Conoscere l’ebraismo
Introduzione a E. Benamozegh, «Storia degli esseni»

Marietti, Genova-Milano 2007.


di Marco Morselli

Ringraziamo Marco Morselli per averci messo a disposizione questa recensione.


«Duemila anni dopo l’inizio della grande diaspora che è seguita alla distruzione del Secondo Tempio, per la prima volta si fa udire una voce che si riaggancia al tempo dei profeti ebrei. Dopo la lunga parentesi di questa notte diasporica, riprende il tempo in cui i profeti ebrei parlavano simultaneamente in ebraico per Israele e nelle settanta lingue per le nazioni. Dopo un’eclisse di un secolo, ecco che Elia Benamozegh è di nuovo presente, nostro contemporaneo nel cuore di questo problema, tenuto conto dei due  grandi eventi storici che ha presagito e al di fuori dei quali il suo messaggio non sarebbe stato possibile: la restaurazione della società ebraica da un lato e la riabilitazione del discorso cabbalistico dall’altro. Ai suoi tempi parlare di Ebraismo e di Qabbalah significava profetizzare nelle tenebre».(1)

            Le parole con le quali Rav Léon Askénazi (1922-1996) (2), un grande maestro sefardita del XX secolo, rende omaggio a un grande maestro sefardita del XIX secolo aprono gli occhi sulla portata dell’impresa iniziata da Benamozegh intorno al 1860. In quell’anno infatti l’«Alliance Israélite Universelle» aveva bandito un concorso con il quale chiedeva di esaminare quali fossero gli elementi che l’ebraismo aveva trasmesso alle religioni che l’avevano seguito. Benamozegh si mise all’opera e nel 1863 spedì a Parigi un manoscritto intitolato Essai sur l’origine des dogmes et de la morale du christianisme (3). In quegli stessi anni egli teneva “a un’eletta schiera di giovani livornesi” un corso triennale di lezioni che venne poi pubblicato con il titolo Storia degli esseni (4).

            Negli esseni egli intravedeva “i predecessori della buona nostra Teologia”(ossia della Qabbalah) e nella loro storia “una fonte ricchissima di elementi atti a spiegare l’origine del cristianesimo”. Ma per cercare di capire il significato della sua opera occorre fare un passo indietro e avvicinarsi agli anni di formazione del giovane Benamozegh.

            Perduto ben presto il padre, Avraham, Elia era stato allevato dalla madre Clara e dallo zio Yehudah Coriat, un cabbalista proveniente da Fez, in Marocco. Vi erano stati collegamenti molto importanti tra Livorno e il Marocco. Si pensi a Hayyim ben Atar (1696-1743) che vi insegnò per più di un anno nel 1739 prima di pubblicare Or ha-hayyim, il suo commento alla Torah, e di andare a fondare la sua Yeshivah a Gerusalemme. Egli ha nel mondo sefardita un’importanza pari a quella che il Baal Shem Tov  (1700-1760) ha nel mondo aschenazita. Di famiglia marocchina era anche Hayyim Azulai (1724-1807), un cabbalista che trascorse a Livorno gli ultimi trent’anni della sua vita. Lo stesso Benamozegh nella Introduzione al Berit Avot di suo cugino Avraham Coriat (Livorno 1862) sottolineava con forza il suo legame con la Tradizione marocchina: «Questa è dunque la Tradizione alla quale ho l’onore di ricollegarmi: questa Tradizione sviluppa le sue radici nel Maghreb, e non ha mai conosciuto interruzioni: i padri hanno acquisito dei meriti per i figli, e lo studio non si è mai spento nelle loro bocche». (5)

Insieme allo zio Yehudah lesse per ben due volte lo Zohar, un’opera che fu dunque di fondamentale importanza nella sua formazione. Occorre tenere presente che vi è uno speciale rapporto tra lo Zohar e la città di Livorno, dal momento che in quella città  furono fatte cinque edizioni dell’opera tra XVIII e XIX secolo. Lo stesso Elia, che nel 1839 a 16 anni aveva già debuttato come scrittore firmando l’Introduzione a un’antologia di scritti cabbalistici scelti dallo zio (6), insieme a S. Leoni e Y. Millul pubblicò un’edizione dello Zohar nel 1851. (7)

            Ora, è proprio lo Zohar ad attribuire uno straordinario significato a quegli anni: «Nel 600° anno del 6° millennio [l’anno 5600 corrisponde all’anno 1840] le porte della conoscenza della Torah si apriranno dall’alto simultaneamente alle porte della conoscenza dal basso». (8) Questo ci fa capire in quali orizzonti Benamozegh inserisse la sua attività di quegli anni.

