Ancora sull’Oremus
Breve risposta a don Gaetano Castello

(Responsabile dell’Ecumenismo e Dialogo della Diocesi di Napoli)


di Marco Morselli

Tra le molte considerazioni ragionevoli e condivisibili contenute nel Suo articolo, vorrei segnalare alcuni punti meritevoli di ulteriore approfondimento.
Lei scrive: «Il cristianesimo è per sua natura missionario». Bene. Purché ci si ricordi che la missione è partita da Gerusalemme, dagli ebrei della Ecclesia ex circumcisione, e che era rivolta alle genti, non viceversa.
Poi prosegue: «E’ perciò naturale che i cristiani preghino per la conversione del mondo intero, e in particolare per Israele». Lasciando per il momento da parte la questione della conversione del mondo intero, per quanto riguarda Israele non è così. Altro è che i cristiani desiderino che il Messia sia riconosciuto da Israele, altro è che sperino e preghino per la «conversione» d’Israele.
Quando Gesù predica: «Shuvù!» (Mt 4,17) (stessa radice di teshuvah) vuol dire: «Ritornate a Adonai Elokim!» e non : «Cambiate religione!», «Smettete di essere ebrei!» «Ripudiate la perfidia giudaica!» come da secoli e in parte tuttora i cristiani ex gentibus credono.
Altro è che i cristiani siano testimoni della messianicità di Gesù, anche e innanzi tutto nei confronti d’Israele, altro è che facciano coincidere tale testimonianza con la speranza della apostasia d’Israele.
E’ questo il punto che chiede urgentemente di essere chiarito, perché ebrei e cristiani possano unire le loro forze e operare insieme per il tiqqun del mondo.
E’ un vero e proprio capovolgimento di paradigma a costituire la premessa della venuta, o del ritorno, del Messia d’Israele e dell’umanità.
In cordiale dialogo,

Marco Morselli
Roma, 25 adar 1° 5768
1° marzo 2008



Domenica, 02 marzo 2008