MGF - Africa
Vagina, Vagina, Vagina!

di Sally Blakemore (Trad. M.G. Di Rienzo)

Ringraziamo Maria G. Di Rienzo[per contatti: sheela59@libero.it]per averci messo a disposizione questa sua traduzione.
Sally Blakemore è direttrice creativa dell’Arty Projects Studio Ltd., produce e disegna libri da più di dieci anni lavorando per numerose case editrici.


All’inizio del febbraio scorso, ho partecipato alla Conferenza dei movimenti di base che lottano per porre fine alle mutilazioni genitali femminili (MGF) in Kenya. Con me c’era Cecile Litworth, direttrice esecutiva della Campagna mondiale per il Giorno-V. (“I monologhi della vagina” fu messo in scena dall’autrice Eve Ensler per la prima volta a New York, oltre 10 anni fa, e da allora è stato riproposto in tutto il mondo da attrici vincitrici di Oscar, studentesse nei campus e organizzazioni di attiviste. Il Giorno-V, come l’evento è stato chiamato, è parte di Mondo-V, un movimento globale che ha lo scopo di fermare la violenza contro donne e ragazze. Nel 1997, Eve Ensler si incontrò con un gruppo di femministe e da quell’incontro prese forma l’idea di tenere dei Giorni-V. La messa in scena dei Monologhi aiuta a raccogliere fondi per i gruppi locali che lavorano per fermare ogni tipo di violenza verso le donne ed a destare consapevolezza sui diritti delle donne. Ndt.)
Era la seconda volta, per me. Nel 2005, mentre lavoravo come reporter per la rivista “Mothering”, partecipai alla Conferenza africana dei movimenti di base che lottano contro le MGF assieme a Candace Walsh della rivista suddetta.
Kumusha, una band africana marimba di dieci membri con cui ho suonato a Santa Fè per cinque anni, era allora il mio unico legame con la cultura africana. Cominciai a fare ricerche sulla pratica delle mutilazioni, e scoprii che essa risale a circa 5.000 anni or sono, ed è legata alla convinzione animistica che le donne possano autofecondarsi perché, alla nascita, i loro genitali sono percepiti come se nascondessero all’interno un piccolo pene e dei testicoli.
Grazie a questo antico filtro patriarcale, l’intera vagina, la vulva, la clitoride e le labbra sono rimosse, tagliate sino all’osso pubico e ricucite in modo da lasciare un forellino delle dimensioni di un filo di paglia da cui far uscire l’urina ed il flusso mestruale. Per avere rapporti sessuali, le donne vengono riaperte con un coltello o con un corno di animale, di modo da permettere al pene di entrare. Le donne, ovviamente, non provano alcun piacere durante l’atto sessuale. Se non lo avete ancora visto, andate a vedere il film Molaadè, che racconta l’intera storia dell’attivismo nato attorno a questa istanza di diritto umano.
Agnes Pareyio, venticinque anni fa, si mise in moto per far sì che nessun’altra bimba venisse mutilata. Lei lo è stata, ed in maniera molto brutta e profonda, ed ha partorito quattro figli all’interno di un matrimonio forzato. Il parto, in queste condizioni, diventa un problema orribile. Il tessuto cicatriziale che si forma nell’area genitale è duro e spesso, e accade che durante il travaglio il nascituro sia forzato ad uscire di lato, distruggendo la vescica nel processo. Molte donne vivono nei villaggi delle “abbandonate”, dopo questa esperienza, perché non sono più in grado di controllare gli intestini e l’urina.
Incontrare le ragazze alla Casa-rifugio (Tasaru Rescue House) di Agnes mi ha coinvolta in modo molto intenso, e decisi che avrei lottato al loro fianco quando una di esse mi raccontò come si sentisse tradita da suo padre, che l’aveva letteralmente buttata fuori dal villaggio a causa della sua scelta di mantenere i propri genitali intatti e di voler avere un’istruzione. “L’istruzione prima di tutto” è il motto delle attiviste, da queste parti.
Agnes allora mi disse: “Quando scopri che la tua cultura ti tradisce a causa del tuo genere capisci molte altre cose, e ciò lascia un’apertura al perdono e alla riconciliazione. E quando sei un’attivista di base ti sembra che il tempo scorra molto lentamente. Devi essere amichevole, paziente e dura come una roccia con i poteri con cui ti confronti. Devi sensibilizzare gli uomini dei villaggi, e mostrare loro quanto dolore si accompagna ad una vecchia e inutile pratica tradizionale.”