            Non va inoltre dimenticato che egli partecipò alle vicende del Risorgimento e salutò con entusiasmo la nascita del Regno d’Italia e le nuove possibilità che  essa apriva agli ebrei italiani con l’estensione dello Statuto Albertino.

            2. Prima della scoperta dei rotoli del Mar Morto conoscevamo gli esseni solo grazie a Filone, Flavio Giuseppe, Ippolito e Plinio.(9) Sapevamo che essi conducevano una vita filosofica: ripudiavano i piaceri come un male e cercavano la virtù nel resistere alle passioni, disprezzavano la ricchezza e vivevano in ammirevole vita comunitaria, ciascuno dava ciò di cui disponeva a chi ne aveva bisogno e riceveva ciò di cui necessitava. Uomini, e donne, capaci di dominare l’ira, costruttori di pace (così li definisce Flavio Giuseppe) che non temevano la morte e credevano nella resurrezione dei corpi. La loro giornata vedeva l’alternarsi di lavoro e preghiera, immersioni nel miqweh e partecipazione alla seudah, il pasto comunitario nel quale la mensa simboleggia l’altare, anticipazione del banchetto al quale parteciperà la coppia messianica formata dal Kohen, che per primo pronuncerà la benedizione sul pane e sul vino, e dal Re Messia.

            Generazioni di studiosi erano stati affascinati dal loro genere di vita, sorpresi dalle affinità con il cristianesimo e sconcertati dalla contraddittoria presenza di questi “cristiani prima di Cristo”(10).

            Nella primavera del 1947 un giovane pastore beduino di nome Mohammed inseguendo una pecorella smarrita scopre in una grotta nei pressi di Qumran rotoli di pergamena manoscritti, accuratamente avvolti in tela di lino, sigillati con bitume e riposti in giare di argilla.

            E’ iniziata da allora un’avventura che ha trovato una prima conclusione con la pubblicazione e traduzione in molte lingue dei testi principali. (11) Complessivamente si tratta di circa 15.000 frammenti di circa 850 manoscritti, composti tra il III sec. a.e.c. e il I sec. e. c. In prima approssimazione, e utilizzando criteri anacronistici, possiamo dire che si tratta di testi di tre tipi: biblici, apocrifi o psedoepigrafi, settari o comunitari.

            Alla fine del 1951 ebbe inizio la prima campagna di scavi diretta da De Vaux e Harding e per la prima volta si iniziò a mettere in relazione quelle rovine, che fino ad allora non avevano destato l’interesse di nessuno, da un lato con i manoscritti e dall’altro con gli esseni di cui parlavano le fonti antiche.

            Come ha osservato Lawrence Schiffman, per un mondo che ancora stentava  a rimettersi in piedi dopo la Seconda Guerra Mondiale e la Shoah sembrò quasi una nuova rivelazione. L’interesse principale fu in primo luogo rivolto a quello che i manoscritti potevano dire di nuovo sulle origini del cristianesimo e «i mass media e il pubblico ebbero seri problemi a distinguere la spesso sottile differenza tra l’uso dei rotoli per illuminare il background della Cristianità – una impresa accademica legittima e necessaria – e la confusa lettura dei rotoli come testi cristiani». (12) Solo in un secondo tempo i testi vennero recuperati alla storia dell’ebraismo, sottolineandone p. e. l’importanza per l’evoluzione della Halakhah, poiché contenevano una legislazione che precedeva di due secoli la redazione della Mishnah. (13)

           

            3. «Le corti, le cisterne e i laboratori della Comunità di Qumran non sono oggi che rovine bruciate dal sole, oggetto di curiosità beata per i turisti e di dibattiti per i ricercatori, ma con il loro silenzio simboleggiano un desiderio possente di indipendenza che fu violentemente e tragicamente schiacciato dalle legioni romane». (14)

            In età ellenistico-romana, tra la fine della profezia (fine V sec a. e. c.) e quelle che solo facendo proprio il punto di vista romano possono essere chiamate le Guerre Giudaiche del I e II sec. e. c.  sorge e si sviluppa un movimento messianico ebraico (apocalittico, enochico) dapprima alleato dei Maccabei, poi in opposizione agli Asmonei, agli Erodiani, ai Romani. Questo movimento apparentemente non sopravvive alle catastrofi, Shoot, (15) del 70 e del 135: «Se l’ebraismo e il cristianesimo rappresentano all’origine forze di resistenza all’oppressione e alla sofferenza, non sono giunti sino a noi che sotto le forme che i dirigenti dell’Impero romano avevano autorizzato o perlomeno tollerato» (16), ossia il fariseismo moderato di Yohanan ben Zakai e il cristianesimo ellenistico di Shaul/Paolo.

