Sommosse alla Carfagna

di Rete Nazionale Femminista e Lesbica

Egregia Ministra Carfagna,
abbiamo letto con attenzione la sua “lettera al direttore” di Repubblica nella quale descriveva le sue considerazioni sulla questione della violenza alle donne.
Siamo certe: le 150 mila donne, femministe e lesbiche che hanno partecipato al corteo contro la violenza maschile dello scorso 24 novembre non ne condividono il contenuto.
La causa delle violenze degli uomini non risiede nella presunta fragilità delle donne.
Noi sappiamo che la famiglia è il luogo all’interno del quale si realizzano prevalentemente le violenze.
Questo dato contrasta nettamente con il fatto che la famiglia sia eletta al ruolo di “ammortizzatore sociale”. Essa diventa una direzione obbligata dal sistema welfare di questo Stato che non provvede alla soluzione della precarietà di tante persone, che non permette alle donne di essere autosufficienti e che anzi chiede loro di supplire nei compiti di cura che altrimenti nessuno svolgerebbe.
Noi crediamo che la famiglia, qualunque essa sia e da chiunque sia composta, debba essere una “scelta” e non un obbligo.
Promuovere una politica familista all’interno della quale è ammesso un unico modello di sessualità è il modo migliore per legittimare una cultura discriminatoria e sessista di per se’ veicolo di violenza.
Riteniamo pericoloso assegnare alle separazioni, ai divorzi e all’affidamento dei figli e delle figlie la causa delle tensioni che determinano gravissime tragedie all’interno dei nuclei familiari.
Una simile considerazione non tiene conto dei dati che dimostrano che la maggior parte delle violenze da ex coniugi avviene in occasione degli incontri tra padre e madre per lo scambio del figlio. Stiamo parlando di quei tanti casi in cui l’affido condiviso è stato concesso nonostante la presenza di denunce per violenze e maltrattamenti nei confronti del coniuge ed è stata data all’ex la opportunità di continuare a fare del male a moglie e figlio.
Sappiamo inoltre che sono tanti i casi in cui bambini e bambine vengano uccisi assieme alle mamme proprio dai padri che intendono l’intera famiglia quale proprietà. Ed è questo l’aspetto fondamentale sul quale la cultura non interviene: il possesso.
Non sono passati molti anni da quando è stata eliminata la figura del capofamiglia e dal momento in cui il padre è stato privato dello ius corrigendi, il diritto di correzione di ogni membro della famiglia.
E’ di quella modalità che stiamo parlando, prima legalizzata e ora culturalmente legittimata.
Lei per prima si fa veicolo di questa cultura nel sostenere la Sua posizione contraria all’interruzione di gravidanza. Perchè equivale a dire che le donne non possiedono il proprio corpo e non hanno il diritto di autodeterminarsi. Delegittimare le donne nelle proprie scelte rafforza quella visione che le immagina bisognose di tutori che decidano per loro quasi non fossero in grado di intendere e volere.
Il messaggio che Lei trasmette è che le sole donne che non meritano di essere picchiate o, peggio, uccise, sono quelle che si dedicano alla famiglia. Secondo questi parametri è facile che gli uomini si sentano in diritto di dover esercitare su di noi una sorta di controllo sociale e che si sentano autorizzati a reintrodurre il loro sistema di correzione per insegnarci a non essere mai in contraddizione con i ruoli che proprio questa cultura patriarcale ci assegna.
Bisogna anche intervenire praticamente, siamo d’accordo, ma non nel modo che intende Lei. Di sicuro non ci sembra un gran segno di “concretezza” il fatto che il governo tagli il fondo di 20 milioni di euro per la prevenzione e il sostegno alle vittime della violenza sessuale. Anzi questo ci dimostra che avevamo ragione: il governo usa i nostri corpi per legittimare la propria politica razzista e poi ci sottrae fondi indispensabili per attuare una politica contro la violenza.
Ecco invece quanto noi intendiamo per “concretezza:
E’ necessario investire sulle possibilità di autodeterminazione delle donne. Abbiamo bisogno di interventi strutturali che stabiliscano delle priorità difficili, non plateali come l’adozione di eserciti o più polizia. Non serve un sistema di leggi che rafforzino il modello securitario. Dentro le nostre case serve che noi siamo in grado di difenderci. Abbiamo diritto ad una abitazione e ad un lavoro che ci permettano di vivere autonomamente senza dover restare a sopportare violenze perché piegate alla dipendenza economica dai mariti.
Abbiamo bisogno che i centri antiviolenza non dipendano dagli umori degli amministratori locali ma che vengano stanziati fondi nazionali che ne garantiscano l’operatività.
Abbiamo bisogno che i genitori non siano prescrittivi nei confronti delle preferenze sessuali delle proprie figlie e dei propri figli. Non ci deve essere nessun genitore autorizzato ad accoltellare una figlia perché è lesbica.
Le azioni del Ministero delle Pari Opportunità dovrebbero essere improntate a riconoscere e promuovere le nostre reali necessità.
Sia garante della concreta promozione dei diritti umani delle donne, primo tra tutti il diritto ad una vita libera dalla violenza, il diritto alla scelta su cosa fare della nostra vita e dei nostri corpi, così come voluto dalle principali convenzioni internazionali.
Cordiali saluti

Rete Nazionale Femminista e Lesbica





Venerdì, 30 maggio 2008