Documentario
Fede e maternità

di Rina Jimenez-David per www.inquirer.net, marzo 2008

Ringraziamo Maria G. Di Rienzo[per contatti: sheela59@libero.it]per averci messo a disposizione questa sua traduzione


Manila, Filippine. “Centrale, per i fondamentalismi, è il controllo delle donne, con le donne viste come i “marchi” che definiscono l’appartenenza o l’esclusione da società o gruppi.”, dice la dott. Sylvia Estrada Claudio del “Centro UP Studi sulle Donne”. L’affermazione fa parte della sua presentazione del seminario universitario “Donne che contestano i fondamentalismi ed altre forme di intolleranza”. La dott. Carolyn Sobritchea, un’altra delle lettrici al seminario, aggiunge che la maggior parte delle società e dei sistemi di credenze fondamentalisti sono organizzati attorno al “bisogno di controllare i corpi delle donne e, per estensione, il loro comportamento e persino i loro abiti”. La terza lettrice, la dott. Reihana Mohideen, nota che le donne devono portare avanti la propria lotta attraverso le culture su due fronti: contro i fondamentalismi e contro “l’impero”, termine con cui si descrivono sia il colonialismo sia le sue manifestazioni correnti nei campi politico ed economico, e ciò la globalizzazione neo-liberista.

Le parole di queste tre donne (ero presente al seminario) echeggiavano nella mia mente mentre guardavo il documentario “Siate fruttuosi e moltiplicatevi” all’incontro promosso dall’ambasciatore israeliano Svi Vapni e da sua moglie Limor in onore della regista del film, Shosh Shlam. Il film concerne le vite delle donne che appartengono alla comunità ultra-ortodossa dell’ebraismo, “Un mondo”, ha detto l’ambasciatore Vapni, “che è esotico per noi quanto lo è per voi.” Sebbene comprenda una porzione davvero piccola della popolazione israeliana e degli ebrei nel mondo, la comunità ultra-ortodossa è ancora influente in Israele politicamente, religiosamente e culturalmente, poiché i suoi membri vedono se stessi come i difensori della fede ebraica ed i protettori delle antiche tradizioni. Ma anche se il filmato discute la condizione di una minoranza ebraica di donne, “pone ancora la stessa questione universale”, ha detto l’ambasciatore, “che riguarda lo status delle donne ovunque e le cui domande sono: ho una scelta? Posso avere il controllo sulla mia vita?”

“E’ stato un viaggio lungo e difficile in un mondo chiuso.”, ha ammesso la regista Shlam. Mentre girava un precedente documentario sui sopravvissuti all’Olocausto che oggi vivono in ospedali psichiatrici israeliani, conobbe una donna ultra-ortodossa e “lei aprì il suo mondo a me”. Interessata, Shlam cominciò a darsi da fare per produrre un documentario su queste donne, ma quel che ebbe furono letteralmente porte in faccia. La ragione per cui apre il suo film con la storia di Miriam, una donna ultra-ortodossa madre di sedici figli che vive a New York, sta nel fatto che “Ho avuto troppi rifiuti dalle donne della comunità in Israele. Parlavo con loro e loro rispondevano: Lo chiederò a mio marito e le saprò dire domani. Ma naturalmente non si mettevano più in contatto.” Permettere a degli estranei, per di più con una videocamera, di entrare nelle loro case è un affare serio per le famiglie ortodosse, nota Shlam. Queste famiglie scelgono di non mischiarsi alla società “moderna” e la tv ed altre forme di tecnologia non sono ammesse nelle loro case. Un altro fattore distintivo fra gli ultra-ortodossi è il loro convincimento che le donne appartengano esclusivamente alla sfera del focolare e della casa, con genitori riluttanti a dare alle proprie figlie un’istruzione che vada al di là delle elementari o delle medie. La credenza influisce sul modo in cui maschi e femmine vengono cresciuti, con le ragazze che fanno un enorme ammontare di lavoro domestico, mentre dai ragazzi ci si aspetta che si concentrino sui loro studi accademici o religiosi.

“Siate fruttuosi e moltiplicatevi” si riferisce ovviamente all’ingiunzione fatta ad Adamo ed Eva da Dio nelle Genesi. Ma secondo quel che racconta Shlam, la maggior parte delle interpretazioni ebraiche della scrittura dicono che quando una coppia ha avuto un maschio e una femmina ha tenuto fede al requisito richiesto alle coppie sposate. Fra le donne ultra-ortodosse, invece, avere bambini è vista come la principale espressione della femminilità, il vivere apertamente la propria “essenza” di donne. Perciò partorire ed allevare quanti più figli è possibile è divenuto una sorta di simbolo di status, e persino una competizione. Ci sono voluti tre anni, alla regista, per completare il film. In esso intervista e descrive le vite di donne con famiglie molto estese, e le difficoltà che affrontano passando più di vent’anni delle loro esistenze in perpetue gravidanze e allattamenti, e nel tener dietro a case i cui numerosi membri hanno differenti bisogni.

E poi c’è Yentel, che è ortodossa anche lei, ma ha scelto un’altra strada. Yentel è la figura centrale del documentario, una donna che si muove in entrambe le società, e lotta per venire a patti con la propria speciale identità in un mondo che cambia. Essendo cresciuta in una famiglia così estesa che lei ed altri fratelli dovevano vivere con i vicini di casa, non essendoci abbastanza posto nelle casa dei suoi genitori, Yentel ricorda un’infanzia spesa nel desiderare ardentemente l’attenzione di sua madre. Risoluta a non mettere i propri figli nella stessa situazione, Yentel ha deciso di averne “solo” quattro, argomentando che ancor più delle difficoltà finanziarie o di salute che le grandi famiglie hanno, è stato il costo emotivo posto su madre e bambini che l’ha convinta a mantenere “piccola” la sua famiglia. Sembra un’ironia, ma Yentel è una specie di levatrice; il suo lavoro è aiutare le donne incinte ad avere una gravidanza sana e a sopravvivere ai parti, e insegna loro ad aver cura dei neonati. Nel corso della sua attività, racconta, ha sentito troppe storie tristi o disperate, e quando serviva ha portato le sue clienti da ostetriche e ginecologhe. Quando il film uscì in Israele, dice la regista, Yentel divenne il punto focale dell’ira della comunità ortodossa: “Lei e la sua famiglia hanno pagato un alto prezzo per l’essere apparsi nel mio documentario. Yentel non lavora più per la sua comunità, ma mi ha detto: Se questo aiuta una sola donna a decidere della propria vita, allora valeva la pena farlo.”



Venerdì, 11 aprile 2008