            Il messaggio del movimento messianico ebraico venne soffocato e condannato all’oblio e alla clandestinità, per millenni, fino alla scoperta dei rotoli del Mar Morto. Allora, le voci sepolte nelle grotte hanno riiniziato a farsi sentire, non solo tra le rovine abbandonate del deserto, ma in molte parti del vasto mondo.

           

4. «Qui si maturano i grandi pensieri, qui si elaborano le grandi dottrine che usciranno salve ed illese dal grande naufragio». Membri di una setta, appartenenti ad un ordine monastico, vittime di una Halakhah ossessiva, fanatici nazionalisti e xenofobi, adepti di spiritualità orientali: gli esseni non sono nulla di tutto questo. Per Benamozegh essi sono gli esponenti più elevati della spiritualità ebraica, i predecessori dei cabbalisti e i rappresentanti di quell’ebraismo da cui è nato il cristianesimo.

Gli Angeli del Signore erano presenti tra loro, e loro decisero di affrontare il mondo dell’impurità con le acque di vita della tevilah (immersione nelle acque vive, battesimo) e con le parole di vita della Torah. Il loro combattimento ha avuto una forza tale, che in duemila anni ha raggiunto, sia pure in forme diverse, e tra loro contrastanti, più della metà dei figli di Adamo attualmente viventi. Se non ce ne rendiamo conto, è perché contemporaneamente è all’opera il raz ha-ra, il mysterium iniquitatis, le cui due colonne sono la teologia della sostituzione e l’insegnamento del disprezzo, o dell’odio.

            Che gli esseni non potessero essere definitivamente scomparsi dalla storia Benamozegh lo sapeva: «Meglio che scomparsa, meglio che estinzione, si dovrebbe chiamare questo sottrarsi degli ebrei cabbalisti dalla scena del mondo un’eclissi temporanea, un ritiramento nelle più segrete latebre dell’ebraismo, un nascondimento precario a guisa di quei fiumi che ad un tratto avallando e sprofondandosi nelle viscere della terra si aprono una via sotterranea per miglia non poche, onde erompere di nuovo alla superficie del globo e lo antico corso seguire alla luce del sole». Ancora pochi decenni, e una pecorella avrebbe condotto gli studiosi e gli smarriti sulla buona strada.(17)

            Parlare di un cristianesimo prima di Cristo o senza Cristo è palesemente assurdo, ma non lo è affatto  parlare di un messianismo che precede la nascita di Yeshua. Occorre reinserire il movimento dei discepoli di Rabbì Yeshua ben Yosef all’interno del messianismo ebraico. Il che non vuol dire che in quel contesto debba sparire la sua specificità. Non si tratta di “cristianizzare” gli esseni, ma al contrario di restituire il cristianesimo delle origini al suo contesto ebraico.

            Molte difficoltà nascono dalla proiezione del cristianesimo del IV sec. sul cristianesimo del I sec., dalla sostituzione della Ecclesia ex gentibus alla Ecclesia ex circumcisione. Nel 29 proclamare: «Tu sei il Messia» non voleva dire cambiare religione, ma sfidare la potenza romana.

            Non già la conversione degli ebrei al cristianesimo, ma il ritorno del cuore dei figli ai loro padri e del cuore dei padri ai figli annuncia Malachia, il sigillo dei Profeti: «Allora, la conciliazione sognata dai primi cristiani come una condizione della Parusia o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel grembo della Chiesa (…) si effettuerà in verità non nel modo in cui si è voluto attenderla, ma nel solo modo serio, logico e durevole, soprattutto nella sola maniera vantaggiosa per la nostra specie [l’umanità]. Sarà come lo dipinge l’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, un ritorno del cuore dei figli ai loro padri e di quello dei padri ai loro figli (Ml 3,24), vale a dire dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate». (18)

Marco Morselli

Università di Modena e Reggio Emilia

Sukkot 5767

           

