A Bassora, la seconda città irachena per estensione, il 2008 ha avuto inizio con l’annuncio della percentuale di donne
assassinate dalle milizie islamiste durante il 2007. I funzionari cittadini hanno riportato il 31 dicembre che 133 donne
sono state uccise e mutilate nel corso del 2007, i loro corpi infilati in bidoni dell’immondizia con cartelli che
ammonivano le altre a non “violare gli insegnamenti islamici”. Ma gli autisti delle ambulanze, che hanno il compito di
girare per la città al mattino presto per raccogliere i cadaveri, confermano ciò che i residenti di Bassora continuano a
dire, e cioè che i numeri sono molto più alti.
I volantini degli assassini non sono molto originali. Di solito accusano le donne di essere prostitute o adultere. Ma le
uccise sono in realtà mediche, insegnanti, giornaliste. E questo lo sappiamo per certo, perché l’Organizzazione per la
libertà delle donne in Iraq (OWFI) si è presa l’ingrato compito di visitare gli obitori della città e di cercare di
individuare il numero e il tipo degli omicidi. L’OWFI dice che la maggioranza dei cadaveri appartenevano a “laureate in
medicina, professioniste, attiviste e impiegate”.
Il loro crimine non è la “promiscuità”, ma bensì l’opposizione alla trasformazione dell’Iraq in uno stato islamista. Questa
sanguinosa transizione è stata il principale trend politico sotto l’occupazione statunitense. Non è un mistero chi stia
assassinando le donne a Bassora. Le forze sciite potenziate dall’invasione Usa terrorizzano le donne sin dal 2003. Nel giro
di poche settimane dall’invasione questi gruppi avevano creato squadre mobili per la “Propagazione della virtù e
prevenzione del vizio”, a cui molti iracheni si riferiscono semplicemente come alle “gang della miseria”. Hanno iniziato
controllando le strade, molestando e picchiando le donne che non si vestivano o non si comportavano come a loro piaceva. Le
forze della coalizione non hanno fatto nulla per fermarle, e presto queste milizie hanno aumentato la dose di violenza,
sino a torturare ed assassinare chiunque essi vedano come un ostacolo alla trasformazione dell’Iraq in uno stato islamista.
Nonostante la chiara natura politica di questi omicidi, i media statunitensi e occidentali generalmente descrivono la
violenza contro le donne irachene come una sfortunata parte della “cultura” araba o musulmana, intendendo che la violenza
di genere sia una derivazione dell’Islam. Naturalmente questo ha un uso politico: aiuta a disumanizzare i musulmani, e
giustifica l’intervento Usa nei loro paesi. E’ altrettanto utile a deflettere l’attenzione dai molti modi in cui la
politica statunitense ha ignorato e favorito la violenza contro le donne irachene, come l’appoggiare candidati politici che
avevano apertamente dichiarato di voler “estirpare” i diritti delle donne.
Ma in effetti, la “cultura” da sola spiega molto poco. Tutti i comportamenti umani hanno dimensioni culturali, ma la
cultura è solo un contesto, non una causa o una giustificazione alla violenza, in Iraq o altrove. Ha più senso qui l’esame
del genere, e di quel sistema di potere nelle relazioni la cui risorsa principale per la propria perpetuazione è la
violenza contro le donne. Non c’è niente di “musulmano” in questo sistema eccetto i suoi sostenitori, che però sono anche
ebrei, cristiani e hindu, i quali usano cultura e religione per razionalizzare il giogo posto sulle donne.
Se spostiamo il focus dalla cultura al genere, ecco che si rivela un sistema di dominio praticamente universale. Yanar
Mohammed, la fondatrice dell’OWFI, descrive le uccisioni di donne a Bassora come “una campagna per restringere le donne
entro la sfera domestica, e por termine alla partecipazione femminile negli ambiti politici e sociali.” Paragonate il suo
commento alla conclusione di Amnesty International rispetto ai femminicidi di massa in Guatemala: l’ondata di violenza
“reca con sé un messaggio perverso: le donne dovrebbero abbandonare gli spazi pubblici che si sono conquistate per lo più
con grandi sforzi personali e sociali, e rinchiudersi in un mondo privato, rinunciando al loro ruolo nello sviluppo della
nazione.”
Le parole descrivono bene gli intenti degli islamisti iracheni, i quali però hanno poco in comune con gli assassini di
donne in Guatemala, eccetto questo: la rigida aderenza a un sistema di dominio basato sul genere. Invece di lamentare la
“brutalità” dell’Islam, i media occidentali dovrebbero cominciare a tirare linee fra i punti che segnano l’occupazione Usa
e il potenziamento dei gruppi che usano la violenza contro le donne come una strategia per imporre la propria agenda
politica. Potrebbero cominciare dal fatto che il Pentagono ha addestrato, armato e finanziato quelle stesse milizie che
oggi uccidono le donne di Bassora.
Lunedì, 18 febbraio 2008
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