Leila sta imparando a leggere

(trad. Maria G. Di Rienzo)

Ringraziamo Maria G. Di Rienzo[per contatti: sheela59@libero.it]per averci messo a disposizione questa sua traduzione.
La registrazione dell’intervista a Leila è stata realizzata dal regista iraniano Hamid Rahmanian; il pezzo, non identificato con il nome dell’autrice/autore appare su: womenfreedomforum.com, dicembre 2007


Leila era analfabeta, ma ora sta imparando a leggere: “Avevo nove anni quando mia madre cominciò a vendermi. Non capivo cosa stesse succedendo.” Leila è oggi una giovane donna di 22 anni. E negli ultimi due si è presa cura di lei una fondazione privata che soccorre le ragazze indigenti, “Omid E Mehr”, che significa “speranza”.
“Mia madre diceva: Dai, usciamo a comprare qualcosa, della cioccolata magari. Mi ingannava. Io ero molto piccola. Mi portava in quei posti.” Per Leila è difficile parlare del passato, ma noi sappiamo che i “posti” di cui parla sono quelli in cui veniva venduta per danaro, e stuprata. Leila divenne la principale fonte di reddito per una famiglia di cinque persone. L’avvocata che ha in effetti salvato la vita di Leila, Shadi Sadr, è una figura che suscita controversie in Iran. Sebbene sia stata incarcerata, all’inizio del 2007, per aver preso parto a manifestazioni per i diritti umani, è grandemente rispettata e spesso citata dalla stampa. Shadi Sadr dice che la storia di Leila non è rara: “Una bambina viene considerata la principale proprietà che può essere commercializzata o venduta, quando i suoi genitori sono poveri.” Sadr aggiunge che, in pratica, il codice penale islamico conferisce ad un padre iraniano un potere smisurato sui figli, “Se un padre uccide il proprio figlio il massimo che può aspettarsi sono un paio d’anni di prigione.”
Leila viveva ad Arak, una piccola città a quattro ore di automobile da Teheran, una piccola città nota per la criminalità e la circolazione di droghe. La maggior parte dei guadagni di Leila servivano a procurare stupefacenti illegali alla sua famiglia. Secondo le NU, tre quarti dell’oppio mondiale vengono lavorati in Iran, e le autorità del paese ammettono che la tossicodipendenza è un serio problema. Sulla prostituzione, invece, non ci sono statistiche. Al centro “Omid E Mehr” di Teheran sostengono che si tratta di un fenomeno in crescita, e che moltissime bambine vendono i loro corpi per provvedere droghe ai padri. Alcune le attiviste del centro le hanno trovate incatenate in casa, affinché non fuggissero.
Leila venne data in moglie, ed il marito continuò a venderla, e Leila dovette aver a che fare con fino a quindici uomini per notte. A due mesi dalle nozze, la polizia irruppe nella casa e arrestò tutti. Il marito di Leila venne condannato a cinque anni di prigione per aver provvisto una casa in cui si praticava “sesso illegale”. Durante gli interrogatori, i fratelli di Leila ammisero di averla violata. La loro pena fu la fustigazione. Leila, invece, fu accusata di incesto, crimine punibile con la morte.
La fanciulla si trovava in una prigione femminile quando apprese della sentenza che aveva ricevuto dalla guardia carceraria: “Devo dirti qualcosa, ma per favore, non prendertela: sarai impiccata.” L’avvocata Sadr sostiene che il sistema giudiziario è profondamente conservatore ed ingiusto: “Questi giudici maschi non hanno ricevuto alcuna istruzione rispetto ai crimini sessuali. Hanno tutti un punto di vista sciovinistico e giudicano le donne colpevoli a priori.” I fratelli di Leila tentarono di ritrattare le loro confessioni. Shadi Sadr portò il caso della ragazza in appello, e vinse.
Sempre all’inizio del 2007, Sadr ha difeso la diciannovenne Nazanine, condannata a morte per aver accidentalmente ucciso un uomo che tentava di stuprarla. Ha vinto anche questa causa, e oggi Nazanine è una donna libera. Secondo Amnesty International, 177 persone sono state giustiziate nel 2006 in Iran e quattro erano donne. Nel 2007 le donne erano cinque. I numeri reali potrebbero essere più alti, perché non tutte le esecuzioni vengono registrate. Ma Shadi Sadr e le altre avvocate iraniane dicono che la campagna costante per i diritti umani e la pubblicità che loro fanno ai casi stanno rendendo i giudici iraniani più accorti: “Ci sono state così tante dimostrazioni e proteste da parte degli attivisti per i diritti umani che ora i giudici si sentono un po’ sotto pressione, e fanno più fatica a condannare a morte.”
Leila vive oggi in un piccolo appartamento che viene pagato, assieme alla sua sussistenza ed alla sua istruzione, da Shadi Sard e dal centro “Omid E Mehr”. Quando arrivò, Leila era illetterata sotto tutti gli aspetti. “Non sapeva nulla.”, ricorda Marjaneh Halati, la fondatrice del centro, “Al punto che non sapeva che quando hai le mestruazioni usi gli assorbenti.” Leila impara a leggere e guadagna qualcosa lavorando come cucitrice. La signora Halati sa bene che aiutando ragazze come Leila, e incoraggiandole a nutrire la propria autostima e ad essere indipendenti, la sua fondazione cammina sul filo: “Viviamo in Iran, e ci sono certe regole che dobbiamo osservare, ma questo non significa che non possiamo dire a queste giovani che esse non devono essere trattate diversamente dagli uomini. Sono esseri umani.”
Leila è viva e libera, e le attitudini possono cambiare, per quanto lentamente. L’Iran ha stabilito la propria prima legge per la protezione dei bambini cinque anni fa. La prossima primavera, una nuova legge stilata dalle avvocate per i diritti umani dovrebbe essere discussa in Parlamento: il suo scopo è di rendere più agevole la procedura per contrastare i casi di abusi sui minori.



Venerdì, 04 gennaio 2008