NOTE

  1. L. Askénazi, La Parole et l’Ecrit, Albin Michel, Paris 2005, II, 476-477.
  2. Ricorre quest’anno il decimo anniversario della Sua scomparsa : il Suo ricordo sia in benedizione.
  3. E. Benamozegh, L’origine dei dogmi cristiani, Marietti, Genova 2002; Id., Morale ebraica e morale cristiana, Marietti, Genova 1997.
  4. Id., Storia degli esseni, Le Monnier, Firenze 1865.
  5. Citato in A. Guetta, Filosofia e Qabbalah. Saggio sul pensiero di Elia Benamozegh, Thalassa De Paz, Milano 2000, 151.
  6. Maor wa-shemesh, Livorno 1839.
  7. Zohar, Belforte, Livorno 1851.
  8. Zohar I, 117a.
  9. Cfr. The Essenes According  to the Classical Sources, a c. di G. Vermes e M. D. Goodman, Sheffield, Oxford 1989; E.-M. Laperrousaz, Gli Esseni secondo la loro testimonianza diretta, tr. it. di T. Teosatti, Queriniana, Brescia 1988.
  10. A sostegno delle tesi di Benamozegh, va ricordato che lo stesso genere di reazioni suscitava    Filone di Alessandria, da alcuni considerato come Padre della Chiesa ante litteram.
  11. Testi di Qumran, a c. di F. Garcia Martinez e C. Martone, Paideia, Brescia 2003.
  12. L. H. Schiffman, Inverting Reality: the Dead Sea Scrolls in the Popular Media (2005) in www.brill.nl.
  13. Id., Reclaiming the Dead Sea Scrolls, Doubleday, New York 1995.
  14. N. A. Silberman, La verité de Qumran, tr. fr. di J.-F. Sené, Stock, Paris 2003, 393.
  15. Ecco un modo non negazionista di negare la «unicità» della Shoah. Scrive Rav Léon Askénazi: «Vi è una differenza tra Hurban e Shoah. Il Hurban è una distruzione che si può ricostruire. Così, il Primo Tempio, distrutto dai Babilonesi, ma che fu ricostruito; così il Secondo Tempio, distrutto da Roma, e che sarà ricostruito. Ma la Shoah è una distruzione che non ha restaurazione possibile» (op. cit., 487). Ora, nel I e II sec. abbiamo avuto sia Hurban che Shoah: «Secondo i dati forniti indipendentemente da Giuseppe e da Tacito, oltre 600.000 Ebrei avrebbero trovato la morte nel corso delle operazioni militari, circa il 25% della popolazione, e molti altri vennero fatti prigionieri e venduti come schiavi. Con ciò sembra possibile che qualcosa come la metà della popolazione ebraica sia stata eliminata fisicamente» (J. A. Soggin, Storia d’Israele, Paideia, Brescia 1984, 485). Nel 135 i morti sarebbero stati 850.000 (Soggin, 492).
  16. N. A. Silberman, op. cit., 402.
  17. E chissà cosa riserva l’avvenire. André Chouraqui, per il quale solo le utopie sono reali, mi disse una volta di aver proposto a Bruno Hussar (1911-1996, anche per lui ricorre il decimo anniversario della scomparsa: il Suo ricordo sia in benedizione) di ridar vita a una Comunità di esseni.
  18. E. Benamozegh, Israele e Umanità (Introduzione). Il mio Credo, a c. di L. Amoroso, ETS, Pisa 2002, 131-2; Id., Israele e l’umanità, a c. di M. Morselli, Marietti, Genova 1990, 30.

Nota del curatore

La Storia degli esseni venne pubblicata da Le Monnier nel 1865 (522 pp.). Nel 1979  Armando De Francesco curò un’edizione ridotta dell’opera, “ripulita dei molti manierismi ottocenteschi”, che uscì con il titolo Gli Esseni e la Cabbala per i tipi dell’Editrice Armenia (Milano 1979). Nonostante le iniziali perplessità, è tale edizione ridotta che è alla base della presente edizione. La abbiamo però confrontata con l’edizione del 1865 e in molti casi siamo intervenuti a favore di una maggiore fedeltà all’originale. Abbiamo recuperato un certo numero di passi importanti: per fare solo due esempi, la Prefazione e l’ultimo capoverso dell’opera erano stati tralasciati.

Ci conforta il pensiero che, a differenza di quanto accade per altre opere di Benamozegh, è sempre possibile il confronto con il testo da lui pubblicato e ci auguriamo anzi che un rinnovato interesse per quest’opera possa portare a un’edizione anastatica. Siamo però lieti di riportare alla luce in una nuova veste un testo di così grande valore.

I titoli dei capitoli sono redazionali. I riferimenti biblici e le traslitterazioni dall’ebraico sono stati modernizzati e conformati ai criteri editoriali di questa collana. Quando possibile, sono state completate le citazioni bibliografiche. Desidero ringraziare il Dr. Giacomo Limentani, laureatosi alla «Sapienza» con una tesi sulla purità rituale a Qumran e studente del Collegio Rabbinico Italiano, che mi ha aiutato per le citazioni della letteratura talmudica, midrashica e cabbalistica.

Desidero inoltre ringraziare il Prof. Alberto Melloni, dell’Università di Modena e Reggio Emilia e della Fondazione per le scienze religiose di Bologna, che, concedendomi una Borsa di ricerca, mi ha consentito di avere più tempo da dedicare agli esseni.



Lunedì, 05 novembre 2007