Ringraziamo Maria G. Di Rienzo[per contatti: sheela59@libero.it]per questo suo intervento.
Aqsa Parvez è stata uccisa lunedì 10 dicembre 2007, a Missisauga, in Canada, strangolata da suo padre. Aqsa, la cui
famiglia è di origine pakistana ma che era nata in Canada, aveva 16 anni e frequentava il liceo. Ogni mattina si metteva
l’hijab e infilava un paio di pantaloni larghi; arrivata a scuola si toglieva il fazzoletto e andava a cambiarsi,
indossando i jeans. I lividi che aveva addosso li avevano visti tutti, in classe. I genitori o uno dei fratelli, che la
seguivano e la spiavano dalle finestre del liceo, anche. Aqsa aveva chiesto ospitalità alle amiche più volte, diceva che
non poteva più vivere in quella casa: aveva ragione. Infatti, quando ci è tornata per prendere alcune sue cose, giacché in
quel momento era ospite dell’amica Krista Garbutt, è stata ammazzata. Anche questo la ragazza l’aveva previsto: “Mio padre
mi ucciderà.”, ha detto giorni prima ai compagni di scuola, che non l’hanno presa sul serio. Non si muore per un pezzo di
stoffa in testa, andiamo. E naturalmente Aqsa era libera di mettersi o togliersi il “velo”, no? Non mi risulta neppure che
sul Corano stia scritto: “E se tua figlia non obbedisce ai tuoi ordini strangolala con le tue mani”.
“Suo padre non faceva che tormentarla con musulmano questo e musulmano quello, ma lei voleva solo vivere, e dimostrare che
si poteva aver fede anche in altri modi.”, racconta Alex Prasad, uno dei suoi compagni. “I suoi parenti venivano a scuola,
entravano dall’ingresso posteriore per spiarla, per vedere se aveva addosso l’hijab oppure no.”, aggiunge un altro
studente, Joel Brown, “Aqsa aveva paura. Una volta abbiamo visto suo fratello e lei è corsa a mettersi la sciarpa in testa,
terrorizzata. Mi aveva detto che suo padre intendeva ammazzarla, ma spesso si dicono queste cose e non mi sarei mai
aspettato di non rivederla a scuola.” Muhammed Parvez, il padre 57enne, non ha mostrato la minima emozione durante la sua
prima apparizione in tribunale a Brampton. Suo figlio Wadaq, 26enne, è accusato di aver tentato di ostacolare le indagini
sulla morte della sorella.
Non riporto le scemenze sugli ormoni degli adolescenti e i tentativi di sviare la questione sulle “diversità culturali”,
che ovviamente ora impazzano sulla stampa canadese. Si sta persino tentando di screditare le testimonianze dei compagni e
delle amiche di Aqsa. Non dev’essere l’hijab. Non se ne può parlare. E’ una semplificazione. Se lo saranno inventato. Aqsa
non è più qui a dirci com’è andata, giusto? Allora banchettiamo anche su questo cadavere.
Se ne volete altri spostiamoci a Bassora, Iraq, dove quest’anno i vigilantes religiosi hanno ucciso e allegramente mutilato
solo quaranta donne che “violavano gli insegnamenti islamici”. Se ne andavano in giro senza hijab. E per questo, dopo
essere state ammazzate e fatte un po’ a pezzi, sono state sepolte a mezzo nella spazzatura, con bigliettini appiccicati
addosso che spiegano come i loro abiti fossero inadeguati. Non bastano? Andiamo a Sulaimaniyah, Kurdistan iracheno: le
donne ammazzate quest’anno sono quattrocento. Le più fortunate sono morte a colpi d’arma da fuoco o strangolate come Aqsa,
ma sono pochissime. La stragrande maggioranza è stata bruciata viva dopo un pestaggio più o meno pesante. Alcuni sono
“suicidi”: si chiude la ragazza o la donna battuta da qualche parte con tutto il necessario, che provveda da sola. Un uomo
di Kirkuk è stato fortunosamente fermato prima che potesse uccidere la sorella, anti-islamica malvestita sgualdrina senza
velo. Quando durante l’interrogatorio gli hanno chiesto perché volesse ammazzare la donna ha risposto: “Secondo me è
un’adultera. E adesso siamo in democrazia, no?” Direi che è una splendida sintesi dell’idiozia religiosa e laica, e la
dimostrazione pratica di come il terrorismo contro le donne non abbia confini: è multiculturale.
Maria G. Di Rienzo
(Fonti: contatti personali, The Guardian, The Associated Press, Reuters, CNN)
Venerdì, 14 dicembre 2007
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