giorno è breve, il lavoro è molto e gli operai sono pigri, ma la ricompensa è grande e il padrone incalza».

Avot 2,19: «Egli soleva dire: non sta a te compiere l’opera, ma non sei neppure libero di sottrartene».

            Avot 4,1: «Ben Zomà dice: Chi è sapiente? Chi impara da tutti gli uomini. Chi è forte? Chi domina il proprio impulso. Chi è ricco? Chi si accontenta della propria parte. Chi è onorato? Chi onora le creature».

            Avot 4,21: «Questo mondo è come un vestibolo davanti al mondo che viene. Preparati nel vestibolo, affinché tu possa entrare nella sala del banchetto».

            Qualche verso finale de I doveri dei cuori:

 

Anima mia (…)

Svegliati dal sonno

E distingui il luogo

Da dove vieni e verso dove vai

Conosci, sappi

Che anche per te il calice passerà

Quando giungerà il momento dell’Incontro

All’improvviso sarai gettata lontano dalla tua stanza

E ritornerai nel luogo dell’eternità.

Il sentiero dei retti è per intero un commento di questa Baraità[11]: «Da qui Rabbì Pinhas ben Yair ricava: La Torah conduce alla vigilanza, la vigilanza conduce alla dedizione, la dedizione conduce all’innocenza, l’innocenza conduce all’ascesi, l’ascesi conduce alla purezza, la purezza conduce alla pietà, la pietà conduce all’umiltà, l’umiltà conduce al timore del peccato, il timore del peccato conduce alla santità, la santità conduce allo Spirito Santo (che in realtà in ebraico è femminile, Ruah ha-Qodesh) e lo Spirito Santo conduce alla resurrezione dei morti».

4. Un’unica Torah, due Alleanze, quella di Noè (con i suoi 7 precetti) e quella di Mosè (con i suoi 613 precetti): questo è l’insegnamento della Tradizione ebraica, questo è anche l’insegnamento di Yeshua e del cristianesimo non paolino. Le miswot degli uni e degli altri illuminano la nostra vita terrestre, ma anche preparano le nostre anime alle vite future, tessono le vesti di luce indispensabili per godere delle beatitudini celesti.

            Le anime procedono dalla seconda Sefirah, Hokhmah (il pensiero divino) ma compiendo le miswot accedono alla prima Sefirah, Keter (la volontà divina). Il valore numerico di Keter è 620 (613+7): «Questo numero designa i 620 comandamenti dell’ebraismo, e la Qabbalah parla delle 620 colonne di luce che uniscono il mondo dell’Alto al mondo del Basso».[12]

            Non vi è una Nuova Alleanza che si contrapponga a una Vecchia Alleanza, non vi è neppure un’unica Alleanza Vecchio-Nuova che costringerebbe gli ebrei a farsi cristiani o i cristiani a farsi ebrei. Vi è un’unica Torah eterna che contiene molte Alleanze, i molti modi in cui il Santo, benedetto Egli sia, rivela il suo amore per gli uomini e indica le vie per giungere all’incontro con Lui.



[1] A lui è dedicato un capitolo del libro: M. Morselli, I passi del Messia. Per una teologia ebraica del cristianesimo, Marietti, Milano-Genova 2007.

[2] Mi riferisco a quelle che i Romani chiamarono la I e la II Guerra Giudaica. Durante la I venne distrutto il Tempio di Gerusalemme e, riferisce Flavio Giuseppe, non vi erano più alberi in Israele perché centinaia di migliaia di Ebrei erano stati crocifissi dalle truppe di occupazione romane. «Secondo i dati forniti indipendentemente da Giuseppe e da Tacito, oltre 600.000 Ebrei avrebbero trovato la morte nel corso delle operazioni militari, circa il 25% della popolazione, e molti altri vennero fatti prigionieri e venduti come schiavi. Con ciò sembra possibile che qualcosa come la metà della popolazione ebraica sia stata eliminata fisicamente» (J. A. Soggin, Storia d’Israele, Paideia, Brescia 1984, p. 485). Nel 135 i morti furono 850.000 (Soggin p. 492).

[3] E. Wiesel, Sei riflessioni sul Talmud, Bompiani, Milano 2000; Id., Celebrazione talmudica, Lulav, Milano 2002;  A. Steinsaltz, Cos’è il Talmud?,  Giuntina, Firenze 2004.

[4] G. Stemberger, Il Midrash, Dehoniane, Bologna 1992.

[5] A. Safran, Saggezza della Cabbalà, Giuntina, Firenze 1998; Id., Tradizione esoterica ebraica,Giuntina, Firenze 1999; A. Steinsaltz, La rosa dai tredici petali, Giuntina, Firenze 2000; G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi, Torino 1993.

[6] E. Benamozegh, Israele e l’umanità, Marietti, Genova 1990; Id., Il noachismo, Marietti, Genova-Milano 2006; A. Pallière, Il Santuario sconosciuto, Marietti, Genova-Milano 2005.

[7] E. Benamozegh., Morale ebraica e morale cristiana, Marietti, Genova 1997.

[8] Detti dei Rabbini, Qiqajon, Bose 1993.

[9] Bahya ibn Paquda, I doveri  del cuore, Paoline, Milano 1988.

[10] M. H. Luzzatto, Il sentiero dei giusti, San Paolo, Milano 2000.

[11] Un insegnamento non incluso nella Mishnah, ma pur sempre autorevole.

[12] J. Eisenberg e A. Steinsaltz, Le chandelier d’or, Verdier, Paris 1988, p. 356.



Lunedì, 12 novembre 2007