Marocco
Parole di donne

di da Ms. Magazine, agosto 2007
(trad. M.G. Di Rienzo, il nome dell’autrice/autore non è citato)

Ringraziamo Maria G. Di Rienzo[per contatti: sheela59@libero.it]per averci messo a disposizione questa sua traduzione


Sino al 2007, le donne marocchine che sposavano stranieri non potevano trasmettere la cittadinanza ai loro figli i quali, anno dopo anno, dovevano ottenere il permesso di soggiorno per risiedere nel loro stesso paese. Infine, dopo decenni di proteste femministe, il Parlamento ha garantito l’eguaglianza fra madre e padre nel determinare la nazionalità dei figli.

La nuova legge sulla cittadinanza segue la legge familiare del 2004 (Moudawana), che riconosce alle donne tutta una serie di diritti civili. L’età minima per il matrimonio è stata elevata dai 15 ai 18 anni; le donne possono ora sposarsi senza dover ottenere il consenso di un “wali” (tutore maritale maschio); la poligamia è stata ristretta ai casi in cui le mogli, inclusa la nuova sposa, stipulino contratti scritti successivamente approvati da un giudice; e gli uomini non possono più “ripudiare” unilateralmente le loro mogli senza fornire loro un compenso.

Una delle femministe responsabili di tali cambiamenti è Fatima Sadiqi, una studiosa marocchina/berbera docente all’Università di Fes, nonché una linguista che si sta specializzando nello scoprire come uomini e donne usano il linguaggio in Marocco. Ha scoperto che le persone la cui lingua madre è il berbero soffrono di scarso accesso ad informazioni e risorse anche perché parlano quella che viene ritenuta una “lingua femminile”, legata alla casa ed alla terra.

In Marocco predominano l’arabo, il francese e l’inglese, ma più donne e bambine che uomini parlano esclusivamente il berbero, non frequentano le scuole e sono analfabete (in alcune aree rurali si tocca il 90% di donne analfabete).

Fatima Sadiqi ha messo in luce potenti connessioni tra il linguaggio ed i diritti delle donne. “Io vedo il riconoscimento ufficiale del berbero come il riconoscimento delle donne berbere.”, dice Sadiqi, autrice del primo testo di grammatica per quest’antica lingua parlata ancora da milioni di persone. La docente ha anche lottato per l’inclusione della voce delle donne marocchine nell’ambito dell’istruzione: “Volevo aiutare a democratizzare i nostri studi superiori, introducendo gli studi di genere.” E così, quando ha rilevato la totale assenza di testi a firma di donne nei corsi universitari, ha creato il primo programma di studi di genere del Nord Africa.

“Il nuovo Codice di famiglia ha grandemente democratizzato il dibattito sulle istanze delle donne, ed ha introdotto l’idea dell’uguaglianza tra i coniugi. Naturalmente, non tutti credono in questa uguaglianza, ma almeno la gente ne discute.”, dice ancora Sadiqi. Facendo rete con altre femministe marocchine ed acutamente consapevole del potere delle parole, Sadiqi ha fatto campagna per la nuova legge familiare, parlando in tv e scrivendo sui giornali, nonché organizzando grandi conferenze internazionali sulle donne, il linguaggio e lo sviluppo. “Il Re attuale (Mohammed VI) mise in chiaro sin dal suo primo discorso pubblico che intendeva migliorare lo status delle donne.”, racconta, “A livello simbolico, questo è stato di enorme aiuto al movimento femminista, che costantemente deve negoziare le questioni di potere sia con la monarchia sia con gli islamisti radicali.”

Ma molto prima della lotta per il Codice di famiglia, Sadiqi ha usato il suo lavoro sulle lingue ed il potere per dare forza al femminismo marocchino. I suoi studi l’hanno portata a ricevere inviti per tenere docenze all’estero (incluso l’anno scorso che ha passato insegnando ad Harvard) ed al fondare il “Centro Isis per donne e sviluppo” a Fes. Sadiqi è anche l’editrice di un libro che uscirà quest’anno per Feminist Press: “Le donne scrivono l’Africa: la regione del nord”, che include testi orali e scritti provenienti da numerose lingue e culture.

Fatima Sadiqi dice che tutto cominciò nel suo villaggio berbero, dove erano pochissime le donne che sapessero leggere e scrivere. “Lo devo alla mia famiglia, in particolar modo a mio padre, che mi ha portato a scuola e ha sempre creduto in me.”



Mercoledì, 26 settembre 2007