Quando quest’anno, alla Conferenza, ho incontrato di nuovo la giovinetta che mi aveva commosso con il suo coraggio, l’ho trovata felice e sicura di sé. Ha terminato gli studi alla Casa-rifugio ed ora frequenta il liceo a Narok, in Kenya, protetta da una nuova legge sui diritti umani che è stata votata dal governo grazie alle pressioni delle attiviste. Ora una ragazza può scegliere di studiare, invece di piegarsi ad un matrimonio imposto.
Alla Conferenza, Cecile Lipworth ha illustrato il concetto di Giorno-V e la rete internazionale che vi ruota attorno. Ha invitato le rappresentanti dei movimenti ad organizzare un Giorno-V di beneficenza nei loro paesi (19 complessivamente) ed ha concluso con l’invito a dire VAGINE, VAGINE, VAGINE in tutti i dialetti e le lingue presenti nella stanza. A momenti crollava la casa! La maggioranza del pubblico era di fede musulmana, e alcuni dei pochi uomini in sala hanno detto che a loro è proibito usare quella parola. Un guerriero Masai, sposato ad una docente inglese di Cambridge, si è spinto a dire: “Se dio avesse voluto che noi dicessimo quella parola, egli (egli, ovviamente, ndt.) l’avrebbe posta (la vagina) nella testa delle donne, e non l’avrebbe nascosta in mezzo alle loro gambe.”
Ma nessuno alla Conferenza gli ha dato ascolto. Le donne, musulmane o no, erano tutte in piedi e urlavano VAGINE, VAGINE, VAGINE, con quanto fiato avevano. Le attiviste di Gambia ed Egitto si sono poi impegnate a tenere il Giorno-V nei loro paesi.
Durante il viaggio di ritorno, ero in un furgone aperto zeppo di donne orgogliose che cantavano sull’aria della grande canzone di pace di John Lennon: “Tutto quel che stiamo dicendo è: date alle vagine una possibilità”. Gli uomini che ci guardavano passare erano totalmente basiti. E’ stato grandioso.
Le donne africane sono state chiare con noi: hanno bisogno di risorse. Hanno salvato decine di migliaia di bambine e ragazze, facendo approvare leggi e restando ferme nel loro convincimento che è possibile cambiare questo cruento rito di passaggio e sostituirvene altri, che includano l’istruzione delle fanciulle. Sono state le donne africane ad aprirmi gli occhi su quanto è tossica la cultura occidentale: le tecniche predatorie del mercato per adescare le ragazze quali consumatrici; la castrazione delle loro menti anziché dei loro genitali, che ha avuto ed avrà un effetto a lungo termine sulle nostre lotte.
Le donne africane erano oltraggiate all’idea che si insegni alle ragazze che la menopausa è una malattia da trattare ad estrogeni e impianti di silicone, e le fa urlare l’idea che le donne si rifacciano il viso o i genitali per essere più “appetibili” sessualmente per gli uomini. E’ la stessa idea di qui, mi hanno detto, la definizione patriarcale di ciò che una donna dev’essere: bellezza e sesso per il piacere degli uomini.
Queste donne africane sono un meraviglioso esempio per noi. Mi hanno mostrato con quanto vero coraggio si può dire “No”. Se una donna è in grado di dire “No” ad un uomo o ad una cultura che la sta forzando a far qualcosa che lei non vuole, questo è il primo passo. La violenza contro donne e bambine/i è tenuta nascosta in tutte le culture. Negli Usa gli incesti sono in aumento, e di recente ho scoperto che i chirurghi plastici offrono “passerine perfette” e “design vaginale” come soluzione per avere relazioni di lunga durata con gli uomini i quali, sostengono i chirurghi, hanno “più bisogno di sesso di quanto ne abbiano le donne”...
Come dicevo, le donne africane ci hanno chiesto aiuto. Al Fondo per porre fine alle MGF servono dieci milioni di dollari per costruire Case-rifugio in diciannove paesi africani. Potete dare il vostro contributo tramite l’ong “Equality Now” (www.equalitynow.org ). Avere fiducia nei nostri valori di donne in questo mondo, e dare ad ogni preziosa bambina la possibilità di andare a scuola e di crescere in modo naturale, sono cose che miglioreranno la vita di tutti.



Sabato, 24 marzo 2007