«La donna pastora ha demitizzato il clero: una rivoluzione»

Intervista a Gianna Sciclone la prima donna pastora della Chiesa Valdese


a cura di Gaëlle Courtens

Roma (NEV), 8 agosto 2007 - Per i 40 anni dalla consacrazione della prima pastora donna da parte della Chiesa evangelica valdese il prossimo 24 agosto la segreteria del Corpo pastorale delle chiese valdesi e metodiste invita alla Giornata teologica “Giovanni Miegge” 2007 sul tema: “Che accade quando in un ruolo compare la presenza delle donne?”. La Giornata di studio si terrà a Torre Pellice (TO) presso l’aula sinodale e vedrà la partecipazione di Erika Tomassone, Serena Noceti, Franca Long, Daniela Di Carlo. In occasione di questa ricorrenza l’Agenzia stampa NEV ha intervistato Gianna Sciclone, la prima donna pastora della chiesa valdese, consacrata nel 1967. (Per approfondire vedi la scheda sul pastorato femminile in questo numero).

Ci può spiegare com’è giunta alla decisione di fare la pastora? Cosa l’ha spinta a rispondere a questa vocazione?
Alla fine degli anni ’50 frequentavo i campi giovanili. Ad “Adelfia” in Sicilia è stato subito possibile anche per le ragazze assumere un ruolo, per cui commentavo la Bibbia e guidavo le preghiere, e la cosa mi piaceva molto. Già da bambina avevo un sogno: quello di diventare missionaria in Africa, come quell’amica di famiglia che mi raccontava del suo lavoro legato anche alla predicazione. Nel ’60 presi la decisione di iscrivermi alla Facoltà valdese di teologia, laureandomi nel ’66, dopo due anni di permanenza in Germania, e a 4 anni dalla decisione del Sinodo valdese di introdurre il pastorato femminile. Prima di me altre donne avevano studiato teologia, ma effettivamente fui la prima, nel ’67 ad essere consacrata pastora.

Com’ha vissuto il primo impatto con la comunità che le era stata affidata?
Subito dopo la consacrazione fui mandata nel mio paese natale a Vittoria, in Sicilia. Il primo impatto non fu tanto felice. Ma erano gli anni della contestazione. I venti del ’68 arrivarono anche lì, e non fu chiaro se le incomprensioni erano imputabili al fatto che io fossi donna, o piuttosto al fatto che la chiesa più in generale si trovava in una strettoia rispetto al suo ruolo nella società. Andai a lavorare un paio d’anni ad Agape, il Centro ecumenico fondato dal pastore Tullio Vinay nelle Alpi Cozie. In seguito mi fu assegnata la comunità di San Giovanni Lipioni in Abruzzo, dove sono stata letteralmente adottata sia come donna pastore che come leader spirituale.

Da un punto di vista teologico ha notato negli anni delle innovazioni dovute all’introduzione della donna nel pastorato?
E’ difficile in uno spazio cosi ristretto qual è l’intervista rispondere ad una domanda che meriterebbe una riflessione ampia ed articolata. Anche perché ci sono tanti fattori interdipendenti da prendere in considerazione. Diciamo che il fatto che la donna fosse entrata a far parte a pieno titolo del ministero pastorale ha senz’altro contribuito a “declericalizzare” la chiesa. Anche nella tradizione protestante c’è ed è sempre esistita la tentazione di un clero ben preciso che fosse pieno di risposte e certezze. La donna inevitabilmente demitizza, e ha demitizzato anche il ruolo del pastore. E’ stata questa la vera rivoluzione nella chiesa. Naturalmente si è fatta strada negli ultimi 40 anni anche la teologia femminista, grazie alla quale si è giunti alla consapevolezza che non esiste un pensiero teologico universale.

Nel corso della sua lunga attività pastorale ha potuto notare dei cambiamenti nei suoi colleghi maschi? Secondo lei hanno beneficiato del fatto di avere delle colleghe donna?
Ritengo che nel complesso le trasformazioni avvenute nel pastorato siano positive. Va detto che inizialmente e per lunghi anni, noi donne pastore abbiamo faticato molto a far capire il nostro punto di vista. I colloqui pastorali spesso finivano per essere la dimostrazione del fatto che c’era una incompatibilità tra i due sessi e modi di concepire il proprio ruolo. Ci abbiamo messo tanto solo a fare capire loro che esiste un punto di vista diverso, e che, anche se diverso, ha tutto il diritto ad essere espresso e preso in considerazione.

Pensa di essere stata una figura di riferimento importante per le giovani donne che sono venute dopo di lei?
Mi rendo conto di aver fatto per tanti versi da battipista ad altre colleghe e di aver rappresentato quel modello di autonomia e indipendenza che forse le ha incoraggiate a percorrere la propria strada. In fondo, a fare questo lavoro mi ci sono divertita molto. E non ho finito. Dopo essere stata per tanti anni pastora a Firenze, per concludere il mio servizio sono ora tornata dove mi ero trovata meglio: a Vasto, dove mi sto per trasferire, e dove sarò anche responsabile della piccola comunità di San Giovanni Lipioni. In qualche modo il cerchio si chiude.



Giovedì, 09 agosto 2007